La guerra in Ucraina e i suoi effetti sulla nostra economia, sui costi dell’energia. Il ritorno del covid (per fortuna al momento in forma aggressiva ma meno mortale), la peggiore siccità degli ultimi anni. Non riusciamo a portare avanti seriamente la transizione energetica, abbandoniamo il gas russo per passare al gas dal Qatar.. Da una parte comuni che rischiano di rimanere senz’acqua, dall’altra la capitale che non riesce ancora a mettere in piedi in modo efficiente il ciclo dei rifiuti che la scorsa settimana sono pure andati a fuoco nella mega discarica di Malagrotta (ancora lei).
Scene che evocano un’apocalisse per tutti quei problemi che non abbiamo voluto risolvere per tempo.
L’emergenza siccità
Si sono sommati due fenomeni, l’assenza di precipitazioni in questi mesi e l’innalzamento delle temperature: questi hanno portato alla crisi idrica che stiamo drammaticamente vivendo in queste settimane. Non c’è acqua nei laghi e nei fiumi nel nord Italia e non c’è neve in montagna, da cui scendono solo rigagnoli.
A questo si aggiunge la risalita dai fiumi dell’acqua salata: come racconterà il climatologo Luca Mercalli, “con la siccità e l’aumento del livello nell’Adriatico per la fusione dei ghiacciai, l’acqua salata nella falda idrica arriva a 15-20km nell’entroterra, rendendo queste zone (nella pianura padana) inadatte all’agricoltura. Arriverà il mare in casa...”
Il Po, secondo il bollettino dell’osservatorio dell’Autorità di bacino distrettuale del Po (AdbPo), sta attraversando la sua peggior crisi idrica da 70 anni ad oggi: Report ha attraversato il fiume che taglia la pianura Padana per mostrare la sua situazione, sfruttando la barca di Filippo Raisi, proprietario di un campo da pesca al siluro.
Il livello dell’acqua è così basso che la barca su cui ha viaggiato il giornalista Luca Chianca ha rischiato di arenarsi: nel fiume compaiono isole di sabbia, in questa zona al confine tra l’Emilia, il Veneto e la Lombardia; da uno degli affluenti, il Panaro, non arriva acqua dalle montagne dell’Appennino, è il Po che entra nel Tanaro. Qui è praticamente da ottobre scorso che non vedono una goccia d’acqua.
Arrivando nella zona dell’alveo del Po, nel mantovano, si rivedono le stesse scene di fiume in secca: il servizio, girato a marzo, presenza una situazione di deserto idrico come se si fosse in agosto, ma non è quest’anno l’eccezione, questa situazione è la regola, che peggiora di anno in anno – racconta a Report il consigliere regionale di Coldiretti Simone Minelli.
Per irrigare i campi dovrebbero attingere l’acqua dai pozzi o dai serbatoi, ma visto che non piove da mesi sono costretti a prenderla dai grandi fiumi: “ma in questo momento è difficile pensare di pescare acqua da un fiume in questa situazione, per noi quest’anno il grande assente è la neve in montagna, oltre al fatto che non è piovuto. La neve ha questa caratteristica che si scioglie piano piano e passa per il nostro fiume e questo ci garantisce acqua per i nostri campi.”
In provincia di Reggio Emilia la sabbia ha ostruito le idrovore dell’impianto di Bortoretto e per settimane hanno cercato di abbassare il livello dell’alveo del Po per cercare di pescare un po’ d’acqua per irrigare i campi.
Meuccio Berselli è il direttore dell’Autorità di Bacino distrettuale del Po: “noi rischiamo e stiamo rischiando di non riuscire ad accendere le pompe e di non avere l’acqua a disposizione per l’agricoltura in una situazione geopolitica particolarmente delicata in cui noi diciamo di far partire tutte le deroghe possibili per portare a compimento le coltivazioni così importanti.”
Ma questo che impatto potrebbe avere sul Po?
Potremmo spendere parte dei 190 miliardi destinati all’ambiente, ma nel PNRR non c’è un intervento che metta al centro il tema della desertificazione della siccità del bacino padano.
Questo è un PNRR che assegna al tema della sostenibilità ambientale il minimo sindacale richiesto dall’Unione Europea – il commento di Luca Mercalli – ovvero circa il 37% dei fondi.
Doveva essere una grande rivoluzione, invece si appoggia e si investe di più sul vecchio che la sostenibilità e il nuovo di cui abbiamo bisogno.
