Il giudice meschino di Mimmo Gangemi.
Calabria: un magistrato (Giorgio Maremmi) viene ucciso. Un suo amico (Alberto Lenzi), un altro magistrato "scioperato e donnaiolo", decide di andare a fondo, per capire che indagini stesse facendo. Viene fuori una storia di rifiuti, di scorie seppellite in un fondo e di una indagine scomoda, che nemmeno il capo della procura vuole sentire.
Lungo le parole al Procuratore s'appiattirono, fino a scomparire, i due solchi attorno alla bocca che sempre si stampava al cospetto di Lenzi. Appena spuntarono le scorie radioattive e, sullo sfondo, la morte di Giorgio Maremmi, sentì risalire in bocca la zuppa di latte, con il biscotto croccante di pane, consumata quella mattina. E lo ebbe in odio come mai quella mattina.
Un tale scioperato, uno dedito solo alle femmine e a ogni sorta di vizio, non poteva uscirne così, senza avvisaglia alcuna, con novità capaci di guastargli l'obiettivo di chiedere la carriera con il botto, da Procuratore Generale nella sua Reggio. Argomento che disturbava i potenti, quello. Da scansare più del bacio di un capobastone. Come lo aveva scansato al tempo in cui Maremmi - altra cocuzza - vi si era lanciato, anni prima, togliendoglielo per affidarlo a un collega più saggio che s'era ustionato le dita al solo aprire il fascicolo e l'aveva subito risposto nell'archivio.
Con buona pace di tutti, dato che dall'alto del cielo glielo avevano spiattellato senza tanti giri di parole che non era il caso, per non causare panico nella popolazione, per non dare voce alle speculazioni dei verdi e perchè i tempi non erano maturi per scoperchiare la pentola, essendoci implicati a livelli intoccabili - politici nazionali, servizi segreti e massoneria, sempre prezzemolo di ogni minestra, persino capi di Stato stranieri.
Calabria: un magistrato (Giorgio Maremmi) viene ucciso. Un suo amico (Alberto Lenzi), un altro magistrato "scioperato e donnaiolo", decide di andare a fondo, per capire che indagini stesse facendo. Viene fuori una storia di rifiuti, di scorie seppellite in un fondo e di una indagine scomoda, che nemmeno il capo della procura vuole sentire.
Lungo le parole al Procuratore s'appiattirono, fino a scomparire, i due solchi attorno alla bocca che sempre si stampava al cospetto di Lenzi. Appena spuntarono le scorie radioattive e, sullo sfondo, la morte di Giorgio Maremmi, sentì risalire in bocca la zuppa di latte, con il biscotto croccante di pane, consumata quella mattina. E lo ebbe in odio come mai quella mattina.
Un tale scioperato, uno dedito solo alle femmine e a ogni sorta di vizio, non poteva uscirne così, senza avvisaglia alcuna, con novità capaci di guastargli l'obiettivo di chiedere la carriera con il botto, da Procuratore Generale nella sua Reggio. Argomento che disturbava i potenti, quello. Da scansare più del bacio di un capobastone. Come lo aveva scansato al tempo in cui Maremmi - altra cocuzza - vi si era lanciato, anni prima, togliendoglielo per affidarlo a un collega più saggio che s'era ustionato le dita al solo aprire il fascicolo e l'aveva subito risposto nell'archivio.
Con buona pace di tutti, dato che dall'alto del cielo glielo avevano spiattellato senza tanti giri di parole che non era il caso, per non causare panico nella popolazione, per non dare voce alle speculazioni dei verdi e perchè i tempi non erano maturi per scoperchiare la pentola, essendoci implicati a livelli intoccabili - politici nazionali, servizi segreti e massoneria, sempre prezzemolo di ogni minestra, persino capi di Stato stranieri.
La scheda sul sito di Einaudi editore.
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