È un deja vu.
Un qualcosa di già visto, come il pareggio di bilancio, la norma che i nostri governi hanno messo in Costituzione e che vincola i nostri bilanci e le nostre manovre e che poi è stata subito ripudiata. Quando si è capito cosa significasse.
Del TTIP non ne parla nessuno, eppure questi accordi tra paesi dell'Unione e Obama potrebbe impattare le nostre vite, le nostre imprese, il nostro modo di concepire i mercati.
Un unico grande mercato libero (in tanti sensi) tra Europa e Stati Uniti, con le stesse regole per lo scambio delle merci. Una cosa buona, all'apparenza: non a caso le grandi imprese lo considerano una cosa buona. Ma sappiamo che nella realtà non esistono mercati liberi, regolati dal meccanismo della domanda e dell'offerta. Quelle favole ce le hanno raccontare per anni economisti e giornalisti.
I mercati sono regolati dalla legge del più forte, sono drogati dalle false notizie delle agenzie di rating, da chi ci specula sopra, dalle banche d'affari che fanno i loro interessi.
Se ci fosse un unico mercato, quali regole lo regolamenteranno? Quelle italiane che indicano che controlli fare sulle merci, che standard minimi di qualità devono esserci?
Oppure quelle del più forte, ovvero delle aziende estere: cosa faremo quando sugli scaffali dei grandi centri commerciali troveremo solo la mozzarella americana, la frutta ogm, la carne riempita con ormoni e anabolizzanti?
Non avremo nessuno a cui appellarci per poter essere sicuri su ciò che mangiamo.
Già oggi la nostra industria alimentare è stretta dalla cattiva concorrenza europea e non solo: il latte e la carne di maiale tedesca, l'olio d'oliva dalla Spagna, il pomodoro dalla Cina, il grano che non si sa da dove arriva, il caffè dal Vietnam, la pizza surgelata dalla Germania …
Non volete mangiare questa minestra? Ecco, meglio pensarci prima della firma di questo trattato. Perché un giorno potremo non avere altra minestra da mangiare.
Forse, tra un tweet e un'intervista alla D'Urso, l'amato premier potrebbe farci la grazia di spiegare bene cosa c'è dentro questo trattato. Nemmeno fosse il patto del nazareno.
La scheda dell'inchiesta: “Il segreto sul piatto” di Roberto Pozzan con Giorgio Mottola
Il premier Matteo Renzi lo ha definito “vitale” Gli industriali italiani lo considerano una benedizione. Gli scettici, invece, lo descrivono come un’apocalisse. Nessuno, però, al momento sa bene cosa sia il TTIP, il Trattato Transatlantico sugli investimenti che Europa e Stati Uniti stanno negoziando da diversi mesi. Sulle trattative in corso e gli accordi finora raggiunti vige infatti la massima segretezza. Eppure, l’approvazione del TTIP potrebbe cambiare le nostre vite, come ci racconta Roberto Pozzan con Giorgio Mottola.Con il Trattato Transatlantico potrebbe nascere la più grande area di libero scambio del mondo: niente più dazi, niente più confini commerciali tra Europa e Usa. E quindi aumento del Pil europeo calcolato tra lo 0,5% e il 4%, più posti di lavoro, più esportazioni (si calcola il 28%). Ma tutto ciò rischia di avere un costo elevato. Insieme alle barriere tariffarie salterà anche una parte del sistema di tutele europee, leggi, controlli e standard minimi richiesti per la circolazione dei prodotti. Una misura che potrebbe avere ripercussioni enormi innanzitutto sul settore agroalimentare che in questa trattativa gli Usa considerano strategico. Tutti i negoziatori europei al momento lo negano, ma il TTIP potrebbe spalancare le porte a carni trattate con ormoni e antibiotici, latte arricchito e produzioni con organismi geneticamente modificati. E a vigilare sulla corretta applicazione del Trattato ci sarebbe un Arbitrato internazionale privato, le cui decisioni saranno superiori alle leggi nazionali e, quindi, alle stesse sentenze dei tribunali.Il dubbio è più che legittimo: il TTIP sarà una grande opportunità o un boomerang per piccole imprese e consumatori?L'anteprima su Reportime