Il Pnrr prevede interventi per garantire la gestione sostenibile delle risorse idriche e i consorzi di bonifica hanno presentato delle proposte, ma quali sono i progetti finanziati dal PNRR? In base alle regole del piano, tutti i progetti dovranno essere conclusi entro il 2026 e così sono stati presi dal cassetto e tenuti fermi da dieci anni, perché già pronti e cantierabili. Fanno eccezione i fondi destinati alla rinaturazione della foce del Po per migliorarne il sistema ecofluviale. Sono 360ml di euro che comunque non risolvono il problema della siccità, senza sapere se si farà in tempo.
Il presidente del bacino distrettuale Berselli è molto preoccupato perché i tempi di realizzazione del pnrr si concludono nel dicembre del 2026 con la rendicontazione: “noi oggi stiamo portando le schede del progetto al soggetto attuatore che è l’agenzia interregionale per il Po, che deve redigere il progetto entro il 2023 e le opere vanno realizzate dal 2023 al 2026, calcolando che ci sono anche le gare, i bandi, le realizzazioni, i potenziali ricorsi, .. nel bacino del Po, nonostante le mie preoccupazioni, c’è tutta la volontà di andare nel concludere i lavori ma se lei mi chiede, ‘c riusciremo?’ io non sono in grado di dirlo, sono molto preoccupato ”
Ma anche al sud le cose non vanno bene: il servizio si occuperà anche della Sicilia dove non arriverà nemmeno un euro degli 880 ml previsti dal PNRR per l’irrigazione agricola, perché nessuno dei progetti presentati è stato ammesso.
Il
piano di resilienza avrebbe dovuto essere il piano dei sindaci,
portatori e
sponsor dei progetti
sul territorio, ma
come racconterà il servizio, sono emerse situazioni
di disparità tra comune e comune perché
non tutti
hanno le competenze e gli strumenti per portare avanti progetti di
vasta scala.
Luca Chianca è andato a Pavullo, un comune da
18mila abitanti in provincia di Reggio Emilia, a differenza di altri
comuni del sud come Grazzanise e Baronissi (in Campania) è riuscito
ad entrare in graduatoria per la demolizione e la ricostruzione della
scuola media, un progetto da 11 ml di euro, finanziati dal
PNRR.
Davide Venturelli, sindaco di Pavullo, racconta a Report
che la loro fortuna è stata avere nel passato sindaci capaci di
investire sull’istruzione, come le scuole, perché è qui che si
forma il senso della comunità: in
questo comune c’è un polo scolastico, la nuova scuola media e due
scuole elementari.
Il PNRR in questo comune non è arrivato così per caso: “Partendo dai sogni pregressi innestati su quella che era l’opportunità del momento abbiamo cercato di lavorare per portare a casa il risultato”, e ci sono riusciti in breve tempo proprio perché in questo comune c’è un expertice che li accompagna da anni.
Expertice che in altri comuni non c’è come non ci sono le figure tecniche per gestire questi progetti: come a Bari, qui dovevano arrivare un rendicontatore e un tecnico da dedicare in modo specifico al PNRR, senza di cui non è stato possibile candidarsi per un progetto per nuovi asili nido. Risorse che aspettavano da oltre un anno.
La scelta politica di far gareggiare i comuni per l’accesso alle risorse del PNRR è stata molto discutibile – spiega Gianfranco Viesti professore di Economia a Bari – perché alla fine le risorse rischiano di andare verso le amministrazioni più attrezzate e non verso le amministrazione più carenti, che più ne avrebbero bisogno.
In totale sono 1,19 i miliardi di euro stanziati per le nuove scuole, una cifra che supera gli 800ml indicati nel PNRR: è forse l’ultima occasione per rimettere a nuovo i nostri istituti e non possiamo perderla.
La scheda del servizio: A secco di risorse di Luca Chianca
Collaborazione
di Alessia Marzi
Immagini
di Alfredo Farina
Montaggio
e grafica di Giorgio Vallati
Il livello del fiume Po è di 3 metri sotto quello abituale.
