Le prove dell'omicidio del
presidente dell'Eni dopo bugie, depistaggi e manipolazioni della
verità.
Il caso Mattei: tre parole che
evocano, negli italiani che hanno ancora memoria del passato, tanti
divesi significati.
Il caso Mattei è uno dei
misteri d'Italia, quei casi che hanno suscitato una forte eco nel
paese, una forte emozione ma su cui la magistratura non è stata in
grado (o non è stata messa in grado) di arrivare alla verità. Un
caso irrisolto, senza colpevoli, dove alla verità di comodo si
affiancano tante ipotesi, senza giungere mai ad una verità almeno
storica..
Perché Il caso Mattei è una
storia di complotti bei confronti di una delle più importanti
aziende di Stato, l'Eni, di cui Enrico Mattei era presidente in
quella sera del 27 ottobre 1962. Complotti per eliminare Mattei, per
la sua politica energetica, per la sua scelta di non essere
subalterno alle “sette sorelle”, le maggiori aziende petrolifere.
“Gli mandavano delle lettere minatorie, dicendo di smetterla. Lui le leggeva, ci pensava sopra un momento, poi le riponeva tra i suoi documenti, nell’ufficio che aveva all’Eni.”Margherita Paulas, vedova Mattei.
Complotti che nascevano
dall'insofferenza per come Mattei gestiva l'Eni, un'azienda che, come
i giornalisti Andrea Greco e Giuseppe Oddo hanno chiamato "Stato
parallelo" perché ha sempre gestito la vera politica estera
(ed energetica e industriale) del nostro paese al posto dei ministri
del governo.
Il caso Mattei è
una storia in cui, partendo dall'Eni, si mettono assieme i
servizi segreti (italiani e stranieri, deviati o non deviati), il
Sifa e la Cia, i depistaggi che ha subito l'inchiesta (come in tutti
i misteri d'Italia che si rispettino, dalla morte di Giuliano a
Piazza Fontana), la presenza della mafia, le sette sorelle, l'OAS
(l'Organisation de l'armée secrète, la struttura paramilitare nata
dopo l'indipendenza dell'Algeria), un misterioso Mr X (legati a tanti
episodi bui della nostra storia) ..
E, ancora, le lotte all'interno del
mondo politico tra le correnti DC, tra la DC e il partito socialista
per mettere le mani sulle aziende di stato (e relative commesse): uno
scenario così complesso e vasto da far venire le vertigini.
Il caso Mattei è un pezzo
importante della nostra storia, che ha avuto influenze importanti nel
nostro assetto politico (ed industriale probabilmente):
periodicamente torna alla ribalta sulle prime pagine dei giornali,
con lo scontro tra i sostenitori delle due tesi, quelli della caduta
accidentale (come ha stabilito la commissione ministeriale voluta da
Andreotti) e quelli che, dietro quella tragedia, hanno
riconosciuto il volto oscuro del potere in Italia.
Un racconto che riguarda da vicino
anche il mondo dell'informazione per due motivi: il primo
riguarda il come la stampa italiana ha trattato l'argomento, sposando
quasi in maggioranza la tesi della caduta accidentale dell'I-Snap,
l'aereo della Snam su cui volava Mattei.
Colpa delle cattive condizioni
meteorologiche.
Il pilota soffriva di problemi
personali, era stanco.
Non ci sono testimoni che confermino la
tesi dell'esplosione in volo, dunque ..
Il secondo motivo riguarda la scia di
sangue non si è fermata quella sera piovosa dell'ottobre 1962, con
le morti di Enrico Mattei, del pilota Irnerio Bertuzzi
e del giornalista William McHale.
Altre morti sono seguite, persone che
in vario modo erano state coinvolte nelle inchieste (della
magistratura e giornalistiche): il procuratore Scaglione, il
generale Dalla chiesa e il colonnello dei carabinieri Russo.
Il capo della Mobile di Palermo Boris Giuliano. E il
giornalista dell'Ora di Palermo Mauro De mauro. Scomparso
anche lui, una calda sera di settembre del 1970.
De Mauro stava lavorando, per conto del
regista Rosi, per raccogliere tutte le informazioni su quell'ultimo
viaggio di Mattei in Sicilia: le persone che aveva visto, quelle con
cui aveva parlato. E forse si era imbattuto in qualcosa di
importante.
