I fondi pubblici che hanno finanziato
il cinema italiano, gli studi sugli effetti del vaccino
anti-papilloma virus e, ad aprire la puntata di Report, il servizio
di Sabrina Giannini sull'alimentazione.
Indovina
chi viene a cena: cosa rimane delle uova nei prodotti
industriali che mangiamo?
In Italia si producono 12 miliardi di
uova l'anno, tutte uguali da fuori quando le compriamo fresche, con
tanto di classificazione in base alla loro freschezza e al tipo di
allevamento.
Quando invece mangiamo merendine, o
pasta all'uovo, cosa sappiamo dell'identità delle uova con cui sono
stati prodotti? Sono stati aggiunti additivi?
Secondo la legge sono tutte uova
fresche. Ma non è tutt'oro quel che luccica...
I finanziamenti pubblici al cinema.
La domanda da cui si è partiti è “che
fine hanno fatto i finanziamenti pubblici al cinema italiano”?
In cinque anni il cinema italiano è stato finanziato per 1,2
miliardi di euro.
Soldi spesi per un principio nobile e
importante: produrre film di interesse culturale, riempire le sale
cinema, tenere vivo un settore, quello dello spettacolo, che da
lavoro a molte persone.
Non tutti i film finanziati ne avevano
veramente bisogno, perché film della categoria “cinepanettoni”
dove l'interesse culturale sembra carente.
Con che criterio sono stati scelti
allora, questi film?
In altri casi, il finanziamento tramite
la forma del tax credit, ha nascosto un altro fine: non finanziare un
film, ma fare un semplice investimento.
Tramite lo strumento del tax credit, il
privato che investe soldi nel cinema, riceve dallo Stato il 40% di
quanto investito: a farlo sono state soprattutto le banche (anche
quelle poi finite nei guai come Popolare di Vicenza).
Riassumendo: non sempre sono stati
prodotti buoni film, i cinema perdono spettatori e gli studi
cinematografici cadono a pezzi.
Parte del servizio di Giorgio Mottola
sarà dedicata alla storia dello studio cinematografico di “Papigno”:
ancora prima di andare in onda, il servizio è costato una diffida da
parte dell'attore Roberto Benigni che, come Berlusconi prima e Renzi
ora, ha mandato tramite i suoi legali una lettera alla Rai.
Quel servizio non deve andare in onda.
Si parla dell'investimento che Benigni
ha fatto per rilanciare gli studi di Papigno, a Terni: Tommaso
Rodano sul Fatto Quotidiano ne ha parlato ieri
La puntata di domani racconta, tra le altre, la vicenda degli studi di Papigno, una frazione di Terni, dove il regista toscano ha girato La vita è bella e il meno fortunato Pinocchio. Benigni aveva un progetto ambizioso: trasformare Papigno negli Umbria studios, un nuovo prestigioso polo cinematografico in grado di fare concorrenza anche a Cinecittà, come racconta lui stesso ridendo. La scelta imprenditoriale si rivela sciagurata, nono-stante gli onerosi investimenti pubblici, tra fondi europei, statali e degli enti locali (Report li stima in 16 milioni di euro, anche se la cifra è contestata dall’avvocato di Benigni).
Papigno si trasforma in un pozzo senza fondo, Benigni e Braschi –racconta Report accumulano un passivo di ben 5 milioni di euro. A quel punto arriva un intervento inaspettato: nel 2005 è proprio Cinecittà Studios, la società di Luigi Abete, Aurelio De Laurentiis e Andrea Della Valle, a rilevare gli studi ternani e a farsi carico dei debiti di Benigni (a oggi avrebbero versato 3,9 dei 5milioni di rosso). Papigno però non è stata rilanciata: oggi l’area è completamente abbandonata a se stessa, ha perso valore. Non si gira più un film e sono scomparsi i posti di lavoro (secondo le fonti consultate da Report almeno 200).
Adesso Cinecittà sta per tornare in mani pubbliche. Oltre a un’imponente mole di debiti accumulati da Abete e soci – spiega il giornalista Giorgio Mottola –lo Stato si ritroverà in pancia anche l’investimento in perdita di Benigni e Braschi.L’A RT I STA non ha voluto rispondere alle domande del cronista di Report, limitandosi a una battuta: “Non sa quanti soldi ci ho perso”. Anche lui, come Renzi, ha preferito far parlare gli avvocati.
Oltre ad una possibile situazione da
conflitto di interesse per Abete, nell'articolo di Rodano si
ricordava quando Benigni aveva difeso Report dagli attacchi di
Berlusconi (quando voleva censurarla e togliere la manleva), in nome
dell'articolo 21 della Costituzione. La più bella del mondo..
La
scheda del servizio: “CHE SPETTACOLO!” Di Giorgio Mottola
Un miliardo e duecento milioni: è il contributo di cui ha beneficiato l’industria cinematografica italiana negli ultimi cinque anni, più di tanti altri settori a cui è precluso l’aiuto di Stato. Con i soldi del contribuente è discutibile salvare una banca, secondo l’Unione Europea, ma sovvenzionare il cinema si può: è una questione di identità culturale. Che film abbiamo finanziato per il loro interesse culturale? Si va da “Sapore di te” di Carlo Vanzina, ad “Amici miei – come tutto ebbe inizio” di Neri Parenti, a “Il ricco, il povero e il maggiordomo” di Aldo Giovanni e Giacomo. E poi ci sono i contributi sull’incasso. “Cado dalle nubi” di Checco Zalone, una delle rare pellicole italiane che al botteghino è andata benissimo, ha ricevuto un milione e novecentomila euro: ne aveva bisogno? Ma la principale forma di sostegno che noi contribuenti garantiamo al cinema è il “tax credit” che vuol dire oltre cento milioni di sconti fiscali ai privati che decidono di investire nel cinema. Per ogni euro investito, lo Stato restituisce loro il 40%. Si scopre che a investire sono state soprattutto le banche: Unicredit, Bnl, Monte dei Paschi, la Popolare di Vicenza. Quanti dei soldi del tax credit sono finiti veramente ai film?
Intanto i leggendari studi cinematografici di Cinecittà cadono a pezzi nel degrado e hanno accumulato debiti per oltre 32 milioni. Come siamo arrivati a questo, in una realtà che è stata gestita da super manager come Luigi Abete, Diego Della Valle e Aurelio De Laurentiis? Anche Roberto Benigni è uno che ha investito del suo, ma quando le cose si sono messe male è riuscito a sfilarsi. Cinecittà invece pare che ce la dovremo ricomprare noi contribuenti.
Il secondo servizio di Alessandra
Borella tocca il tema del vaccini, oggi molto attuale per le
polemiche nate dall'obbligo di sottoporre i bambini ai vaccini per
evitare il ritorno di malattie che pensavamo aver eliminato.
Nel servizio si parlerà del vaccino
contro il papilloma virus: se sulla necessità dei vaccini c'è poco
da aggiungere, altro discorso sono i test cui questi devono essere
sottoposti per essere certi della loro efficacia, che non portino ad
effetti collaterali.
Un team di ricercatori indipendenti
ritiene che l'Agenzia del Farmaco non abbia fatto quanto necessario,
per questi test e che ci sarebbe pure una situazione di conflitto di
interesse.
La
scheda del servizio: “EFFETTI INDESIDERATI” Di Alessandra
Borella
Il papilloma virus (HPV) è stato collegato all’insorgere del tumore al collo dell'utero. Per prevenirlo l’Italia è stata il primo paese in Europa ad introdurre il vaccino anti-papilloma virus, tra i più costosi in età pediatrica. Le nostre autorità sanitarie hanno potuto contare su una valutazione positiva dell’Agenzia Europea del Farmaco, che ha dichiarato sicuro questo tipo di vaccini. Ma le segnalazioni sui possibili danni causati dal vaccino anti HPV sono state correttamente valutate? Se lo chiede un team di ricercatori indipendenti danesi della rete “Cochrane Collaboration”, che ha presentato un reclamo ufficiale a Strasburgo. L’accusa è contro l’Agenzia Europea del Farmaco: avrebbe sottovalutato le reazioni avverse e ci sarebbero anche dei conflitti d’interesse che non sono stati dichiarati.
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