La neve sulle Alpi è totalmente esaurita, e più di 125 Comuni rischiano di rimanere senza acqua: è la peggiore siccità negli ultimi 70 anni. C'è già qualche sindaco che ha vietato di innaffiare orti e giardini in città, lavare le macchine e riempire le piscine. Intere aree del nord Italia sono già da tempo a rischio desertificazione. L'agricoltura è in ginocchio, ma per fortuna l'Europa ci ha messo a disposizione un'occasione unica: 190 miliardi di euro per il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza. E quanti soldi sono stati destinati al contrasto della siccità ormai nota da anni in Pianura Padana? Sul tema dell'acqua, con i soldi del Pnrr, il ministero dell'agricoltura ha lanciato un bando da 880 milioni per migliorare la gestione delle risorse irrigue ma di fatto il bando prevede solo di rendere più efficiente il sistema senza la costruzione di nuovi piccoli invasi o opere che servirebbero a contrastare il fenomeno della desertificazione. Altro grande tema del nuovo Piano nazionale di ripresa e resilienza è quello della next generation, dove la scuola assume un ruolo chiave e il Governo ci ha investito oltre 4 miliardi di euro mettendo tutto a gara. Da un lato si è puntato sulla costruzione di 216 nuovi edifici con i migliori sistemi di efficientamento energetico, dall'altro si è investito sull'apertura di nuovi nidi e nuove scuole dell'infanzia. Il problema è che la formula dei bandi e della concorrenza tra comuni rischia di accrescere i divari tra amministrazioni più attrezzate verso quelle più carenti, aumentando le differenze tra nord e sud del paese. E poi la grande incognita: riusciremo a costruire nuove scuole in solo 4 anni, entro il 2026? Un'opportunità senza precedenti che rischia però di travolgere il paese, perché, se non non si realizzano le opere, i soldi vanno restituiti.
Brucia Roma e bruciano i rifiuti
Il
sindaco di Roma Gualtieri aveva promesso che avrebbe ripulito la
città dai rifiuti entro Natale scorso. Invece si parla di un nuovo
inceneritore, benedetto da tutti i partiti, per gestire la mole di
rifiuti creati dalla capitale che non riesce, dopo tutti questi anni,
a mettere in pista un ciclo di gestione dei rifiuti efficiente.
I
rifiuti vengono stoccati alle porte di Roma e i camion li portano
negli impianti di mezza Italia e coi treni, negli impianti di Austria
e Germania. Le navi in Grecia, Olanda e Portogallo, dove gli scarti
di Roma vengono usati per produrre energia e calore.
Dal porto di Civitavecchia, le balle di compost vengono caricate sulle navi porta container, da qui prendono la via del Mediterraneo, attraversano lo stretto di Gibilterra e risalgono l’Atlantico fino al porto di Setubal, un piccolo comune alle porte di Lisbona. Qui altri camion prendono i rifiuti di Roma e li riversano in discariche e impianti.
Roma esporta circa 700mila tonnellate di rifiuti fuori dalla regione – racconta a Report il direttore di Arpa Lazio – per un costo di qualche centinaia di milioni di euro e che in dieci anni è arrivato a costare oltre 1 miliardo di euro.
Negli ultimi cinquant’anni nessun sindaco è riuscito a rendere Roma autonoma nel ciclo dei suoi rifiuti: ci sta provando ora Gualtieri, tramite un nuovo impianto “per la valorizzazione energetica dei rifiuti” per raggiungere l’ambizioso obiettivo di zero discariche.
Ma a 200 giorni dalle elezioni i rifiuti sono ancora per le strade di Roma e la discarica di Malagrotta va a fuoco (il 15 giugno scorso) e il fumo nero dei rifiuti che bruciano avvolge la capitale che, nonostante i proclami e le promesse, è ancora prigioniera di un sistema malato dove ogni emergenza rischia di mandare in tilt la città.
Il fuoco è partito dal gassificatore che doveva essere spento, poi si è allargato a uno dei due TMB, l’impianto di trattamento meccanico biologico che gestisce migliaia di rifiuti di Roma
Gualtieri ha accettato l’intervista con Report, a cui racconterà della situazione rifiuti che ha trovato appena arrivato al Campidoglio, “ho trovato una città sporca, perché l’intero sistema è sull’orlo del collasso costantemente, gli ultimi impianti fatti a Roma risalgono al 2001 e sono stati fatti dal commissario per il Giubileo.”
Cosa
è successo a Roma? I rifiuti sono un business miliardario che il
servizio di Report descrive come un nuovo “sacco”.
La
soluzione per l’emergenza rifiuti è, per il sindaco Gualtieri, il
nuovo inceneritore che verrà realizzato su una ex area industriale:
Gualtieri, in qualità di commissario straordinario per il Giubileo
2025 potrà superare il piano regionale sui rifiuti del collega di
partito Zingaretti, che non prevedeva termovalorizzatori.
Ma quel piano, raccontano entrambi, era stato preparato in base a delle previsioni e dei dati sbagliati forniti da Roma capitale, come i dati sulla raccolta differenziata che la città non ha mai rispettato.
Serve una soluzione radicale, racconta a Daniele Autieri Zingaretti e questa è il nuovo impianto.
