13 novembre 2019

Il bluff delle grandi opere - da Grandi Operette di Marco Ponti

Vogliamo abbassare le tasse (sul lavoro) ma dove prendiamo i soldi?
Vogliamo dare gli asili per tutte le famiglie, ma come facciamo?
Evasori si o evasori no? 
E le tasse sulle bevande zuccherate? 
E le auto aziendali?

Uno spunto lo fornisce Marco Ponti nel suo ultimo libro, "Grandi operette" (Piemme editore) spiegando come "i mega-progetti portano pochi benefici e creano poco lavoro. Ma costano tantissimo e generano rendite inefficienti".

Di seguito una anticipazione sul Fatto Quotidiano

Studi e ricerche mostrano che i mega-progetti portano pochi benefici e creano poco lavoro. Ma costano tantissimo e generano rendite inefficientidi Marco Ponti 
Pubblichiamo un estratto del libro di Marco Ponti “Grandi Operette” (Piemme), in edicola dal 12 novembre.
Riassumiamo un bel po’ di cose che sono venute fuori in questo libro.
– Le grandi opere creano poca occupazione, oggi, per ogni euro speso. Solo circa il 25% va a pagare i lavoratori che le costruiscono direttamente. Sono, dicono gli economisti, “ad alta intensità di capitale”. I cantieri sono molto meccanizzati. Poi, certo, le macchine devono essere a loro volta costruite da qualcuno. Ma, nel complesso, l’occupazione creata è poca rispetto a settori dove proprio il lavoro manuale è indispensabile. Pensate alla manutenzione di case, scuole ecc. O quella delle strade, o delle zone franose, che sono un’infinità.
– Poi le grandi opere finiscono, le manutenzioni no. Rimane improvvisamente disoccupata molta gente tutta in una volta. È un problema trovare a tutti subito un’altra occupazione.
– Usano delle tecniche che non innovano niente, tanto che ormai queste opere, anche quelle difficili, le sanno fare dappertutto. Persino le grandi macchine che scavano le gallerie (le “talpe”) a volte sono importate, è una tecnica ormai vecchia, ha trenta anni e più.
– Molte di queste opere fanno grandi danni all’ambiente, sia producendo per decenni un sacco di inquinamento nei cantieri, sia avendo un impatto poco piacevole sul fantastico paesaggio italiano, una nostra grande risorsa di cui ci rendiamo poco conto.
– L’argomento che le grandi opere ferroviarie farebbero bene all’ambiente togliendo traffico alle strade è ridicolo. Ne tolgono poco e anche sfoltendolo, riducono relativamente l’inquinamento. Il 90% del traffico continuerà a usare la strada, e inquinerà sempre di meno. Già oggi un camion moderno inquina un decimo di uno di vent’anni fa.
 
– I cittadini e le imprese vogliono le ferrovie solo a parole. Se se le dovessero pagare, non le prenderebbe nessuno. Le prendono, compresa l’alta velocità tanto decantata, solo perché la gran parte del costo lo pagano, o lo hanno pagato, gli altri. I sussidi alle ferrovie sono stati talmente alti e assurdi da scavare una grande crepa nei conti pubblici, all’incirca un quarto del buco totale dopo la Seconda guerra mondiale. 
– Nel settore delle grandi opere c’è poca concorrenza (gli industriali non la vogliono). Tantissime cose devono essere comprate sul posto, perché costa troppo farle venire da lontano: il ferro, il cemento, la ghiaia e la sabbia con cui impastarlo, le stesse macchine del cantiere possono venire solo da vicino. E questo succede in tutto il mondo, e determina dei guai, perché la concorrenza in questo mondo non rende. Non è come per il computer su cui sto scrivendo, che ho potuto scegliere tra una dozzina di offerte. 
– La poca concorrenza significa maggiori profitti, e più certi. Questi non si chiamano nemmeno più profitti, si chiamano rendite, e non fanno crescere niente.
– Poca concorrenza, e i grandi profitti che di solito ne seguono, sono anche una grande fonte di corruzione, e fanno molto gola alle mafie, che infatti sono molto presenti nel settore, non più con la lupara e la coppola, ma con legalissime società e funzionari in giacca e cravatta, ai quali però non piace affatto sentir parlare di concorrenza.
Ma è poi vero che le grandi opere funzionano così male? Guardiamo un po’ cosa dicono quelli che se ne sono occupati, guardandole e facendo i conti in giro per il modo, cioè gli studiosi specializzati.
 
Non ci sono dubbi possibili: una quindicina di anni fa è stata fatta una mega-ricerca mondiale su diverse centinaia di grandi opere nel mondo. Non sono dati recentissimi, ma, come si è ben dimostrato qui guardando molte grandi opere più recenti, non è che la realtà sia molto cambiata, anzi. 
Il principale autore della ricerca, il professore danese Bent Flyvbjerg ha dichiarato che non può più metter piede in Svezia da quando, richiesto da un giornalista, ha detto che una linea ferroviaria da nord a sud del paese serviva al massimo a far viaggiare comode le renne (ma piaceva molto ai politici). Forse esagerava, ma è certo che i numeri sono impietosi, e soprattutto per le ferrovie. I costi veri sono risultati praticamente sempre molto più alti di quelli previsti dai costruttori: circa una metà in più. Il traffico previsto idem: è risultato più o meno la metà, soprattutto nei primi anni, i più importanti per giudicare se un investimento pubblico è utile o meno.
La ricerca analizza con gran cura il perché di questi errori, ma per chi ha letto fino a qui la risposta è facilissima: gli studi e le previsioni di costo e di traffico sono sempre fatti da chi vuole costruire l’opera, e con soldi non suoi, ma con quelli di chi paga le tasse. E non solo: coloro che decidono, oltre a non rischiare soldi propri, non dovranno nemmeno rendere conto, come politici, dei risultati ai loro elettori: le grandi opere sono lunghe da realizzare, loro non saranno più lì e comunque nessuno si ricorderà delle loro mirabolanti promesse.

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