29 aprile 2017

Il caso Mattei, di Vincenzo Calia e Sabrina Pisu

Le prove dell'omicidio del presidente dell'Eni dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della verità.

Il caso Mattei: tre parole che evocano, negli italiani che hanno ancora memoria del passato, tanti divesi significati.
Il caso Mattei è uno dei misteri d'Italia, quei casi che hanno suscitato una forte eco nel paese, una forte emozione ma su cui la magistratura non è stata in grado (o non è stata messa in grado) di arrivare alla verità. Un caso irrisolto, senza colpevoli, dove alla verità di comodo si affiancano tante ipotesi, senza giungere mai ad una verità almeno storica..
Perché Il caso Mattei è una storia di complotti bei confronti di una delle più importanti aziende di Stato, l'Eni, di cui Enrico Mattei era presidente in quella sera del 27 ottobre 1962. Complotti per eliminare Mattei, per la sua politica energetica, per la sua scelta di non essere subalterno alle “sette sorelle”, le maggiori aziende petrolifere.
Gli mandavano delle lettere minatorie, dicendo di smetterla. Lui le leggeva, ci pensava sopra un momento, poi le riponeva tra i suoi documenti, nell’ufficio che aveva all’Eni.”Margherita Paulas, vedova Mattei.

Complotti che nascevano dall'insofferenza per come Mattei gestiva l'Eni, un'azienda che, come i giornalisti Andrea Greco e Giuseppe Oddo hanno chiamato "Stato parallelo" perché ha sempre gestito la vera politica estera (ed energetica e industriale) del nostro paese al posto dei ministri del governo.
Il caso Mattei è una storia in cui, partendo dall'Eni, si mettono assieme i servizi segreti (italiani e stranieri, deviati o non deviati), il Sifa e la Cia, i depistaggi che ha subito l'inchiesta (come in tutti i misteri d'Italia che si rispettino, dalla morte di Giuliano a Piazza Fontana), la presenza della mafia, le sette sorelle, l'OAS (l'Organisation de l'armée secrète, la struttura paramilitare nata dopo l'indipendenza dell'Algeria), un misterioso Mr X (legati a tanti episodi bui della nostra storia) ..
E, ancora, le lotte all'interno del mondo politico tra le correnti DC, tra la DC e il partito socialista per mettere le mani sulle aziende di stato (e relative commesse): uno scenario così complesso e vasto da far venire le vertigini.

Il caso Mattei è un pezzo importante della nostra storia, che ha avuto influenze importanti nel nostro assetto politico (ed industriale probabilmente): periodicamente torna alla ribalta sulle prime pagine dei giornali, con lo scontro tra i sostenitori delle due tesi, quelli della caduta accidentale (come ha stabilito la commissione ministeriale voluta da Andreotti) e quelli che, dietro quella tragedia, hanno riconosciuto il volto oscuro del potere in Italia.
Un racconto che riguarda da vicino anche il mondo dell'informazione per due motivi: il primo riguarda il come la stampa italiana ha trattato l'argomento, sposando quasi in maggioranza la tesi della caduta accidentale dell'I-Snap, l'aereo della Snam su cui volava Mattei.
Colpa delle cattive condizioni meteorologiche.
Il pilota soffriva di problemi personali, era stanco.
Non ci sono testimoni che confermino la tesi dell'esplosione in volo, dunque ..

Il secondo motivo riguarda la scia di sangue non si è fermata quella sera piovosa dell'ottobre 1962, con le morti di Enrico Mattei, del pilota Irnerio Bertuzzi e del giornalista William McHale.
Altre morti sono seguite, persone che in vario modo erano state coinvolte nelle inchieste (della magistratura e giornalistiche): il procuratore Scaglione, il generale Dalla chiesa e il colonnello dei carabinieri Russo. Il capo della Mobile di Palermo Boris Giuliano. E il giornalista dell'Ora di Palermo Mauro De mauro. Scomparso anche lui, una calda sera di settembre del 1970.
De Mauro stava lavorando, per conto del regista Rosi, per raccogliere tutte le informazioni su quell'ultimo viaggio di Mattei in Sicilia: le persone che aveva visto, quelle con cui aveva parlato. E forse si era imbattuto in qualcosa di importante.

