Poche ore prima della trasmissione uno
studente di 16 anni è morto in un incidente stradale mentre
stava completando uno stage aziendale: è l'ultima disgrazia sul
lavoro e purtroppo non sarà l'ultima. E’ cominciata con una
notizia di cronaca la puntata di Presadiretta che ha raccontato delle
morti bianche (una strage che sembra non fermarsi mai), dei salari da
fame, del far west dei contratti, dei controlli insufficienti.
Quando il lavoro viene spezzettato,
destrutturato, anche il lavoratore rischia di fare la stessa fine:
schiacciato da una gru o stritolata dentro una macchina tessile, come
successo a Luana D'Orazio, morta a Prato lo scorso maggio e
che il ragazzo e la mamma ancora non si riescono a spiegare. Luana
parlava spesso del suo lavoro (dove aveva la qualifica di
apprendista), delle condizioni di sicurezza dove lavorava, di come
spesso dovesse rimanere sola davanti la macchina, di come tornasse
spesso distrutta a casa.
Qualche settimana prima le era già
capitato di rimanere agganciata alla staffa, quella sporgenza della
macchina (l'orditoio) a cui lavorava, ma era riuscita a sganciarsi.
Sula macchina che doveva controllare le
protezioni di sicurezza erano state rimosse da tempo, sono state
rinvenute delle ragnatele sulla grata che mantiene l’operatore
lontano dagli ingranaggi: se i dispositivi fossero stati attivi
l'incidente non poteva accadere in nessun modo – racconta il
consulente legale della famiglia.
La procura di Prato ha depositato la
richiesta di rinvio a giudizio per i due proprietari i quali, si
difendono, affermano di non sapere nulla dei dispositivi e nemmeno
della scarsa preparazione degli operai. Ma queste dichiarazioni
cozzano con quanto hanno riportato i colleghi di Luana: i dispositivi
erano tolti per aumentare la produzione, una prassi comune in tante
aziende piccole e destrutturate.
Andare e lavorare e non tornare a
casa no.. non lo accetti – racconta a Presa diretta il
fidanzato – Luana è la mia ragazza e io con questa ragazza ci
dovevo fare la vita, ma non gliel'hanno permesso.
Non si possono più accettare i
discorsi “ma si è sempre fatto così”, con poca
sicurezza, chiedendosi se la sera si torna a casa.
Le storie di chi muore su lavoro
sono simili: storie di precarietà, di subappalti, di poca
manutenzione e sicurezza per il profitto. Sfruttamento e dignità
negata di chi lavora.
Il viaggio di Presadiretta nel mondo
del lavoro parte da chi oggi sta cercando lavoro: i dati
sull'occupazione sono positivi, dicono le statistiche, ma a
trascinare la ripresa sono i contratti a termine, stagisti, part
time. Tutti con salari da fame, con una media da 5 euro all'ora,
sempre sotto i mille euro al mese.
Oltre 5 milioni di lavoratori
guadagnano meno di 830 euro al mese: sono le 830mila persone che
tengono in piedi i beni culturali nei musei, che guadagnano a full
time 1100 euro al mese.
Guide, archeologi, archivisti, addetti
alle biglietterie e allo shopping sono tutti assunti in modo
esternalizzato, a volte anche liberi professionisti.
Come Cristina Chiusura,
fondatrici dell'associazione Mi
riconosci che si sta battendo per eliminare il volontariato e
il tirocinio dentro musei e luoghi d'arte, una prassi comune da nord
a sud, a Senigallia persino il direttore del museo è a titolo
gratuito.
C'è una classe imprenditoriale che sta
facendo i soldi (sulla cultura) sfruttando una marea di giovani,
preparati e pagati poco: ad ogni bando fatto nei musei, ad ogni
appalto, lo stipendio si livella verso il basso.
