14 giugno 2022

Report – le toghe rotte (e la riforma Cartabia)

 TOGHE ROTTE di Giorgio Mottola in collaborazione Norma Ferrara

Ieri sera Report ha parlato della riforma della giustizia, con un'intervista all'ex presidente Renzi, che torna a parlare con Report dopo la vicenda dell'autogrill che, sabato scorso ad un incontro per i referendum, ha accolto caldamente.

Ma Renzi ha avuto buone parole anche nei confronti dei 3 pm che hanno aperto le inchieste su di lui, su Open e su suoi genitori. Nel suo libro ha criticato i procuratori di Firenze, raccontandone alcuni episodi secondo lui inquietanti: tra i pm che Renzi invece ha lodato ci sono Falcone e Borsellino, sebbene nell'ultima leopolda fosse presente un giornalista che ha smontato gli strumenti usati dalla lotta alla mafia, come la confisca dei beni e l'ergastolo ostativo.

Alcuni di questi strumenti devono essere ripensati – racconta Renzi – se a questo si aggiunge che a Palermo i renziani hanno appoggiato Lagalla, il cerchio da un certo punto si chiude.

Se vince Lagalla noi siamo all'opposizione – dice Renzi. Ma Chinnici e Costumati, due renziani a Palermo, appoggiano Lagalla: si dimetterranno da Italia Viva dove l'intervista a Report?

La riforma Cartabia e l'indipendenza della magistratura

La riforma Cartabia mina la separazione dei poteri, alla basa delle norme giuridiche in Europa e in Italia: sarà il parlamento a dire ai procuratori capi quali reati da perseguire, sarà il ministero della giustizia a coordinare il lavoro del pm.

Questa riforma segue il segno delle precedenti, dalla riforma Castelli a quella Mastella: l'azione penale si concentra nelle mani del procuratore capo, che aveva il potere di avocare le inchieste eliminando il potere diffuso dei sostituti.

Si torna sempre a parlare di scontro tra politica e magistratura, da Craxi a Berlusconi, fino ad arrivare a Renzi. La magistratura era accusata di bloccare l'azione della politica, gli appalti, le imprese.

Come rischiava di succedere a Renzi, la grande esposizione universale del 2015, fiore all’occhiello di Milano e dell’allora governo Renzi: l’ex presidente, fine esposizione, ebbe a ringraziare proprio i magistrati della procura di Milano, allora guidata da Bruti Liberati, per aver contribuito al successo di expo.

C’è stato un accordo tra magistratura, quella milanese, e la politica, l’esecutivo, per non bloccare l’evento con inchieste sugli appalti? Di questo ne ha parlato con Report l’ex procuratore aggiunto di Milano Raffaele Robledo: “[quello che è successo] è la prova di un intervento pesante della politica, sul procuratore della Repubblica di Milano Bruti Liberati, per far si che non vi fossero intralci giudiziari su Expo.”

Nel 2015 Robledo era responsabile dei reati contro la pubblica amministrazione a Milano, nel 2014 aveva iniziato un’indagine sull’appalto per la piastra di Expo per 140 ml di euro. Appalto assegnato al colosso delle costruzione Mantovani SPA con un ribasso record del 40%.

“Facendo delle intercettazioni emerse che una persona aveva avuto, prima della valutazione della commissione, i risultati coi punteggi.” Il primo grande appalto di expo era così truccato o, per dirla in termini più corretti, c’erano indizi seri che facevano temere che portavano a pensare a questo.

Ma grazie ai poteri della riforma Castelli, Bruti Liberati avoca le indagini di Robledo e sposta il suo aggiunto ad un altro ufficio: il timore era salvare Expo, che Expo si poteva bloccare? Ma expo, spiega oggi Robledo, non si sarebbe fermata, le aziende si potevano commissariare.
La vicenda di Robledo era stata raccontata da Riccardo Iacona nel suo libro Palazzo d'ingiustizia.

Renzi nel suo libro racconta di aver incontrato Bruti Liberati prima in una saletta privata in un aeroporto: Renzi non ha chiesto di bloccare le inchieste al procuratore capo, sebbene poi ci sia poi stata la revoca alle inchieste di Robledo. Oggi Bruti Liberati, che ha accettato l'intervista, spiega che in questa storia tutti hanno svolto il suo ruolo, nessuna interferenza da parte della giustizia.