La scheda del servizio: Il sacco di Roma di Daniele Autieri
Collaborazione di Federico Marconi e Lorenzo Vendemiale
Immagini di Carlos Dias, Alfredo Farina, Cristiano Forti, Tommaso Javidi, Andrea Lilli e Alessandro Spinnato
Ricerca immagini di Paola Gottardi
Montaggio di Andrea Masella
Grafiche di Michele Ventrone
Cosa si nasconde dietro il rogo di Malagrotta e l’emergenza dei rifiuti della capitale d’Italia?
Infiltrazioni della criminalità organizzata, gare milionarie andate deserte per ottenere taciti rinnovi, pubblici funzionari discussi, impianti costruiti e mai utilizzati, progetti lasciati marcire in un cassetto. Questo e molto altro è presente nel sistema che controlla la partita dei rifiuti di Roma, da oltre dieci anni condannata a una emergenza costante. Attraverso tre interviste inedite ai tre sindaci degli ultimi dieci anni (Ignazio Marino, Virginia Raggi e Roberto Gualtieri), Report rivelerà i retroscena interni al Campidoglio, le responsabilità dei sindaci ma anche le battaglie ingaggiate contro un sistema costruito per trasformare i rifiuti di Roma in un business miliardario. Negli ultimi anni i cittadini romani, attraverso la tassa sui rifiuti, hanno speso oltre 1 miliardo di euro per far smaltire gli scarti fuori dai confini regionali. Questo mentre all’interno della Regione e intorno alla capitale l’ultimo impianto costruito risale al 2001 e quelli attivi non sono sufficienti per chiudere il ciclo dei rifiuti. Su questo il Sindaco Gualtieri interviene rivelando a Report i dettagli del suo progetto di costruzione di un termovalorizzatore. Il piano non basta però a fermare l’emergenza: la città è ancora sommersa dai rifiuti e i tentativi di portare trasparenza al sistema finiscono tutti nel vuoto. L’ultimo è quello di bonifica del sito di Malagrotta, per la quale il governo Draghi ha nominato un commissario nazionale. Documenti e video inediti, insieme alle comunicazioni riservate tra i vertici del Campidoglio e della Regione Lazio, permettono di ricostruire i dettagli di quello che assomiglia sempre più a un nuovo “sacco di Roma”
La Moldavia, l’Europa e la guerra in Ucraina
Sono tutti soddisfatti, in Europa e nel parlamento italiano, per la scelta (tutta politica del Consiglio Europeo) sulla concessione della candidatura all’ingresso in Unione Europea della Moldavia e dell’Ucraina. La Moldavia è il paese più povero e più distante dall’Europa, in termini di diritti, giustizia, funzionamento delle istituzioni, ma la guerra in Ucraina e lo scontro con Putin hanno di fatto portato in secondo piano tante questioni. D’altronde anche la Polonia, l’Ungheria, oggi in Europa, hanno portato avanti riforme in senso contrario ai principi democratici, di libero mercato, di indipendenza dei poteri.
Il processo di integrazione europea non sarà una passeggiata, la procedura di adesione richiede parametri molto stringenti, l’ultimo paese ad essere stato ammesso è stata la Croazia nel 2013 e la domanda era stata presentata dieci anni prima.
Dopo l’annuncio della richiesta di adesione, gli oppositori del governo (il partito socialista) moldavo sono scesi in piazza a manifestare contro la scelta, “non vogliamo essere venduti alla Nato e all’Europa, la Nato vuole solo la guerra..”
La scheda del servizio: La guerra ibrida di Walter Molino
Collaborazione di Federico Marconi e Giulia Sabella
Immagini di Carlos Dias
Ricerca immagini di Paola Gottardi
Montaggio
di Giorgio Vallati
La Moldavia è il paese più povero del continente europeo. Ha chiesto di entrare a far parte dell’Unione Europea ma non ha aderito alle sanzioni contro la Russia per via della dipendenza dal gas e della minaccia militare sul confine ucraino. Pesa anche la situazione irrisolta della Transnistria, una striscia di terra lunga 200 chilometri che ha dichiarato la sua indipendenza dalla Moldavia fin dal 1990. Da allora è uno Stato filorusso non riconosciuto dalla comunità internazionale e da lì passano indisturbati traffici di armi e droga, le più importanti rotte del contrabbando. E la piccola Transnistria è diventata una delle principali produttrici europee di criptomonete, uno strumento prezioso al servizio del Cremlino per aggirare le sanzioni imposte dall’Unione Europea.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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