Perché un altro libro su Mattei?
Cos'altro dobbiamo aspettarci dopo un'inchiesta della magistratura di
Palermo, un'inchiesta archiviata a Pavia nel 1963, l'inchiesta
ministeriale del generale Savi voluta dall'allora ministro della
difesa Andreotti?
Tutti hanno detto che è stata una
disgrazia.
In questo libro mette una volta per
tutte in chiaro alcuni aspetti del "mistero d'Italia"
(che Fanfani aveva definito il primo atto di terrorismo in
Italia, parlando esplicitamente di abbattimento).
“Chissà, forse l’abbattimento dell’aereo di Mattei più di venti anni fa è stato il primo gesto terroristico nel nostro paese, il primo atto della piaga che ci perseguita.”Amintore Fanfani, politico Dc e più volte presidente del Consiglio, 1995.
“Il caso Mattei” è scritto a
quattro mani, dal procuratore della Repubblica di Pavia che ha
seguito l'ultimo filone dell'inchiesta, Vincenzo Calia, e dalla
giornalista Sabrina Pisu che, in questi anni, ha seguito da vicino il
caso e si divide in due parti: nella prima il procuratore racconta
diversi aspetti della sua inchiesta sull'abbattimento, nata dalle
rivelazioni di un pentito di mafia nel 1995 e conclusasi con la
richiesta di archiviazione del 2005.
Nella seconda parte, la giornalista si
sofferma sul ruolo particolare che ha avuto la stampa in questo pezzo
della nostra storia: burattini e burattinai, giornalisti a libro paga
e giornalisti usati come pedine in un gioco di potere (politico ed
economico) che si muoveva su piano più alti e che ha usato la stampa
come arma di pressione e ricatti.
Prima parte: l'inchiesta di Pavia.
L'inchiesta del procuratore Calia mette
dei punti fermi su un mistero che, terminata la lettura del libro,
scoprirete essere meno oscuro: non è stato un incidente a far cadere
l'aereo quella sera del 27 ottobre 1962, ma un vero e proprio atto di
sabotaggio. A bordo dell'aereo c'è stata un piccola esplosione che
ha reso ingovernabile l'aereo, caduto in virata: la carica era
probabilmente collegata al meccanismo di apertura delle ruote per
l'atterraggio.
La bomba è stata piazzata sotto la
cloche mentre l'aereo era custodito negli hangar dell'aeroporto di
Fontanarossa a Catania, la notte prima: chi ha congegnato l'attentato
aveva intenzione di farlo passare per un incidente, altrimenti
avrebbe scelto una strada diversa per far esplodere l'aereo, caduto a
terra sostanzialmente integro.
Lo stato italiano e con questo intendo
la commissione ministeriale lo sapeva già dal 1962: lo sapeva
dall'esito della perizia dell'ORM di Novara (Officina riparazioni
motori dell’aeronautica ) sui resti dei reattori dell’aereo:
“Manomissione dell’altimetro” o “bomba a bordo”
le due ipotesi, tenute nascoste ai magistrati allora come anche a
Calia.
Che ha dovuto compiere altre analisi,
sui pochi resti rimasti dell'aereo, su oggetti personali di Mattei e
su schegge estratte dai corpi riesumati.
L'esito degli accertamenti eseguiti dal
dottor Donato Firrao (che aveva già lavorato sulla tragedia di
Ustica e l'abbattimento del DC-9) hanno evidenziato sui vari reperti
la “presenza di modificazioni” riconducibili a “una
sollecitazione termica e meccanica di notevole intensità ma di breve
durata, caratteristica dei fenomeni esplosivi”. In pratica, la
certezza di un’esplosione a bordo.
I dati della perizia del 1962, nascosti
per anni e scoperti per caso oggi, sono il primo dei depistaggi
dell'inchiesta.
Il secondo riguarda la testimonianza
dell'agricoltore Mario Ronchi che, la mattina successiva alla
tragedia parta di esplosione in cielo e di una scia di “stelle
cadenti” che dall'alto cadevano verso terra.
Parole registrate da due giornalisti
del Corriere (e riportate da altri quotidiani) e anche dal servizio
della Rai: peccato che poi il teste Ronchi abbia ritrattato tutto.
