03 novembre 2014

Report – siamo tutti oche

Perché tutti i marchi del lusso sono andati in Europa dell'est, per produrre i loro capi come i piumini d'oca?
Posti come in Ungheria, la Moldavia o addirittura paesi nemmeno riconosciuti dall'Onu come la Transnistria?
Quanto incide il costo di produzione dei capi di lusso sul costo finale del prodotto? Quanto costerebbe a Moncler, Prada, Versace se la produzione rimanesse in Italia? Avrebbero comunque margini per fare profitto?

Queste sono le domande cui ha dato una risposta il bel servizio di Stefania Giannini, che per mostrarci le immagini degli allevamenti di oche in Ungheria ha pure rischiato di prendersi una bella forconata.
Si parte dai piumini d'oca, quelli con marchio Moncler, marchio acquistato dall'imprenditore Ruffini. Capi che costano anche mille euro, ma che l'imbottitura sia costosa (e valga quel prezzo) è tutto da vedere, anche se è quello che il marketing vuole farci credere. Ma cosa c'è dietro il mondo dei piumini d'oca?
Di certo non ci sono tutte le belle immagini griffate delle campagne pubblicitarie.
Le oche da cui vengono le piume dell'imbottitura sono allevate dall'Ungheria e, come il contadino che le alleva, non sono così griffate. Le oche non sono presentabili come i bei modelli delle foto.
Filmare un allevamento, in questo paese, non è cosa facile: i giornalisti devono posizionarsi lontano dagli allevamenti, per non rischiare di essere aggrediti coi forconi (quelli veri, non metaforici).
Questa è gente che non ama che i giornalisti filmino le loro irregolarità.
Il lato oscuro del lusso nasconde allevamenti dove non si rispettano le norme europee che tutelano gli animali. E per la prima volta le telecamere di una televisione pubblica mostra queste immagini.

Le associazioni animaliste denunciano da anni le condizioni con cui vengono spiumate le oche, per prendere le loro preziose piume (quello che poi finisce nei giubbotti Moncler): in teoria dovrebbero essere presi in modo naturale, quando tra giugno e ottobre cambiano piumaggio.
I giornalisti di Report per avvicinarsi agli allevamenti hanno dovuto presentarsi come acquirenti: hanno potuto vedere coi loro occhi che le piume sono prese dalle oche vive (tenute ferme con le corde), in modo illegale.
Dopo la spiumatura, per disinfettare le ferite, vengono spennellate col mercurio cromo. Tutto questo succede 4 volte all'anno.
Le oche, dopo il trattamento, sono impresentabili: il 20% di loro subisce ferite gravi. Le immagini sono state portare all'Efsa, in UE.
Sabrina Giannini:A seguito della sua denuncia, 4 anni fa, gli esperti dell’Agenzia per la Sicurezza Alimentare Europea rilasciano il parere secondo cui “tale pratica può essere effettuata senza causare sofferenza o lesioni, se eseguita nel momento in cui sono in fase di muta e se vengono utilizzate tecniche di spazzolatura e pettinatura”.Ma non si trova un solo filmato che mostri queste tecniche delicate, si saranno basati su questo.Gli esperti ammettono che “vista la situazione attuale del commercio, la spiumatura -un sistema di raccolta delle piume che causa dolore - è inevitabile”.“Inevitabile” per un mercato dove aumenta progressivamente la domanda di piuma.Ma questi esperti arruolati dalla Commissione Europa avrebbero dovuto decidere solo sul benessere animale e non pensare agli interessi commerciali. Avrebbero dovuto suggerire il bando totale della spiumatura da vivo, sapendo bene che negli allevamenti industriali non conviene pettinare le piume... piuttosto si lasciano al vento.Oppure si spennano illegalmente. E si rivendono nel mercato senza macchia: basta dire che sono state pettinate. Grazie alla patente che rilascia la Commissione Europea.


E dunque la patente della commissione europea è stata rilasciata lo stesso, senza fare troppi controlli.
La paga degli operai è di 30 centesimi di euro: sono pagati a cottimo in nero, che hanno tutto l'interesse a fare in fretta. A discapito degli animali.