Così si sta formando un capitale umano
che lavora con contratti precari mentre il ministero dei beni
pubblici lamenta una carenza di personale: la politica ha fatto la
sua parte con la bulimia delle riforme del lavoro che hanno svalutato
la dignità dei lavoratori e smantellato i loro diritti – spiega
Marta Fana, ricercatrice italiana molto dentro le dinamiche
del mondo del lavoro.
Stiamo producendo un mondo del
lavoro più povero è anche più vulnerabile: l'Italia
è l'unico paese dove in dieci anni i salari sono calati, -2,9%,
perfino la Grecia ha visto crescere i propri salari.
Paghiamo poco perfino gli operatori
socio sanitari, gli archeologi che proteggono i nostri tesori, quelli
che consideriamo il nostro “petrolio”.
Chi entra nel mondo del lavoro si sente
dire che l'importante è la visibilità che ti viene data, “inizia
a lavorare e poi si vede”, nel mondo del giornalista e dei
pubblicisti poi è tornato il cottimo, quello di Lulù del film di
Elio Petri.
C'è poi il problema del nero,
nei ristoranti e nei bar,
persone assunte per lavorare
poche ore e che invece sono costrette a turni lunghissimi:
le loro storie sono raccolte sulla pagina del partito Possibile,
storie di baby sitter, baristi, perfino architetti, giornalisti,
laureati, persone che lavoravano, con contratti a termine che nemmeno
gli consentono di vivere dignitosamente.
Si arriva al paradossi di dover pagare
per lavorare: avete capito bene, ad un ragazzo con uno di questi
contratti a termine è stato proposto dal suo capo di chiedere un
mutuo per poter colmare il salario insufficiente e poter vivere e
lavorare in una città del nord.
Non è lavoro, è sfruttamento e questo
sta diventando l'unico modo di far andar avanti il sistema: ci si sta
assuefacendo a questo modo di concepire questo sistema.
Un sistema dove sei costretto a fare
più lavori per sopravvivere, rischiando di sprofondare nella
povertà, cosa più facile se sei al sud, se sei una donna, giovane.
Abbiamo salari bassi e una
percentuale di part time non volontario più alto in Europa, il 49%
delle lavoratrici assunte è a part time, per poche (anche tre ore)
al giorno.
Come le signori delle pulizie, che
prendono 9 euro all'ora: è il contratto di multiservizi, talmente
vago che dentro trovi lavoratori della logistica e del mondo delle
pulizie.
Sono le imprese che decidono quale
contratto applicare ai lavoratori, avendo la forza e il potere di
ricattare le persone che cercano lavoro: se non ti piace, troveremo
qualcuno che sarà meno schizzinoso di te (o come diceva la ministra,
choosy).
L'articolo 36 della costituzione parla
di salario dignitoso, che dovrebbe consentire al lavoratore una vita
libera: a questo si appoggia l'avvocato Fausto
Raffone nelle sue cause di lavoro, contro contratti
anticostituzionali che però continuano ad essere usati nel paese.
Sono contratti presenti nel registro
del CNEL (in totale sono più di 900), siglati dai sindacati
confederali e ideati dalla politica che non ha fatto nulla per
limitarne la proliferazione.
Salari pirata – così li chiama il
professor Lucifera, che consentono la competizione delle
aziende italiane, piccole e poco tecnologiche, sul salario.
Servirebbe il salario minimo legale:
questa la strada per uscire dal lavoro povero e dallo sfruttamento.
Il confronto dalla Germania.
In Germania il salario minimo esiste
dal 2015, quando fu approvato da una maggioranza schiacciante: non si
lavora per meno di 9,82 centesimi, una misura che coinvolge almeno
4ml di lavoratori.
Non è molto, ma è una garanzia per le
persone: inizialmente i sindacati erano contratti perché temevano
che il salario minimo ponesse un freno alla contrattazione collettiva
(timori poi rivelati infondati).
