“Lo Stato si arrese alla mafia. E non solo sul carcere duro”
Nicola Mancino ha ragione: in questa storia è una persona molto informata sui fatti, non fosse altro per il suo incarico da ministro dell’Interno (ricoperto per ventidue mesi, tra la fine di giugno del 1992 e l’aprile del 1994) che gli consente, come a pochissimi altri, di avere notizie di prima mano per via ufficiale. È direttamente al ministro – a lui in persona – che si rivolgono le più alte autorità investigative inviandogli analisi e dossier per interpretare i grandi fatti criminali del paese. È il caso di un’importante nota riservata che la Dia gli recapita il 10 agosto 1993: ventiquattro pagine in cui – a un anno dalla strage di via D’Amelio, mentre a Caltanissetta si lavora sulle piste del falso pentito Scarantino – si dice chiaramente che il massacro di Paolo Borsellino e dei suoi agenti di scorta non è il classico attentato di mafia, ma che Cosa nostra è stata compartecipe di un progetto disegnato e gestito insieme a un potere criminale diverso e più articolato, con obiettivi che andavano al di là degli interessi esclusivi delle cosche...
Ben prima delle rivelazioni di Giovanni Brusca e di Massimo Ciancimino il più importante organo di coordinamento investigativo italiano presenta al ministro dell’Interno un quadro interpretativo chiaro e inequivocabile:
1) c’è un piano per destabilizzare lo Stato democratico ideato da poteri criminali diversi e attuato con il braccio armato della mafia;
2) la risposta delle istituzioni è stata fin qui efficace e il carcere duro sta mettendo alla prova Cosa nostra: i capi perdono prestigio e sempre più mafiosi decidono di arrendersi e collaborare con la giustizia;
3) le bombe di Firenze, Roma e Milano sono una sfida per indurre le istituzioni a una trattativa e qualsiasi allentamento del carcere duro – la revoca, anche solo parziale, del 41 bis – sarebbe considerato dai mafiosi un cedimento dello Stato alla strategia del terrore.
La risposta dello Stato fu che poche settimane dopo, il ministro della Giustizia, Giovanni Conso, tolse il carcere duro a oltre trecento mafiosi.
La testimonianza di Gianni De Gennaro (allora capo della Dia, di fronte al GUP Morosini)
Giudice Morosini: In quella nota della Dia, dopo aver parlato degli attentati e del possibile ricatto allo Stato si dice testualmente: “È chiaro che l’eventuale revoca, anche solo parziale, dei decreti che dispongono l’applicazione dell’articolo 41 bis potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe”. Io mi chiedo il perché di quella precisazione.
De Gennaro: Mah, io penso che vada riletta nel contesto.
Giudice Morosini: Sì, ma qua sembra che voi parliate ad altri poli istituzionali.
De Gennaro: Mah.
Giudice Morosini: Cioè è quasi una sollecitazione... guardi, qua la sensazione che ho io è che siete... voi agite in una situazione in cui tutti hanno la linea della fermezza sulle labbra, ma c’è qualcuno che probabilmente nel cuore potrebbe avere altre idee.
De Gennaro: Guardi, signor giudice, che l’attuazione di quella misura di detenzione aveva delle difficoltà di applicazione in sede carceraria.
Giudice Morosini: Sa qual è il motivo di curiosità processuale rispetto a questo documento? È che si fa riferimento a due anime dentro l’organizzazione mafiosa, di cui una più disponibile a una “interlocuzione” in presenza di qualche concessione carceraria.
Per questo le chiedevo... poteva anche fisiologicamente emergere, in un’ottica di diverse sensibilità del circuito istituzionale, qualche voce che – magari in ossequio al rispetto del trattamento della persona – poteva avanzare dei punti di vista diversi. Mi ha colpito quel riferimento: attenzione, non diamo segnali di cedimento sul carcere.
De Gennaro: Guai a dare interpretazioni quando c’è una oggettiva delicatezza della domanda. Per quello che sicuramente è il mio ricordo c’era certamente una difficoltà applicativa e c’era anche una discussione in termini teorici dell’istituto. La prego di non chiedermi perché.
Giudice Morosini: Però non si ricorda chi.
De Gennaro: Non ho un ricordo.
(Testimonianza di Gianni De Gennaro, udienza preliminare del processo sulla trattativa Stato-mafia, 12 febbraio 2013).
Nessuno io mi chiamo; nessuno è il nome che mi danno il padre e la madre e inoltre tutti gli amici
05 febbraio 2014
Il protocollo fantasma: la revoca del carcere duro e la trattativa
Da Il fatto quotidiano del 28 gennaio 2014: uno stralcio del libro di Walter Molino "Il protocollo fantasma" (Il saggiatore).
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