Gli acquirenti europei delle piume ungheresi sono tedeschi e italiani, che non si interessano della provenienza e di come le oche sono state spiumate.
Anche per il fegato, le oche sono maltrattate: sono forzare all'alimentazione, in deroga alle regole sul benessere animale. E le loro piume sono comunque vendute per fare altri piumini.

Naturtex, una delle più grande aziende del posto, acquista le piume grezze delle oche da macello: sono piume di scarto di poco prezzo. Ma con qualche passaggio di mano, la qualità cresce.
Tra l'altro nei piumini dei marchi di lusso nemmeno si capisce di che qualità siano le piume, se di oca (con maggiore potere gonfiante) o di anatra (di minore qualità).
Quando il piumino sparisce dentro un giaccone, come riconosci la qualità?

Il costo di un piumino Moncler: l'azienda spenderebbe dai 20-30 euro per i piumini, se acquistasse il miglior piumino. Forse per noi consumatori converrebbe acquistarli direttamente dall'Ungheria.
Nei piumini non c'è tracciabilità e nemmeno possiamo sapere da dove arriva il materiale: ma quanto costa l'intero prodotto, prima di arrivare nelle boutique?
Remo Ruffini è un imprenditore capace, italiano, che ha acquistato un marchio straniero. Ma produce poco in Italia: ha preferito spostarsi all'estero, usando (dice lui) i migliori prodotti. Ma i 20 30 euro di produzione sono sufficienti per sacrificare posti di lavoro?

L'inchiesta di Report mostra in realtà che la qualità della produzione non sembrerebbe eccelsa, almeno per l'imbottitura.
Gli imprenditori, anche italiani, che lavorano qui, sono preoccupati della qualità dei prodotti che Moncler gli passa
PROPRIETARIO FABBRICA CONFEZIONI IN ROMANIAMa… li mando indietro, se li facciano dove cazzo vogliono, loro e i loro capi. È un tessuto di merda questo qui. È un disastro. Partono i fili che... guarda qui. Che cazzo.

Moldavia, Romania, Armenia: qui si produce il Moncler (e Belstaff e Versace) a prezzi più concorrenziali rispetto ai produttori italiani.
In Romania si lavora nelle aziende di Ceausescu, in aziende che producevano le stoffe delle divise militari. Non a caso si lavora con una mentalità ancora sovietica, come livelli di produzione.
Qui un capo costa circa 40 euro, 45 euro al massimo: costa meno rispetto a quella italiana, ma non tanto da giustificare la delocalizzazione della produzione (anche perché non incide sul prezzo finale del capo).
Una volta questi capi venivano prodotti in Italia da aziende che sono rimaste senza commesse da un giorno all'altro, tagliati fuori da Moncler e gli altri. Per spingere al massimo il profitto.

I marchi del lusso possono disfarsi i piccoli produttori italiani, che sono stati costretti a lasciare a casa i lavoratori e a perdere i soldi dei loro investimenti per le macchine.
In 6 anni 400000 addetti nel manufatturiero hanno perso il posto: i marchi del lusso danno la colpa al costo del lavoro. Peccato che produrre in Italia abbia costi paragonabili a quelli rumeni: con 55 – 60 euro si portavano a casa il piumino.
Sono 10 euro, che fanno la differenza, su milioni di capi. Chi se ne frega dei posti di lavoro in Italia?

Le aziende rumene hanno comunque margini ridotti, e le operaie romene hanno preferito andare a lavorare in Italia. Non sono riusciti nemmeno ad importare le operaie dalla Cina, che hanno scioperato per migliori condizioni di lavoro. Così pochi giovani entrano in questo settore.

A raccontare di questa realtà Report ha intervistato Giuseppe Iorio: era l'esperto delle fabbriche della Romania, un pentito del lusso, uno che faceva il lavoro sporco che ha ucciso i laboratori italiani. È lui che per la prima volta parla dello spostamento della produzione verso la Transnistria.

L'avidità non è illegale, spiegava la Gabanelli: ma se la ricaduta sul sistema paese è spianare tutto l'indotto, con la cancellazione di un patrimonio di esperienza, questo è un problema del paese.