Gli imprenditori sono contrari al
salario minimo in Germania come in Italia: ma hanno capito che in una
società ricca i salari da fame non sono più accettabili,
soprattutto nella Germania nell'est.
La
commissione Mindestlohn, composta da sindacati e tecnici,
monitora l'andamento del salario minimo nel paese, che deve seguire
il costo della vita affinché sia efficace.
Il salario minimo è servito ad
eliminare il nero, ha fatto guadagnare tutto il sistema economico
tedesco, facendo crescere il salario di intere categorie (la
ristorazione, i servizi).
Non ha portato, come sostengono i
liberisti, ad una maggiore disoccupazione, che avrebbe distrutto
posti di lavoro: l'indice di disoccupazione è sceso dal 7 al 5%, si
sono creati posti di lavoro nei settori con salari più bassi.
Il prossimo aumento del salario minimo
in Germania crescerà a 10 euro al prossimo luglio, ma il cancelliere
Scholz ha promesso di arrivare a 12 euro, una cifra che dovrebbe
riguardare il 25% dei lavoratori, 10 milioni di tedeschi.
Il salario minimo non esiste in Svezia,
Finlandia e Austria, poi Italia e Cipro, nonostante l'Europa chieda
che questa misura sia rafforzata: la stessa presidente della
commissione europea sta portando avanti una sua battaglia su questo,
assieme al commissario europeo al lavoro che emanerà una direttiva
sul lavoro per colpire proprio i salari bassi.
“Vogliamo una Europa che tuteli i
propri lavoratori, che non faccia dumping” racconta ad Elena
Stramentinoli: obiettivo dell'Europa è aumentare la contrattazione
collettiva, avere salari più alti, investimenti in formazione.
Ma le associazioni industriali sono
contrarie a queste scelte, che invece sono supportate dalla lobby dei
sindacati riuniti, la confederazione dei sindacati rappresentata da
Luca Visentini.
E in Italia? La proposta del salario
minimo non è stata portata avanti dai governi recenti, nemmeno dal
movimento 5 stelle.
Per il PD il salario minimo dovrebbe
scattare per i lavoratori non coperti dal contratto collettivi
nazionale, mentre per il m5s nella sua proposta dovrebbe essere una
misura universale.
Per Sinistra Italiana il salario minimo
dovrebbe essere fissato a 10 euro, mentre la contrattazione
collettiva dovrebbe battersi per salari superiori a questa soglia.
Possibile, non rappresentata in
Parlamento, porta avanti la sua proposta sul salario minimo.
Nella destra a favore c'è solo FDI,
senza proporre una sua soglia di salario minimo, per non gravare
sulle casse di una azienda.
Il ministro Orlando sarebbe
anche favorevole, ma con l'accordo di sindacati e confindustria, ma
prima vorrebbe rivedere i criteri di rappresentanza dei sindacati,
perché ci sono aziende che firmano contratti con sigle sindacali
fittizie, si tratta dei contratti pirata di cui si parlava prima, con
salari al ribasso.
Si riuscirà ad arrivare al salario
minimo in questa legislatura? Difficile, ammette il ministro, ma
tutti sanno dei rischi di quanto potrebbe accadere con la somma di
inflazione e salari bassi, potrebbe ridursi la domanda interna e
questo bloccherebbe la ripresa del paese.
Questo mondo sul lavoro così
strappato, parcellizzato, sono causa delle morti sul lavoro: il
ministro Orlando vorrebbe applicare una norma al bonus del 110% per
verificare che chi sta sui cantieri sia formato per quel lavoro, non
avere più muratori improvvisati che per vincere appalti al ribasso
non rispettano le regole di sicurezza.
Mattarella nel suo discorso ha detto
“mai più morti sul lavoro”: ma c'è una relazione tra
precarietà e morti, non sono due fenomeni disgiunti, se vogliamo
ridurre i morti dobbiamo ridurre la precarietà.