Quella sera era in casa anzi no, era proprio fuori.
E il sonoro della registrazione è
andato perso.
Come spesso succede nei “misteri
d'Italia”, che diventano dei puzzle a cui una mano misteriosa ha
nascosto dei pezzi.
In pochi giornalisti si sono chiesti il
perché della ritrattazione della testimonianza (e della sparizione
del sonoro): forse perché la tesi che doveva passare verso
l'opinione pubblica era quella dell'incidente.
La pioggia, la scarsa visibilità, i
pochi testimoni.
Non è vero: c'era un debole temporale
ma la visibilità era normale. E ci sono anche testimoni, come la
signora Maroni, che non sono mai stati ascoltati dai
magistrati.
Mentre alcune prove venivano nascoste,
attorno all'aereo c'era un brulicare di persone, tutte interessate a
cercare qualcosa, forse la borsa di Mattei: Calia, raccogliendo le
testimonianze del maresciallo dei carabinieri presente a Bascapè,
racconta di uomini dei servizi, di persone dell'Eni, di agenti in
borghese.
Testimoni non ascoltati, testimoni che
ritrattano (e che poi vengono stipendiati dall'Eni vita natural
durante), prove di una esplosione a bordo. Prove di una esplosione
avvenuta in cielo e non nell'impatto col terreno: i i resti umani
trattenuti dai rami, sparpagliati in un raggio molto ampio, i motori
che erano entrambi funzionanti, i serbatoi che non si sono
incendiati...
Tutto questo dice una cosa sola:
depistaggio. Se c'è stato depistaggio significa che c'era una verità
da nascondere così terribile da richiedere l'intervento delle alte
cariche dello Stato.
Non possiamo pensare che a nascondere
perizie, ad uniformare le versioni per la Stampa, sia stata tutta
farina dei magistrati, dei carabinieri o del Sifar (che all'epoca era
guidato dal generale Allavena, il cui nome figurerà nelle
liste della Loggia P2).
Il delitto Mattei è maturato
nelle alte sfere dello Stato: nessuna pista internazionale regge alla
prova dei fatti, dalle “sette sorelle” all'OAS.
Se dobbiamo cercare dei colpevoli,
questi vanno ricercati nelle correnti della Dc, nello scontro tra la
DC e il partito socialista per la spartizione delle poltrone nelle
aziende di Stato come l'Eni, che aveva un ruolo importante nella
politica estera dell'Italia.
Cosa che dava fastidio agli apparati
dello Stato più esposti nella lotta internazionale contro il
comunismo, i quali vedevano in Mattei – nella sua straordinaria
capacità di manovrare il parlamento e i partiti (“li uso come i
taxi” raccontava) e di condizionare la politica estera – un
nemico da abbattere. Come il suo aereo.
Seguiamo le piste dell'inchiesta del
procuratore Calia: una pista che mette assieme l'incidente di Bascapè
e quello dove trovò la morte il motorista Marino Loretti.
Accusato di aver lasciato il cacciavite nel reattore di uno dei due
Morane Saulnier di Mattei, fu poi allontanato dall'Eni.
Forse un incidente voluto apposta per
allontanarlo dal presidente dell'Eni, di cui godeva enorme fiducia,
in un momento delicato in cui riceveva forti minacce.
Ipotesi che trova conferma andando ad
analizzare l'incidente in aereo (un altro) in cui trovò la morte:
ufficialmente la commissione d'inchiesta aveva stabilito l'assenza di
carburante, come causa.
Ricostruzione smentita dai documenti e
dalle testimonianze raccolte: nel serbatoio qualcuno aveva versato
parecchi litri d'acqua, fatto poi taciuto dalla commissione.
Strane coincidenze: aveva appena
scritto ad Italo Mattei una lettera in cui accusava i veri
attentatori di averlo messo in mezzo per allontanarlo dal fratello...
Dal delitto Mattei al rapimento del
giornalista Mauro De Mauro, sparito in una calda notte di
settembre a Palermo. Sparito e mai ritrovato, come anche parte dei
suoi appunti raccolti, proprio sugli ultimi giorni di Mattei in
Sicilia.
