Stereotipo: definizione dal sito
della Treccani
stereòtipo agg. e s. m. [dal fr. stéréotype, comp. di stéréo- «stereo-» e -type «-tipo»]. –
1. agg. a. Di stereotipia, realizzato con il procedimento della stereotipia: ristampa s. di un volume; lastre s., le stereotipie, ossia le controimpronte, delle forme di composizione tipografica. b. fig. Impersonale, inespressivo, perché detto o fatto senza partecipazione (meno com. di stereotipato): i soliti discorsi s. da salotto; un sorriso stereotipo.
2. s. m., fig. a. Modello convenzionale di atteggiamento, di discorso e sim.: ragionare per stereotipi. In partic., in psicologia, opinione precostituita, generalizzata e semplicistica, che non si fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente, su persone o avvenimenti e situazioni (corrisponde al fr. cliché): giudicare, definire per stereotipi; s. individuali, se proprî di individui, s. sociali, se proprî di gruppi sociali. b. In linguistica, locuzione o espressione fissatasi in una determinata forma e ripetuta quindi meccanicamente e banalizzata; luogo comune, frase fatta: parlare per stereotipi, abusare di stereotipi; in partic., sinon. di sintagma cristallizzato (v. sintagma). c. Espressione, motto, detto proverbiale o singola parola nella quale si riflettono pregiudizî e opinioni negative con riferimento a gruppi sociali, etnici o professionali.
Se non esistono più gli uomini di una
volta, non esistono nemmeno più gli stereotipi maschili di una
volta.
E allora, cosa sta succedendo agli
uomini? Dove stanno andando?
Dall'uomo “resistente”, che
sfugge alle relazioni con l'altro sesso e, pur continuando a
corteggiarle, a cercarle, non riesce e non vuole concedersi e
abbandonarsi completamente in un rapporto.
All'uomo “nero”, che non
significa l'uomo nero delle fiabe, ma il maschio che fa soffrire, che
ti tiene in sospeso in una relazione senza sbocchi, l'uomo che non
cresce, l'uomo ancorato al suo passato, l'uomo che che si è isolato
in sé stesso e non ha saputo trasmettere niente agli altri, l'uomo
vissuto nel silenzio e col desiderio di sfuggire a questa situazione
..
Dopo “La
resistenza del maschio”, continua il viaggio della
scrittrice Elisabetta Bucciarelli sul maschio, con una
raccolta di cui è solo curatrice: il racconto della mutazione degli
stereotipi comportamentali maschili è affidato alla penna di sei
scrittrici donne. Ciascuno ha raccontato il suo uomo, il suo maschio,
il suo uomo nero.
Attenzione che arriva l'Uomo nero. In alternativa il babau, il Vecchio col sacco, El Coco o Boogeyman. È declinato al maschile.Tendenzialmente oscuro, talvolta antropomorfo, capace di far paura, se va bene rapisce la vittima per un anno intero, se va male la tiene in scacco tutto il resto dei suoi giorni...
Obiettivo non è una condanna senza
appello ai comportamenti maschili, uno scontro tra maschi contro
femmine o un voler generalizzare l'universo degli uomini, “ecco,
tutti i maschi sono così”.
La domanda da cui è partita questa
racconta è stata sul come è cambiato l'uomo, come i cambiamenti in
atto nella società ne stanno influenzando i suoi comportamenti,
quale mutazione è in corso e se ci sono cambiamenti “resistenti”
a questa.
Nei racconti si parla della crisi
economica, della Generazione X cresciuta con le ideologie alle spalle
e senza ideali davanti, della complessità del mondo moderno e della
difficoltà nel prendersi responsabilità.
L'uomo nero, inteso come il cattivo
delle favole, non esiste, come
del resto l'uomo nero nei sei racconti non è necessariamente un uomo
violento.
Come non esistono,
né sono mai esistiti i principi azzurri della favole, gli eroi che
si prendono cura della principessa.
Mentre i sei maschi che vengono qui
presentati sono molto reali, ciascuno, leggendo i racconti, si
immedesimerà anche in alcuni di questi (parlo sia per i lettori
maschi che per le donne, che questi uomini neri incontrano tutti i
giorni).