Report ha intervistato Riccardo Targhetti, che per un periodo ha avuto il ruolo di capo: certe scelte sono state prese da delle sfere in alto, racconta a Mottola, lasciando intendere di incontri con l'allora presidente Napolitano e i vertici della procura. L'ex presidente sarebbe intervenuto anche in un'altra vicenda poco chiara, quella di MPS.

La sanzione su Robledo nella vicenda contro Liberati arriva al CSM, dove era presente Luca Palamara: il CSM si spacca, racconta l'ex pm, ma alla fine si da ragione a Bruti Liberati e apre su Robledo diversi procedimenti disciplinari. Il sistema sacrificò Robledo, conclude Palamara.

Non solo, Bruti Liberati in un incontro con Robledo gli rinfacciò di aver preso la carica di aggiunto grazie proprio a lui, “potevo far uscire uno dei miei..”

“La vicenda Robledo Renzi non esiste” spiega oggi Bruti Liberati, che sul sul tema Renzi, Expo e Robledo non ne vuole parlare.

La politica per controllare il potere diffuso dei procuratori, può scegliere di controllare i capi, per bloccare le indagini – racconta oggi il giudice Di Matteo.

Non sono opinioni, i dati delle condanne avvenute dal 2005 sui reati dei colletti bianchi sono in netto calo:

per il reato di concussione, che riguarda chi fa pressioni per ottenere una mazzetta, le condanne definitive sono scese da 110 a 9 con una diminuzione del 91 per cento. Mentre per la corruzione sono calate da 248 a 90 (-63 per cento), mentre invece per voto di scambio politico mafioso in 16 anni ci sono stati solo 15 politici condannati in via definitiva. E la riforma Cartabia varata dal governo dei “Migliori” di Mario Draghi rischia di fare addirittura peggio: sarà il Parlamento a indicare al procuratore capo quali reati dovrà perseguire in modo più urgente.

E' un vulnus – non ha dubbi oggi il giudice Nino Di Matteo: si limita l'azione penale e si toglie di mezzo l'indipendenza della magistratura, con l'indicazione dell'azione penale che passa dall'esecutivo (dovrebbe essere il Parlamento secondo la riforma, ma di fatto in questi anni le camere sono state esautorate dal loro potere), allontanandoci da quel modello di giustizia che vuole l'Europa.

Forse domani non ci sarà più bisogno di incontrare un procuratore capo in un salottino di un aeroporto, come successo a Renzi.

Nella riforma Cartabia sarà inserito il criterio di valutazione, in cui sono coinvolti anche gli avvocati, gli stessi che i giudici si ritrovano in aula. La valutazione si baserà anche sulle sentenze che, nei vari gradi di giudizio, non sono state ribaltate: in questo modo si scoraggiano quei magistrati che vogliono portare avanti casi difficili.

E poi c'è la questione dell'improcedibilità: secondo Gratteri, procuratore capo a Catanzaro, proprio per questo aspetto la riforma Cartabia è la peggiore riforma di questi anni, “questa riforma non serve a risolvere i problemi e i drammi della gente.”

La riforma introduce il concetto di “improcedibilità”: partendo dal giusto principio per cui ogni processo deve avere una ragionevole durata, la riforma stabilisce un numero massimo di anni (diverso a seconda dei gradi di giudizio) entro cui deve durare un processo. Il processo d’Appello potrà durare al massimo due anni, quello di Cassazione 12 mesi, se si supera questo limite il processo decade, vale a dire che il processo finisce senza che venga emessa alcuna sentenza.

A Napoli il presidente della Corte d’Appello De Carolis racconta come, almeno il 50% dei processi che arriva in Appello abbia superato i due anni dunque, se fosse già attiva la riforma Cartabia, A Milano sono aperti 8000 processi penali, pendenti, mentre a Napoli si arriva a 57mila: è un discorso di numeri, per fare i processi servono le risorse come racconta il servizio di Report: se alla corte d’Appello di Milano ci sono quasi 150 giudici per 8000 processi penali e quindi ogni giudici ha una media di 53 processi, a Napoli ci sono 39 giudici per 57000 procedimenti.