La Transnistria: in questo paese i giornalisti non possono entrare, è una zona franca per il traffico di armi, controllata da quello che rimane dal kgb. ma Prada l'ha trovato gradevole.
La giornalista ha subito tre controlli del passaporto: in albergo ti fanno sapere che non accettano la credit card, ma gli euro sono ben accettati.
Forse perché della manodopera che viene sfruttata per il lusso, nessuno ne deve sapere.

Sabrina Giannini ha sentito il direttore della fabbrica Intercentrelux, che produce per l'80% per marchi italiani.
Come Prada, per cui fanno tutto (taglio, stiro), e prendono per il loro lavoro 33,80 euro. Ancora meno dell'Ungheria, ma Prada vorrebbe pagare 20 euro, per sei ore di lavoro.
Significa 5 euro all'ora, un quarto del costo del lavoro in Italia.
Ma nei negozi, i capi di Prada made in Moldavia costano anche 2000 euro (ne costerebbero molto meno)…

Paradossale che nella repubblica dei soviet, non si possono conoscere diritti sindacali e stipendi. E che sui marchi sia scritto made in Moldova, non Transnistria. E l'UE chiude gli occhi.

Qui Moncler ha delocalizzato nel 2010, in un paese fuori da ogni regolamento internazionale, coi salari più basse, con le produzioni organizzate (stile soviet).
Capi che costerebbero 50 euro in Italia, vengono prodotti a 33 euro in Transnistria, per essere venduti a 1200 euro. Non ci sarebbero ragioni per spingere così verso il profitto e delocalizzare: pensate quanti posti di lavoro potrebbe creare Moncler e gli altri marchi, se tornassero in Italia.

Il presidente del Consiglio Renzi, che oggi visiterà un'azienda (la Palazzoli) che non permette riunioni sindacali da anni, il 15 dicembre 2013 ha elogiato Ruffini e il suo finto made in Italy. E pensare che lui sta dalla parte di quelli che creano posti di lavoro.

Milena Gabanelli ha poi mostrato i volti dei più ricchi imprenditori italiani: Prada, Armani, Bertelli, Diego Della Valle,Dolce e Gabbana, Cucinelli
Tutti famosi per i loro marchi made in Italy, ma eccetto per Cuccinelli, producono in parte all'estero, dove ci sono prezzi stracciati.
Visto che ora sono ricchi, che potrebbero concedersi il lusso di credere nel loro paese, senza pensare troppo al profitto. Dopo che hanno fatto tutti terra bruciata della produzione in Italia, puntando solo sul marketing.

Il caso Cucinelli: partito dall'Umbria, questo imprenditore è rimasto sempre in Italia e in sette anni ha triplicati i suoi dipendenti: sono contento che in Italia esistano persone come Cucinelli, dei veri galantuomini, capaci di coniugare impresa e dignità del lavoro. Capaci di avere una visione lungimirante. L'impresa deve pensare a 3 anni, ma anche a 30 anno e a 30 secoli.
È la dimostrazione che si può produrre in Italia e fare guadagni onesti. Ed essere perfino quotati in borsa: “vorrei fare profitto nella dignità dell'uomo”.

Fanno 9% di utili all'anno, un utile sano: il signor Cucinelli (che meriterebbe qualche titolo se già non ce l'ha) dice che si potrebbe alzare il profitto, ma tagliando sugli investimenti in produzione.
Degli altri che producono all'estero, risponde che “non sono qui per giudicare”.

Qui i dipendenti arrivano dalle scuole, dove gli studenti sono pure pagati: a dimostrazione del fatto che gli italiani certi lavori li fanno ancora, se pagati dignitosamente.
Perché qui la rammendatrice (il cuore del lavoro) guadagna il 15% in più di un impiegato. E hanno pure preso il premio di produzione.

L'appello di Milena Gabanelli: “tornate a produrre in Italia, potrebbe essere l'ultimo treno che salva la manifattura”.


Il link dove rivedere la puntata e il pdf con la sua trascrizione.

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