Perché un altro libro su Mattei? Cos'altro dobbiamo aspettarci dopo un'inchiesta della magistratura di Palermo, un'inchiesta archiviata a Pavia nel 1963, l'inchiesta ministeriale del generale Savi voluta dall'allora ministro della difesa Andreotti?
Tutti hanno detto che è stata una disgrazia.

In questo libro mette una volta per tutte in chiaro alcuni aspetti del "mistero d'Italia" (che Fanfani aveva definito il primo atto di terrorismo in Italia, parlando esplicitamente di abbattimento).
Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei più di venti anni fa è stato il primo gesto terroristico nel nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita.”Amintore Fanfani, politico Dc e più volte presidente del Consiglio, 1995.

“Il caso Mattei” è scritto a quattro mani, dal procuratore della Repubblica di Pavia che ha seguito l'ultimo filone dell'inchiesta, Vincenzo Calia, e dalla giornalista Sabrina Pisu che, in questi anni, ha seguito da vicino il caso e si divide in due parti: nella prima il procuratore racconta diversi aspetti della sua inchiesta sull'abbattimento, nata dalle rivelazioni di un pentito di mafia nel 1995 e conclusasi con la richiesta di archiviazione del 2005.
Nella seconda parte, la giornalista si sofferma sul ruolo particolare che ha avuto la stampa in questo pezzo della nostra storia: burattini e burattinai, giornalisti a libro paga e giornalisti usati come pedine in un gioco di potere (politico ed economico) che si muoveva su piano più alti e che ha usato la stampa come arma di pressione e ricatti.

Prima parte: l'inchiesta di Pavia.

L'inchiesta del procuratore Calia mette dei punti fermi su un mistero che, terminata la lettura del libro, scoprirete essere meno oscuro: non è stato un incidente a far cadere l'aereo quella sera del 27 ottobre 1962, ma un vero e proprio atto di sabotaggio. A bordo dell'aereo c'è stata un piccola esplosione che ha reso ingovernabile l'aereo, caduto in virata: la carica era probabilmente collegata al meccanismo di apertura delle ruote per l'atterraggio.
La bomba è stata piazzata sotto la cloche mentre l'aereo era custodito negli hangar dell'aeroporto di Fontanarossa a Catania, la notte prima: chi ha congegnato l'attentato aveva intenzione di farlo passare per un incidente, altrimenti avrebbe scelto una strada diversa per far esplodere l'aereo, caduto a terra sostanzialmente integro.
Lo stato italiano e con questo intendo la commissione ministeriale lo sapeva già dal 1962: lo sapeva dall'esito della perizia dell'ORM di Novara (Officina riparazioni motori dell’aeronautica ) sui resti dei reattori dell’aereo: “Manomissione dell’altimetro” o “bomba a bordo” le due ipotesi, tenute nascoste ai magistrati allora come anche a Calia.
Che ha dovuto compiere altre analisi, sui pochi resti rimasti dell'aereo, su oggetti personali di Mattei e su schegge estratte dai corpi riesumati.
L'esito degli accertamenti eseguiti dal dottor Donato Firrao (che aveva già lavorato sulla tragedia di Ustica e l'abbattimento del DC-9) hanno evidenziato sui vari reperti la “presenza di modificazioni” riconducibili a “una sollecitazione termica e meccanica di notevole intensità ma di breve durata, caratteristica dei fenomeni esplosivi”. In pratica, la certezza di un’esplosione a bordo.