Era il lavoro commissionato dal regista
Rosi, che aveva letto il libro "L'assassinio di Enrico Mattei" dei giornalisti Bellini e Previdi, che
parlava esplicitamente di attentato, quando ormai (siamo nel 1970) si
era consolidata la strada dell'incidente.
La pista seguita dal cronista dell'Ora
partiva dalle ultime ore di Mattei, toccava personaggi come Graziano
Verzotto, senatore DC e dirigente dell'ente minerario siciliano e
personaggi ancora più inquietanti e potenti come Vito Guarrasi.
Graziano Verzotto amico e testimone di
nozze di mafiosi come Di Cristina (di cui è stato testimone di
nozze) e Bontade.
Guarrasi, mister X, così veniva
definito nelle carte dell'inchiesta della procura di Palermo che
indagava sulla scomparsa del giornalista: testimone degli accordi tra
italiani e americani prima dello sbarco in Sicilia, presente in
diversi consigli di amministrazione importanti ..
Cosa aveva trovato di così importante,
De Mauro, per giustificarne il rapimento e la morte?
Per mesi, sembrava che la procura
stesse per spiccare dei mandati di cattura che avrebbero toccato
personalità importanti della regione.
Quando poi, tutto finì in silenzio.
“Boris Giuliano manifestò il suo stupore per il fatto che io non ero a conoscenza della circostanza che a Villa Boscogrande, un night club in località Cardillo, vi era stata una riunione alla quale avevano partecipato i vertici dei servizi segreti e i responsabili della polizia giudiziaria palermitana. In tale riunione fu impartito l'ordine di «annacquare le indagini» [..] Giuliano mi precisò anche che era presente il direttore dei servizi segreti, facendomene il nome: oggi non sono più certo se si trattasse di Miceli o Santovito. Si trattava comunque di colui che in quel momento era al vertice dei servizi segreti”Ugo Saito, sostituto procuratore, parlando delle indagini sulla scomparsa di De Mauro.
Chi tocca Mattei muore.
Come De Mauro, come il procuratore
Scaglione, ucciso prima di poter deporre in aula nella causa
per diffamazione intentata da Guarrasi nei confronti di diversi
giornalisti.
De Mauro probabilmente era finito in
mezzo ad una guerra più grande di lui, senza rendersi conto: siamo
nei primi anni '70, con la guerra tra DC e PSI per l'occupazione
delle poltrone per le aziende pubbliche.
Potere politico e potere finanziario.
Saito, il procuratore incaricato
delle indagini, chiamato a deporre da Calia, oltre a raccontare
dell'annacquamento, spiega che la sua indagine portava molto in alto,
dalla mafia palermitana a personaggi come il presidente del Senato
Amintore Fanfani (in lotta per la presidenza della Repubblica)
e il presidente Eni Eugenio Cefis:
“Ho anche memoria del fatto che dagli atti potevano emergere ipotesi di responsabilità a carico di alcuni personaggi di rilevo della vita italiana. Fanfani, Cefis…”.
Anche la figlia di De Mauro, Junia, nel
suo diario personale riporta questi nomi, circa le responsabilità
della morte di Mattei.
Come scrisse Leonardo Sciascia, forse
aveva detto la cosa giusta alla persona sbagliata o forse la cosa
sbagliata alla persona giusta.
Il grande elemosiniere, Eugenio
Cefis.
Di Cefis esistono poche foto: lui
stesso non amava finire sui giornali né essere fotografato.
Braccio destro di Mattei, anche lui ex
partigiano bianco, era stato allontanato dall'Eni a gennaio 1962, per
divergenze con Mattei o, più probabilmente, perché quest'ultimo
aveva scoperto di affari poco puliti di sue aziende e del suo doppio
gioco con gli americani.
Uomo dei segreti (e con forti
conoscenze nei servizi), delle operazioni “riservate”
dell'Eni che in Sicilia si appoggiava all'avvocato Guarrasi; una
persona che aveva in pugno giornali e uomini politici, capace di
maneggiare grandi somme di denaro e anche informazioni riservate da
usare per fini personali.
“Cefis ha speso molto denaro in favore del teste oculare Mario Ronchi: gli ha comprato mezzi agricoli, gli ha rifatto la strada e gli versava un certo quantitativo di denaro mensilmente.”Angelo Mattei, 1995.