Cosa succederà dunque? Quando arriveranno i processi i giudici dovranno decidere se procedere prima con quelli più vecchi per evitare che finiscano in prescrizione o se invece partire da quelli recenti per evitare che diventino improcedibili. Dopo il dibattito parlamentare la ministra ha concesso una proroga ai due anni ai reati considerati più gravi come gli omicidi, i reati di mafia e le violenze sessuali aggravate. Ma ci sono altre decine di reati altrettanto importanti che rischiano la tagliola dell’improcedibilità.

Del rischio di impunità di massa ne parla il procuratore Gratteri: “con la riforma Cartabia rischiano l’improcedibilità gli omicidi colposi, gli incidenti sul lavoro, tutti si riempiono la bocca dal presidente della repubblica a scendere che è insopportabile e inaccettabile ma il 50% dei processi d’appello non si celebrerà, lo hanno detto tutti i procuratori generali delle corti di Appello. Tutti i processi per inquinamento, eppure questo governo ha dedicato un ministero alla transizione ecologica. E i reati contro la pubblica amministrazione non vi scandalizzano? Corruzione, concussione, peculato, perché non sono gravi? E sono anche processi senza detenuti, che non si celebreranno, metà non arriverà in appello.”

In molti Tribunali i reati dei colletti bianchi rischiano di non arrivare mai ad una sentenza ma rischiano anche i morti sul lavoro, gli incidenti sulla strada e i morti in tragedie come il crollo del ponte Morandi o il crollo della funivia a Mottarone. Per non parlare poi dei reati minori ovvero le truffe, le lesioni, le aggressioni o la violenza sessuale semplice.

È sempre il giudice De Carolis a spiegarlo “fino ad oggi, la violenza sessuale semplice sono riusciti a non farla prescrivere, ma adesso non so se riusciremo a farlo in un anno e mezzo, comunque sono processi delicati, non sono processi semplici.”

Stesso discorso per le truffe, già adesso tutte si prescrivono quasi tutte: “quelli che noi consideriamo reati bagatellari, sono spesso quelli che creano più danno sociale. Per esempio le truffe agli anziani sono un reato odioso. Quello che mi preoccupa” racconta il giudice al giornalista di Report “è il segnale che arriva, si rischia di avere l’impunità per una grande massa di reati.”

La riforma della giustizia ce l'ha chiesta l'Europa, soldi in cambio della riforma che abbassa la durata dei processi: in Svizzera bastano 377 giorni, mentre in Italia la media è sette anni.
Ma l'Europa ha chiesto anche la certezza del diritto, non di cancellare i processi del tutto, inoltre l'Europa chiedeva di partire dalla giustizia civile mentre in Italia il governo ha scelto invece di partire dal penale.
In media nei Tribunali italiani in corte d'Appello durano più di due anni, a Napoli solo per arrivare sul tavolo del presidente occorrono sei mesi. Le proroghe concesse dalla Cartabia solo solo una foglia di fico: molti reati rimarranno senza colpevoli, perfino tragedie come quella di Rigopiano e del Mottarone.

Cosa servirebbe fare allora?

Se volessimo agire sulla durata dei processi dovremmo usare altre leve: la digitalizzazione, snellire le notifiche, le rogatorie e le sue regole. E poi mancano cancellieri, mancano o sono insufficienti, mancano anche i magistrati: rispetto alla Germania abbiamo meno giudici e più avvocati (e questo spiega tante cose), mancano all'organico 1300 magistrati e il 40% delle forze di polizia giudiziaria, quelli che fanno materialmente le indagini.

Per selezionare i magistrati più meritevoli, servirebbe un CSM scevro da contatti con la politica, ma la riforma non tocca suo meccanismo elettivo. Qualche magistrato parla di un accordo tra CSM e politica, per evitare proprio di toccare il suo potere: l'ANM ha scioperato contro la Cartabia, l'ultima volta era capitato contro la riforma Castelli, ma lo sciopero non ha avuto una grande adesione, anche per l'atteggiamento pavido dell'ANM stessa.
Secondo alcuni magistrati, esiste un accordo silente, una tregua tra ANM e politica, per non toccare il meccanismo elettivo nell'autogoverno della magistratura e questo spiegherebbe l'atteggiamento dell'Anm sulla riforma. 
Con la Cartabia resterà intatto il potere delle correnti per nulla scalfito dalla riforma del sistema elettorale, in corso di approvazione al Senato.