I dati della perizia del 1962, nascosti per anni e scoperti per caso oggi, sono il primo dei depistaggi dell'inchiesta.
Il secondo riguarda la testimonianza dell'agricoltore Mario Ronchi che, la mattina successiva alla tragedia parta di esplosione in cielo e di una scia di “stelle cadenti” che dall'alto cadevano verso terra.
Parole registrate da due giornalisti del Corriere (e riportate da altri quotidiani) e anche dal servizio della Rai: peccato che poi il teste Ronchi abbia ritrattato tutto. Quella sera era in casa anzi no, era proprio fuori.
E il sonoro della registrazione è andato perso.
Come spesso succede nei “misteri d'Italia”, che diventano dei puzzle a cui una mano misteriosa ha nascosto dei pezzi.
In pochi giornalisti si sono chiesti il perché della ritrattazione della testimonianza (e della sparizione del sonoro): forse perché la tesi che doveva passare verso l'opinione pubblica era quella dell'incidente.
La pioggia, la scarsa visibilità, i pochi testimoni.
Non è vero: c'era un debole temporale ma la visibilità era normale. E ci sono anche testimoni, come la signora Maroni, che non sono mai stati ascoltati dai magistrati.
Mentre alcune prove venivano nascoste, attorno all'aereo c'era un brulicare di persone, tutte interessate a cercare qualcosa, forse la borsa di Mattei: Calia, raccogliendo le testimonianze del maresciallo dei carabinieri presente a Bascapè, racconta di uomini dei servizi, di persone dell'Eni, di agenti in borghese.

Testimoni non ascoltati, testimoni che ritrattano (e che poi vengono stipendiati dall'Eni vita natural durante), prove di una esplosione a bordo. Prove di una esplosione avvenuta in cielo e non nell'impatto col terreno: i i resti umani trattenuti dai rami, sparpagliati in un raggio molto ampio, i motori che erano entrambi funzionanti, i serbatoi che non si sono incendiati...
Tutto questo dice una cosa sola: depistaggio. Se c'è stato depistaggio significa che c'era una verità da nascondere così terribile da richiedere l'intervento delle alte cariche dello Stato.
Non possiamo pensare che a nascondere perizie, ad uniformare le versioni per la Stampa, sia stata tutta farina dei magistrati, dei carabinieri o del Sifar (che all'epoca era guidato dal generale Allavena, il cui nome figurerà nelle liste della Loggia P2).
Il delitto Mattei è maturato nelle alte sfere dello Stato: nessuna pista internazionale regge alla prova dei fatti, dalle “sette sorelle” all'OAS.
Se dobbiamo cercare dei colpevoli, questi vanno ricercati nelle correnti della Dc, nello scontro tra la DC e il partito socialista per la spartizione delle poltrone nelle aziende di Stato come l'Eni, che aveva un ruolo importante nella politica estera dell'Italia.
Cosa che dava fastidio agli apparati dello Stato più esposti nella lotta internazionale contro il comunismo, i quali vedevano in Mattei – nella sua straordinaria capacità di manovrare il parlamento e i partiti (“li uso come i taxi” raccontava) e di condizionare la politica estera – un nemico da abbattere. Come il suo aereo.

Seguiamo le piste dell'inchiesta del procuratore Calia: una pista che mette assieme l'incidente di Bascapè e quello dove trovò la morte il motorista Marino Loretti. Accusato di aver lasciato il cacciavite nel reattore di uno dei due Morane Saulnier di Mattei, fu poi allontanato dall'Eni.
Forse un incidente voluto apposta per allontanarlo dal presidente dell'Eni, di cui godeva enorme fiducia, in un momento delicato in cui riceveva forti minacce.
Ipotesi che trova conferma andando ad analizzare l'incidente in aereo (un altro) in cui trovò la morte: ufficialmente la commissione d'inchiesta aveva stabilito l'assenza di carburante, come causa.
Ricostruzione smentita dai documenti e dalle testimonianze raccolte: nel serbatoio qualcuno aveva versato parecchi litri d'acqua, fatto poi taciuto dalla commissione.
Strane coincidenze: aveva appena scritto ad Italo Mattei una lettera in cui accusava i veri attentatori di averlo messo in mezzo per allontanarlo dal fratello...

Dal delitto Mattei al rapimento del giornalista Mauro De Mauro, sparito in una calda notte di settembre a Palermo. Sparito e mai ritrovato, come anche parte dei suoi appunti raccolti, proprio sugli ultimi giorni di Mattei in Sicilia.
Era il lavoro commissionato dal regista Rosi, che aveva letto il libro "L'assassinio di Enrico Mattei" dei giornalisti Bellini e Previdi, che parlava esplicitamente di attentato, quando ormai (siamo nel 1970) si era consolidata la strada dell'incidente.
La pista seguita dal cronista dell'Ora partiva dalle ultime ore di Mattei, toccava personaggi come Graziano Verzotto, senatore DC e dirigente dell'ente minerario siciliano e personaggi ancora più inquietanti e potenti come Vito Guarrasi.
Graziano Verzotto amico e testimone di nozze di mafiosi come Di Cristina (di cui è stato testimone di nozze) e Bontade.
Guarrasi, mister X, così veniva definito nelle carte dell'inchiesta della procura di Palermo che indagava sulla scomparsa del giornalista: testimone degli accordi tra italiani e americani prima dello sbarco in Sicilia, presente in diversi consigli di amministrazione importanti ..
Cosa aveva trovato di così importante, De Mauro, per giustificarne il rapimento e la morte?
Per mesi, sembrava che la procura stesse per spiccare dei mandati di cattura che avrebbero toccato personalità importanti della regione.
Quando poi, tutto finì in silenzio.
Boris Giuliano manifestò il suo stupore per il fatto che io non ero a conoscenza della circostanza che a Villa Boscogrande, un night club in località Cardillo, vi era stata una riunione alla quale avevano partecipato i vertici dei servizi segreti e i responsabili della polizia giudiziaria palermitana. In tale riunione fu impartito l'ordine di «annacquare le indagini» [..] Giuliano mi precisò anche che era presente il direttore dei servizi segreti, facendomene il nome: oggi non sono più certo se si trattasse di Miceli o Santovito. Si trattava comunque di colui che in quel momento era al vertice dei servizi segreti”Ugo Saito, sostituto procuratore, parlando delle indagini sulla scomparsa di De Mauro.

Chi tocca Mattei muore.
Come De Mauro, come il procuratore Scaglione, ucciso prima di poter deporre in aula nella causa per diffamazione intentata da Guarrasi nei confronti di diversi giornalisti.
De Mauro probabilmente era finito in mezzo ad una guerra più grande di lui, senza rendersi conto: siamo nei primi anni '70, con la guerra tra DC e PSI per l'occupazione delle poltrone per le aziende pubbliche.
Potere politico e potere finanziario.
Saito, il procuratore incaricato delle indagini, chiamato a deporre da Calia, oltre a raccontare dell'annacquamento, spiega che la sua indagine portava molto in alto, dalla mafia palermitana a personaggi come il presidente del Senato Amintore Fanfani (in lotta per la presidenza della Repubblica) e il presidente Eni Eugenio Cefis:
Ho anche memoria del fatto che dagli atti potevano emergere ipotesi di responsabilità a carico di alcuni personaggi di rilevo della vita italiana. Fanfani, Cefis…”.

Anche la figlia di De Mauro, Junia, nel suo diario personale riporta questi nomi, circa le responsabilità della morte di Mattei.
Come scrisse Leonardo Sciascia, forse aveva detto la cosa giusta alla persona sbagliata o forse la cosa sbagliata alla persona giusta.

Il grande elemosiniere, Eugenio Cefis.
Di Cefis esistono poche foto: lui stesso non amava finire sui giornali né essere fotografato.
Braccio destro di Mattei, anche lui ex partigiano bianco, era stato allontanato dall'Eni a gennaio 1962, per divergenze con Mattei o, più probabilmente, perché quest'ultimo aveva scoperto di affari poco puliti di sue aziende e del suo doppio gioco con gli americani.
Uomo dei segreti (e con forti conoscenze nei servizi), delle operazioni “riservate” dell'Eni che in Sicilia si appoggiava all'avvocato Guarrasi; una persona che aveva in pugno giornali e uomini politici, capace di maneggiare grandi somme di denaro e anche informazioni riservate da usare per fini personali.
Cefis ha speso molto denaro in favore del teste oculare Mario Ronchi: gli ha comprato mezzi agricoli, gli ha rifatto la strada e gli versava un certo quantitativo di denaro mensilmente.”Angelo Mattei, 1995.

Documento preso dal sito it.businessinsider.com

In un appunto del Sismi del 1983, ritrovato da Calia, c'è scritto
"La Loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l’ha gestita fino a quando è rimasto presidente della Montedison.”

In “Petrolio”, il libro pubblicato postumo di Pasolini è presente un personaggio che si chiama Carlo Troya e che ricorda da vicino proprio Cefis: in un passaggio Pasolini scrive
«In questo preciso momento storico Troya sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore»”.

Forse anche Pasolini si era avvicinato troppo a queste guerre di potere, tra finanza e Stato: Cefis che coi soldi dell'Eni scala la Montedison e diventa presidente della più importante azienda chimica italiana. Con i soldi della quale poi fa comprare a Rizzoli il Corriere della Sera, quando finì sotto l'ombra inquietante della Loggia P2.
«la sostituzione di Troya al presidente dell'Eni e quindi .. l'assassinio di quest'ultimo».

Nell'autunno del 1962, scrive l'autore, Enrico Mattei era al centro di «un intricato gioco di ombre, una complessa partita a scacchi avente come posta in palio la sovranità energetica italiana». Si è detto che la sua morte era necessaria: la sua personalità rappresentava, infatti, «una grande anomalia nella vita politica ed economica del nostro paese, del quale seppe sempre rappresentare con coraggio e spregiudicatezza gli interessi economici». Tale autonomia andava eliminata.
(citazioni prese dal libro di Marco Solia, Mattei obiettivo Egitto).

Potere (economico e politico), ricatti, nuovi assetti istituzionali, segreti.
Le guerre tra correnti politiche (quella di Fanfani e quella di Moro) e gruppi di potere e, in sottofondo, la stampa che in questa storia ha avuto un ruolo poco edificante.
La giornalista Sabrina Pisu, nella copertina della seconda parte del libro, scrive:
Sul cadavere di Enrico Mattei si è giocata una lotta di potere, politico-economico, che ha visto la stampa come un fedele alleato nel depistaggio e sabotaggio della verità.”

Qui si racconta di come, ancora oggi giornali come il Corriere parlino di misterioso incidente e non di attentato.
Del ruolo svolto da giornalisti come Montanelli, “un giornalista di arcani istinti che riuscì a rendere credibile la favola di essere uno che la cantava ai potenti di cui era al servizio”, disse Corrado Stajano.
Del ruolo della stampa in generale e perfino del regista Rosi, che pure avrebbe subito pressioni sulla sceneggiatura del suo film su Mattei, su pressioni dell'Eni

Ho fatto molti film sulla mafia e sulla camorra ma non ho mai ricevuto minacce. Per Mattei ho avuto minacce, le ho avute. Non mi chiedere nomi, come e quando, però le ho avute. Sono state [minacce] esplicite, esplicite, molto esplicite.”
Francesco Rosi, intervista Rai, 1998.

Pressioni e minacce che sono arrivate anche ai familiari dell'ex presidente dell'Eni.
Il cui attentato ha aperto un periodo nero nella storia del nostro paese: dopo sono venute Piazza Fontana e le altre stragi senza colpevoli (per la magistratura) degli anni settanta.
Un buco nero, per l'assenza di giustizia e verità che dobbiamo colmare – sono le parole della giornalista e coautrice Sabrina Pisu durante la presentazione – per un dovere morale nei confronti delle persone morte.
Una verità che oggi è solo parziale, sappiamo che è stato un omicidio, abbiamo un quadro chiaro del contesto politico e storico, ma non abbiamo né possiamo fare, i nomi dei responsabili.
Ma non dobbiamo per questo fermarci: dobbiamo aggrapparci alle schegge della memoria, per costruire un quadro della verità che, seppur incompleto, è sicuramente più vero della verità di comodo dell'incidente.


La scheda del libro sul sito di Chiarelettere e una bella recensione sul sito Businessinsider.

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