Documento preso dal sito it.businessinsider.com |
In un appunto del Sismi del 1983,
ritrovato da Calia, c'è scritto
"La Loggia P2 è stata fondata da Eugenio Cefis che l’ha gestita fino a quando è rimasto presidente della Montedison.”
In “Petrolio”, il libro
pubblicato postumo di Pasolini è presente un personaggio che
si chiama Carlo Troya e che ricorda da vicino proprio Cefis: in un
passaggio Pasolini scrive
“«In questo preciso momento storico Troya sta per essere fatto presidente dell’Eni: e ciò implica la soppressione del suo predecessore»”.
Forse anche Pasolini si era avvicinato
troppo a queste guerre di potere, tra finanza e Stato: Cefis che coi
soldi dell'Eni scala la Montedison e diventa presidente della più
importante azienda chimica italiana. Con i soldi della quale poi fa
comprare a Rizzoli il Corriere della Sera, quando finì sotto l'ombra
inquietante della Loggia P2.
«la sostituzione di Troya al presidente dell'Eni e quindi .. l'assassinio di quest'ultimo».
Nell'autunno del 1962, scrive l'autore,
Enrico Mattei era al centro di «un
intricato gioco di ombre, una complessa partita a scacchi avente come
posta in palio la sovranità energetica italiana». Si è detto che
la sua morte era necessaria: la sua personalità rappresentava,
infatti, «una grande anomalia nella vita politica ed economica del
nostro paese, del quale seppe sempre rappresentare con coraggio e
spregiudicatezza gli interessi economici». Tale autonomia andava
eliminata.
(citazioni
prese dal libro di Marco Solia, Mattei obiettivo Egitto).
Potere (economico e politico),
ricatti, nuovi assetti istituzionali, segreti.
Le guerre tra correnti politiche
(quella di Fanfani e quella di Moro) e gruppi di potere e, in
sottofondo, la stampa che in questa storia ha avuto un ruolo poco
edificante.
La giornalista Sabrina Pisu, nella
copertina della seconda parte del libro, scrive:
“Sul cadavere di Enrico Mattei si è giocata una lotta di potere, politico-economico, che ha visto la stampa come un fedele alleato nel depistaggio e sabotaggio della verità.”
Qui si racconta di come, ancora oggi
giornali come il Corriere parlino di misterioso incidente e non di
attentato.
Del ruolo svolto da giornalisti come
Montanelli, “un giornalista di arcani istinti che riuscì a
rendere credibile la favola di essere uno che la cantava ai potenti
di cui era al servizio”, disse Corrado Stajano.
Del ruolo della stampa in generale e
perfino del regista Rosi, che pure avrebbe subito pressioni sulla
sceneggiatura del suo film su Mattei, su pressioni dell'Eni
“Ho fatto molti film sulla mafia e
sulla camorra ma non ho mai ricevuto minacce. Per Mattei ho avuto
minacce, le ho avute. Non mi chiedere nomi, come e quando, però le
ho avute. Sono state [minacce] esplicite, esplicite, molto
esplicite.”
Francesco Rosi, intervista Rai,
1998.
Pressioni e minacce che sono arrivate
anche ai familiari dell'ex presidente dell'Eni.
Il cui attentato ha aperto un
periodo nero nella storia del nostro paese: dopo sono venute
Piazza Fontana e le altre stragi senza colpevoli (per la
magistratura) degli anni settanta.
Un buco nero, per l'assenza di
giustizia e verità che dobbiamo colmare – sono le parole della
giornalista e coautrice Sabrina Pisu durante la presentazione – per
un dovere morale nei confronti delle persone morte.
Una verità che oggi è solo parziale,
sappiamo che è stato un omicidio, abbiamo un quadro chiaro del
contesto politico e storico, ma non abbiamo né possiamo fare, i nomi
dei responsabili.
Ma non dobbiamo per questo fermarci:
dobbiamo aggrapparci alle schegge della memoria, per costruire un
quadro della verità che, seppur incompleto, è sicuramente più vero
della verità di comodo dell'incidente.
La scheda del libro sul sito di
Chiarelettere
e una bella recensione sul sito Businessinsider.
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