Bistecche con gli ormoni, pollo trattato con il cloro, cibo geneticamente modificato. Ce li ritroveremo nei supermercati italiani se passerà il Ttip, il Trattato transatlantico sugli investimenti che l’Europa e gli Stati Uniti stanno negoziando? Chi si oppone senza se e senza ma all’accordo ne è convinto. Ministri italiani e commissari europei, invece, negano risolutamente.Ma capire da che parte sta la verità oggi è praticamente impossibile. Sebbene l’Europa abbia recentemente desecretato il mandato (vale a dire i principi generali che i negoziatori sono chiamati a tutelare), sul merito del negoziato e sugli accordi raggiunti finora c’è ancora il massimo segreto.Un’accortezza considerata imprescindibile dai governi dopo il fallimento del prototipo del Ttip, che si chiamava Mai, Accordo multilaterale sugli investimenti. Quando nel 1998 i termini del negoziato tra Stati Uniti ed Europa furono resi pubblici, le proteste dell’opinione pubblica furono così violente che fu messo rapidamente da parte.Oggi, come quindici anni fa, in discussione c’è l’abolizione dei dazi doganali e la cancellazione di una serie di barriere non tariffarie. Per creare la più grande area di libero scambio del pianeta bisognerà modificare, allo scopo di uniformarle, le regole sugli standard, sulla sicurezza alimentare e sull’etichettatura dei prodotti. E qui potrebbero nascere i veri problemi.Le leggi statunitensi sulla commercializzazione dei cibi sono infatti molto più permissive di quelle europee. Non essendo riconosciuto il principio di precauzione, negli Usa possono essere vietati solo i prodotti la cui nocività è scientificamente riconosciuta: se c’è solo il dubbio che una cosa possa fare male, intanto continuo a vendertela. Quindi è lecito allevare gli animali con ormoni e antibiotici, trattare la carne con prodotti chimici e commercializzare organismi geneticamente modificati. Non solo, i produttori americani non hanno alcun obbligo di specificarlo sulle etichette.Saranno gli Usa ad adeguarsi alle nostre rigide normative o saranno l’Europa e l’Italia ad accettare i loro standard?
La seconda inchiesta della puntata “The specialist” di Sigfrido Ranucci:
Ancora la salute, ancora i controlli che non ci sono, ancora l'Istituto superiore della Sanità, ancora i pacemaker e defibrillatori.
Forse assisteremo alla stessa pantomina della scorsa puntata di Sigfrido Ranucci sui pacemaker e i falsi certificati: il non ne sapevo nulla, lasciamo lavorare la magistratura, è colpa di quelli che c'erano prima ..
Report torna ad occuparsi di sicurezza di dispositivi elettromedicali e in particolare di pacemaker. In seguito alla denuncia dello stato di abbandono dei laboratori dell’Istituto Superiore di Sanità, dove avrebbero dovuto svolgersi i test per la certificazione europea dei dispositivi medici, l’inchiesta di Report si amplia.Domenica sera verranno trasmesse delle immagini riguardanti una delicata operazione chirurgica avvenuta in un ospedale del sud, dove viene impiantato un dispositivo bi-ventricolare, un’operazione delicatissima. Ma ad operare, secondo le informazioni in possesso di Report, non sarebbe il chirurgo, ma addirittura l’addetto-vendite di una nota multinazionale produttrice di defibrillatori. Secondo un altro venditore di un’altra azienda di dispositivi medici intervistato da Report, il fatto non sarebbe un'eccezione, ma una pratica messa in atto dai venditori, nel silenzio compiacente di alcuni medici. La finalità sarebbe quella di offrire un prodotto “chiavi in mano“, operazione compresa, al fine di agevolarli nel servizio, vendere più dispositivi, guadagnare più provvigioni, e far ingrassare il fatturato delle aziende.Sotto al muro, di Michele Buono: sembra una favola, la storia che ci racconterà il giornalista di Report, per quanto è incredibile. La storia di un muro che divideva una città e di un uomo ostinato che voleva piantare i suoi cetrioli sotto il muro di casa.
Osman Kalin, turco dell’Anatolia, la prima volta che mise piede in Germania fu nel 1943. Lavorava su un mercantile e vendeva cetrioli al Terzo Reich. Qualche decennio dopo i cetrioli decise di piantarli direttamente in Germania. Li piantò a Berlino, sotto il muro nella zona ovest. E all’ufficiale del reggimento di frontiera n.33 che, mitra in pugno, gli intimò di sparire dicendogli che quello era territorio della Ddr, rispose che la Ddr era dall’altra parte del muro. Ma su questo il turco si sbagliava.In quel punto il muro avrebbe dovuto fare una specie di zigzag, ma la Repubblica democratica tedesca, nel costruirlo, per fare in fretta o per risparmiare tirò dritto tagliando fuori un pezzo di terra socialista dentro Ovest.E fu così che il turco mandò in tilt l’intero sistema: a Est e Ovest mancava una regola per cacciarlo, per Osman fu l’occasione per allargarsi e costruire un’intera casa a ridosso del muro con i soldati dell’Est che gli si affacciavano dentro casa. Ce la misero proprio tutta e in tanti per cacciare il turco e ad abbattere la sua casa. Ma alla fine la casa rimase in piedi e fu abbattuto il muro. Sono passati venticinque anni e lui è ancora lì, in quella casa con giardino, oramai in mezzo a uno spartitraffico.
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