Come succede nel settore della
logistica, dove si rilevano cooperative in appalto o subappalto,
persone costrette a lavorare più ore rispetto a quelle del
contratto. Persone costrette a subire ricatti se non si piegavano
alle richieste dei capi, come succede per esempio nel mondo della
logistica.
La logistica non ha conosciuto crisi
durante il lockdown eppure queste persone, con contratti part time,
sono state trattate peggio delle bestie.
Alcuni di loro sono stati lasciati a
casa con un whatsapp, come
successo alla Logista: le aziende del settore
cercano sempre di pagare meno le persone, niente sindacati, solo
cooperative da aprire e chiudere alla bisogna.
Cooperative che prendono personale
senza formazione, dove non ti puoi permettere di scioperare e
manifestare, di chiedere maggiore sicurezza per il tuo lavoro.
“Siamo schiavi e dobbiamo lavorare
come macchine” racconta un ragazzo che lavora nella logistica.
Uno di questi, un ragazzo di 22 anni, è
morto schiacciato da un camion al terzo giorno di lavoro: aveva
ricevuto la sufficiente formazione dall'azienda?
La precarizzazione aumenta il rischio
di incidenti sul lavoro, lo certifica anche un rapporto della UIL,
sui dati dei primi mesi del 2021, quando abbiamo registrato un
infortunio ogni otto ore, una cosa inconcepibile con tutte le
tecnologie e le norme sulla sicurezza che abbiamo, ma spesso assenti
nei cantieri, dove i controlli dicono che l'80% non rispetta le norme
sulla sicurezza.
Il governo, all'indomani dell'incidente
di Torino (la
gru caduta ammazzando tre operai), ha deciso di assumere mille
nuovi ispettori: ma non basta, racconta l’ingegnere della
sicurezza Marco Palombarini
“Noi abbiamo 1,8 milioni di
aziende in Italia e abbiamo circa 3-4mila ispettori del lavoro [sono
poco più di 4mila] che si occupano di tutto, non solo dei controlli:
è stato calcolato statisticamente che un’azienda può subire un
controllo ogni 11 anni e mezzo. Io mi chiedo se dobbiamo affrontare
questo oceano infinito pensando che questi poveri ispettori risolvano
il problema. Andrebbe ribaltato il discorso, l'imprenditore dovrebbe
vedere un vantaggio nell'etica sul lavoro, se sei un'azienda che
rispetta le norme sulla sicurezza hai un vantaggio negli appalti.”
E’ una proposta interessante,
una sorta di patente a punti o una corsia preferenziale per le
aziende che non registrano incidenti e che dimostrano di essere a
norma.
I fondi di
investimento che controllano le aziende
Basta lavoratori usa e getta, basta
risparmiare sulla sicurezza e basta con la finanziarizzazione
delle aziende: la fine del blocco dei licenziamenti decisa dal
governo Draghi a maggio 2021, ha portato ad una serie di
licenziamenti di aziende controllate da fondi di investimenti
stranieri.
Come successo alla Gianetti
ruote in Brianza: i fondi non puntano se non ad un ritorno
immediato dei loro soldi, nessun investimento a lungo termine.
La crisi della Gianetti, di proprietà
del fondo Quantum Capital, nasce anche dalla crisi del settore
auto: ma è possibile che in Italia le politiche industriali siano
decise da un fondo finanziario?
Il fondo Quantum nel 2019 aveva
comprato anche uno stabilimento a Brescia dalla Gkn che è
rimasto aperto a differenza di quello brianzolo: qui però le persone
sono comunque preoccupate per il loro posto, per gli investimenti non
fatti e per il loro futuro.
La Gianetti ha chiuso perché i bilanci
erano in perdita, per il costo dell'acciaio, perché lo stabilimento
era poco produttivo dice la Qauntum che è un fondo di investimenti
molto diversificato: il loro mestiere è prendere il buono dalle
aziende che acquisiscono (a poco prezzo perché in crisi) e tagliando
via quello che non va bene, un taglia e cuci, che porta allo
smantellamento delle aziende, spesso in crisi e manda in crisi le
persone che ci lavorano.