Non sono persone in fuga, perché non
riescono a cambiare o a muoversi, per i vincoli in cui sono
costretti. Non sono nemmeno persone forti, per i loro vuoti
comportamentali, per la mancanza di un qualcosa dentro che li porti
ad assumersi delle responsabilità (un figlio, l'uscita da una
dipendenza).
Persone forti nell'apparenza ma fragili
nella sostanza.
Sono l'apicoltore di Simona
Giacomelli, che usa le sue parole come arma di seduzione ma non
riesce a mantenere un rapporto né con la compagna che gli rinfaccia
tutte le sue colpe in una lettera
“Mi hai slacciato la camicia con le
parole e il reggiseno con i silenzi. Combinando l’una e l’altra
cosa per otto mesi mi hai portata a letto fino a indicarmi il segnale
intermittente della porta di uscita”.
E nemmeno riesce ad avere un rapporto
maturo col figlio.
Il prof con la passione del doppiaggio
di Anna Scardovelli: una persona che, dopo la malattia della moglie,
scopre che ha avuto una relazione con un uomo da cui cerca
inutilmente quel confronto, quel dialogo che ha atteso da una vita.
“Avrei dato qualunque cosa pur di
trovare un modo per correggere quel vuoto insopportabile. Battere il
silenzio. Ecco, credo che la mia passione per le voci, per il
doppiaggio sia iniziata lì.”
L'angelo della soffitta di Cira
Santoro è l'emblema di quelle persone con la testa rivolta al
passato, che hanno vissuto per il lavoro e che da questo non riescono
a staccarsi.
Dopo una vita in teatro, piuttosto che
andarsene, sono disposti a far venir giù tutto, come Sansone nel
tempio dei filistei: «muoia Sansone con tutti i filistei».
Io, pieno di bianca di Elena Mearini
racconta di un uomo, della sua dipendenza dalla droga e del vuoto
che ha dentro, vuoto che è nato da un vuoto affettivo nel passato:
“lo spazio che mi trova impreparato, io che non so come
occuparlo”.
Il bacio, di Cristina Zagaria, ha
come protagonista un poliziotto, “Boogeyman”: l'uomo
perfetto, visto da fuori. Dentro, un uomo imperfetto, che passa da
una donna all'altra. Un giorno, durante una manifestazione in Val di
Susa, una manifestante l'ha baciato,
Questa è violenza. Un bacio.
Quell’unico bacio, quell’unica violenza, mi ha tolto tutti i baci
futuri. Io credevo nell’amore ..
Questa sera, di fronte a sei ragazze
fermate, si metterà a nudo e ruberà loro quel bacio: l'amore che
tanto cercava, diventerà prevaricazione.
La sindrome di Barbapapà di
Monica Stefinlongo. Lorenzo, dj notturno alla radio, altro uomo
perfetto almeno all'apparenza. Bello, simpatico, giovane. Eternamente
giovane, però, al punto da non vedere gli altri, i loro problemi e
le sofferenze causate.
Figli della generazione X, con sindroma
da Peter Pan: ma questo personaggio alla fine decide di crescere.
La metafora giusta è quella del
Barbapapà:
“Io penso che la nostra sia invece
‘la sindrome di Barbapapà’. Attenzione, questa è la mia teoria,
[..] un blob rosa che può
trasformarsi in tante cose: diventa un castello, un pulmino per
trasportare la sua famiglia”.
Una generazione con tanti sogni in
testa, ma senza la forza (e la sostanza) per realizzarli
concretamente:
“Noi siamo stati in grado di
diventare tante cose belle, ma ci è mancata una struttura forte per
sostenere quello che volevamo essere e creare”.
Il viaggio attorno all'uomo sapiens
moderno non finisce qui, chiaramente: ci sono altri tipologie di
uomini di cui parlare, coi loro problemi nella relazioni. Altri
stereotipati da aggiornare, altre storie da raccontare.
Sempre con quella domanda in testa:
cari maschi, dove stiamo andando?
Le autrici della raccolta:
Nello schiame, di Simona Giacomelli
Il doppiatore di Anna Scardovelli
L'angelo della soffitta di Cira Santoro
Io, pieno di bianca, di Elena Mearini,
Il bacio di Cristina Zagaria
La sindrome di Barbapapà Monica
Stefinlongo,
La scheda del libro sul sito
dell'editore Caracò
e il blog della curatrice della raccolta, Elisabetta
Bucciarelli.
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