Primo maggio, festa del lavoro. Il
lavoro, cardine fondante della Repubblica: ma il lavoro quale? Oggi
quando si parla di lavoro si intendono tante cose. Ognuno vede il
lavoro secondo una propria visione di comodo, così oggi possiamo
parlare del lavoro che c'è in Italia, di come viene raccontato e
poi, di come dovrebbe essere.
Per cominciare un esempio: a Mantova il
palazzo ducale è rimasto chiuso nella giornata di Pasquetta, perché
non si sono trovati volontari disposti a lavorare quel giorno per
tenere aperta la struttura.
Nelle polemiche del giorno dopo (come
vogliamo accogliere i turisti in questo modo?) si è poi scoperto che
bastava organizzarsi per tempo e che, il problema vero, era la
scarsità del personale.
Oggi il museo è aperto, i volontari
sono stati trovati: significa che se si investisse in questo settore
si potrebbe creare occupazione di buon livello che ha anche un
ritorno economico.
Ma forse fa più comodo tenere i musei
chiusi, fare le solite polemiche strumentali (contro sindacati?
Contro il pubblico?).
Il lavoro oggi è anche quello dei riders, i dannati della gig economy, con paghe basse e l'algoritmoche detta loro orari e percorsi. Sono lavoratori autonomi ma sotto
padrone. Costretti al cottimo.
Con quale futuro?
Il lavoro oggi è quello dei lavoratori
della logistica, un far west di cooperative, di facciata, con cui si
livellano al ribasso salari e diritti. Lavoratori che portano le
merci a casa delle persone per i grandi store, Zara o Amazon.
Il lavoro è oggi anche quello dei
lavoratori dei call center: sono passati almeno dieci anni dal film
di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti”, basato sul libro di
Michela Murgia. Oggi le cose sono pure peggiorate, per la concorrenza
al ribasso (si chiama dumping sociale dentro l'Europa) dovuta alla
delocalizzazione.
Oggi il lavoro è quello dei lavoratori
alla spina, come li ha definiti il servizio di Presa diretta andatoin onda a febbraio: alla spina perché usa e getta, perché senza
alcuna visione di futuro.
Negli outlet, nei centri commerciali,
nella gig economy, negli studi di ingegneria o in studi legali.
Oggi il lavoro proprio non lo si vuole
pagare, anche in settori delicati come quello della giustizia, coi
giudici onorari pagati a sentenza.
Lavoratori che muoiono per lavoro,
subiscono incidenti: sono numeri in crescita quelli degli incidenti,
sono 27 le morti solo in Lombardia (212 in Italia, +11%) quest'anno,
l'ultimo quello dei tre operai alla Lamina.
Colpa della bassa formazione, dell'uso
di contratti come quello da florovivaista per lavorare nei cantieri,
o lavoratori delle pulizie, con contratto multiservizi, che posano i
cavi della fibra a Genova.
Servirebbero norme certe, servirebbero
controlli. Eppure i controllori non ci sono e nemmeno la volontà
politica di farli, di punire le aziende che non rispettano le regole.
Ma se una persona segue i commenti di
giornalisti, opinionisti, politici su questo Primo Maggio, si sentirà
parlare di altro.
Del milione di posti di lavoro.
Delle riforme sui temi dei diritti
civili, tra cui la legge contro il caporalato, contro le dimissioni
in bianco.
Ma ci sono anche gli insofferenti alla
festa del lavoro: basta con questa inutile liturgia – li senti dire
– il paese ha bisogno di lavoro, le aziende devono fare profitto
altrimenti chiudono, i sindacati non rappresentano più nessuno..
Sono i fautori della
deregolamentazione, della disintermediazione tra impresa e
dipendenti, delle aperture domenicali. Sono coloro per cui il lavoro
va bene, qualunque sia.
Eppure le aperture domenicale, volute
dal governo Monti, non hanno creato nuova occupazione e non hanno
spostato il PIL di percentuali significative.
Si sono creati lavoratori poveri, sotto
ricatto (perché non possono rifiutare le chiamate all'ultimo
minuto), senza futuro.
E la legge sul caporalato non ha impedito che questo continuasse nei campi del sud, dove gli sfruttati della raccolta del pomodoro continuano a vivere nei ghetti, in condizioni di schiavitù.
E la legge sul caporalato non ha impedito che questo continuasse nei campi del sud, dove gli sfruttati della raccolta del pomodoro continuano a vivere nei ghetti, in condizioni di schiavitù.
Infine, il lavoro come dovrebbe essere:
sta tutto scritto nella Costituzione.
Il lavoro che rende la persona una
parte di un tutto, di una società in cui ha una vera dignità, un
ruolo, la possibilità di realizzarsi e di ricevere un giusto
salario.
Con dei doveri e dei diritti ben
definiti, per cui esiste un giudice in grado di farli valere, non per
gentile concessione del principe.
Siamo nell'epoca della flessibilità,
dell'insicurezza, dell'economia che oggi c'è e domani chissà?
Ecco, allora non scarichiamo questi
problemi sugli ultimi.
Frasi come quelle sentite dall'ex
ministro Sacconi “meglio seicento euro che niente” non si possono
più sentire.
Sbaglia Sacconi e sbagliano i talebani
della flessibilità: impoverendo il lavoro si impoverisce la società,
la classe media in particolare.
Si inceppa l'economia, perché la gente
non può spendere.
Si sta creando un enorme problema
sociale che o viene governato dalla politica, oppure è destinato ad
esplodere.
Primo Maggio, festa del lavoro, non si
può non ricordare i primi martiri del lavoro di questa Repubblica:
le persone uccise a Portella della Ginestra nel primo atto di
terrorismo politico mafioso, nel 1 maggio 1947.
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