La politica, nazionale e locale, non
ha fatto alcuna moral suasion per scongiurare questi casi: i
sindacati della Gianetti avevano espresso i loro timori alla regione
Lombardia, temevano che la multinazionale non volesse tenere due
stabilimenti nella stessa zona.
Cosa che poi si è verificata coi 152
licenziamenti. Una sconfitta delle istituzioni, di fronte ad una
multinazionale che lascia a casa le persone con una mail o con un
sms.
Come ci si difende dall'attacco
della finanza?
Dal 2015 al 2020 si sono contate 80
operazioni in cui fondi di private equity sono subentrati alla
proprietà di aziende: molti di questi casi si sono conclusi male,
con licenziamenti o chiusure.
Come è successo alla GKN: il
fondo si chiama Melrose industries, che ha come obiettivi
aziendali “compra, ristruttura e vendi”. Quello che per le
persone è un massacro sociale è un investimento da far fruttare per
il fondo.
A Ceriano per la Gianetti, come alla
GKN di Campi Bisenzio è emerso il vero volto della finanza che sta
dietro a parte del mondo dell’industria: non si guarda più
all’economia reale, cioè l’investimento per far crescere il
rapporto che esiste tra soldi e produzione – spiega a Presadiretta
Anna Maria Romano di Finance Watch – ma semplicemente fra
soldi e soldi.
“Si passa da quella che era la
tradizionale equazione denaro – merce - denaro ad un’equazione
completamente differente che significa denaro – denaro – denaro.”
Obiettivo di Melrose non è migliorare
industrialmente un'azienda come la GKN: siccome l'azienda era in
crisi, si sono tagliati i costi, pur di mantenere il profitto e
garantire i dividendi agli azionisti, “operazioni difficili ma
necessarie”, ammette il fondo in un suo rapporto.
Lo studio legale Lablaw che ha
assistito la GKN, ha pure vinto un premio: un suo avvocato si è
permesso pure di usare un'espressione quantomeno inopportuna contro
chi ha sollevato critiche, definendoli “rosiconi”.
Eppure c'erano stati accordi alla GKN
dove non si parlava di licenziamenti, c'era stato un trimestre
positivo, forse c'era una possibilità di reindustrializzare lo
stabilimento.
Ma l'avvocato non lo sa, lui ha fatto
il suo lavoro.
Il governo avrebbe potuto fare di
più contro queste situazioni?
Le multinazionali non si fermano con
dei decreti, racconta il nuovo imprenditore che sta riprendendo gli
stabilimenti di Campo Bisenzio: non le fermi con la forza ma con
l'intelligenza.
Nel decreto anti delocalizzazione sono
presenti norme che prevedono delle sanzioni per le aziende che
licenziano senza un minimo di preavviso, che non fanno tavoli.
La politica industriale fatta dal
governo dovrebbe incentivare i buoni investimenti, in settori
realmente produttivi, legati alle rinnovabili e non a settori
decotti.
Ma c’è un altro modo di fare
impresa
Nei Paesi Baschi Presadiretta è andata
ad incontrare la
Mondragon corporation, una prima esperienza di democrazia
industriale, che parte dalla scuola, dalla formazione, per un modello
di impresa a misura d'uomo, con cooperative gestite in modo
efficiente e rapido come le più grandi multinazionali al mondo.
Sono cooperative dove i dipendenti sono
proprietari della fabbrica, dove non importa il profitto a breve
perché vogliono lasciare qualcosa di importante alle future
generazioni.
Solidarietà e innovazione,
investimenti per nuovi prodotti e una forte attenzione a mantenere
basso il gap salariale tra manager e operai (massimo 1 a 6).