Per Gratteri fresco di bocciatura da parte di Palazzo dei Marescialli per il posto di Procuratore nazionale antimafia, la nuova legge “è se possibile peggio di quella attuale. Crea un sistema dove già si può prevedere già quanti candidati prenderà una corrente, quanti un’altra, quanti un’altra. Il problema va risolto alla radice: la mamma di tutte le riforme è quella del Csm, bisogna arrivare al sorteggio”.

Paolo Itri, il procuratore campano intervistato da Report, racconta delle chat di Palamara: centinaia di magistrati facevano autopromozione, per se stessi. Dopo un anno dallo scandalo, la procura generale di Cassazione ha deciso che questo comportamento non è passibile di sanzioni, non è un comportamento illecito.

È impossibile eliminare le correnti dalla magistratura ed eliminare del tutto i rapporti con la politica: ma almeno che le correnti servano ad eliminare le mele marce, almeno che il CSM non sia più una camera di compensazione per far avvicinare quei poteri che dovevano essere indipendenti.
La riforma poteva introdurre un elemento di sorteggio, per evitare casi come quelli raccontati da Palamara: tutto questo per evitare che l'Italia da culla, diventi la tomba della giustizia.

Recentemente il CSM ha nominato il nuovo capo della procura nazionale Antimafia: alla fine ha vinto il procuratore Melillo, mentre si aspettava un ballottaggio con Gratteri. Si ritorna ai tempi di Falcone, quando fu bocciato prima come capo dell'Ufficio Istruzione poi come capo della super procura, poco prima di morire. 
La bocciatura di Gratteri, un magistrato che si è tanto esposto nella lotta alla mafia, rischia di farci ritornare a quei tempi.

Alla votazione per la nomina del procuratore capo della DNA, gli alti magistrati di Cassazione, Curzio e Salvi, hanno scelto di partecipare al voto, diversamente da quella che era la prassi nel passato: entrambi hanno scelto di votare per Melillo (per dare una maggioranza nitida alla persona che sarebbe stata scelta, ma come facevano a saperlo prima?).

L'imprimatur a Melillo era già stato scelto prima, perché appartiene alla stessa corrente di Salvi e Curzio – come racconta Palamara (le cui parole vanno sempre vagliate con cura)?
Prima di votare, Unicost e Area, avevano già raggiunto un accordo coinvolgendo anche i due alti magistrati di Cassazione?

Nessuno discute i meriti di Melillo – racconta Report – che è stato anche capo di gabinetto al ministero della giustizia fino al 2018: anche questo è un valore aggiunto, ammette Salvi (e si torna al rapporto tra politica e giustizia).

Anche Gratteri avrebbe potuto diventare ministro, ai tempi del governo Renzi: la sua nomina è saltata per volontà dell'allora presidente Napolitano (al suo posto arrivò Orlando).

Gratteri non sarebbe stato accettato come interlocutore con la politica: questo malumore dei procuratori capo arrivò fino al Quirinale – lo conferma anche Renzi nel suo libro che aggiunge anche il nome di Pignatone, tra i suggeritori della bocciatura di Gratteri.

La riforma Cartabia è un'occasione persa, sempre che ne avremmo un'altra nel futuro: questa riforma introduce anche altre norme come il diritto all'oblio secondo cui, in caso di archiviazione si devono eliminare dagli articoli i nomi degli imputati, una sorta di oblio di Stato, che non tutela il diritto all'informazione. Si limitano anche le possibilità ai procuratori di rilasciare interviste.

Riassumendo, dal 1 gennaio del 2025 ci sveglieremo in un paese più buono, senza corrotti o criminali, nel silenzio dei giornalisti che non potranno più raccontare dei casi in oblio, coi processi che, almeno al 50% finiranno in nulla, diventeranno improcedibili. Coi magistrati capi, scelti dal CSM (e coi condizionamenti con la politica) e coi sostituti che dovranno indagare secondo le direttive scelte dal parlamento.

Nessun commento: