La riforma della giustizia e del CSM sono una grande opportunità o minano l’indipendenza della magistratura?
A seguire un
servizio sul gas russo, come strumento di potere di condizionamento
di Putin e il ruolo che hanno avuto per consolidare questo potere di
Eni ed Enel e l’ex presidente Berlusconi.
Nell’anteprima, in
servizio sulla situazione in Lituana, terra di confine tra la Russia
e l’occidente.
Come funziona la giustizia in Italia
Toghe
rotte era il libro scritto dal procuratore Bruno Tinti, oggi
scomparso, che raccontava dall’interno del mondo della giustizia le
cose che non funzionavano. Toghe rotte è anche il titolo del
servizio di questa sera sulla situazione della giustizia in Italia,
in un momento così particolare, ad un giorno dal referendum su temi
che riguardano proprio questo tema (la Severino, le misure cautelari,
la separazione delle carriere, l’elezione del CSM e il giudizio
degli avvocati sui magistrati).
Sulla giustizia è ancora ferma
la riforma Cartabia, una delle riforme chieste dall’Europa, come
condizione per i fondi del PNRR: soldi in cambio di un sistema penale
e civile più efficiente, con tempi minori per i processi. Su questo
punto la riforma introduce il concetto di “improcedibilità”:
partendo dal giusto principio per cui ogni processo deve avere una
ragionevole durata, la riforma stabilisce un numero massimo di anni
(diverso a seconda dei gradi di giudizio) entro cui deve durare un
processo. Il processo d’Appello potrà durare al massimo due anni,
quello di Cassazione 12 mesi, se si supera questo limite il processo
decade, vale a dire che il processo finisce senza che venga emessa
alcuna sentenza.
Ma le procure sono capaci di far rispettare questi tempi? È un problema di risorse, come racconta il servizio di Report: se alla corte d’Appello di Milano ci sono quasi 150 giudici per 8000 processi penali e quindi ogni giudici ha una media di 53 processi, a Napoli ci sono 39 giudici per 57000 procedimenti.
A Napoli il presidente della Corte d’Appello De Carolis racconta come, almeno il 50% dei processi che arriva in Appello abbia superato i due anni dunque, se fosse già attiva la riforma Cartabia, la metà dei processi in appello sarebbe già improcedibile. Cosa succederà dunque? Quando arriveranno i processi i giudici dovranno decidere se procedere prima con quelli più vecchi per evitare che finiscano in prescrizione o se invece partire da quelli recenti per evitare che diventino improcedibili. Dopo il dibattito parlamentare la ministra ha concesso una proroga ai due anni ai reati considerati più gravi come gli omicidi, i reati di mafia e le violenze sessuali aggravate. Ma ci sono altre decine di reati altrettanto importanti che rischiano la tagliola dell’improcedibilità.
Del rischio di
impunità di massa ne parla il procuratore Gratteri: “con la
riforma Cartabia rischiano l’improcedibilità gli omicidi colposi,
gli incidenti sul lavoro, tutti si riempiono la bocca dal presidente
della repubblica a scendere che è insopportabile e inaccettabile ma
il 50% dei processi d’appello non si celebrerà, lo hanno detto
tutti i procuratori generali delle corti di Appello. Tutti i processi
per inquinamento, eppure questo governo ha dedicato un ministero alla
transizione ecologica. E i reati contro la pubblica amministrazione
non vi scandalizzano? Corruzione, concussione, peculato, perché non
sono gravi? E sono anche processi senza detenuti, che non si
celebreranno, metà non arriverà in appello.”
In molti
Tribunali i reati dei colletti bianchi rischiano di non arrivare mai
ad una sentenza ma rischiano anche i morti sul lavoro, gli incidenti
sulla strada e i morti in tragedie come il crollo del ponte Morandi o
il crollo della funivia a Mottarone. Per non parlare poi dei reati
minori ovvero le truffe, le lesioni, le aggressioni o la violenza
sessuale semplice.
È sempre il giudice De Carolis a spiegarlo “fino ad oggi, la violenza sessuale semplice sono riusciti a non farla prescrivere, ma adesso non so se riusciremo a farlo in un anno e mezzo, comunque sono processi delicati, non sono processi semplici.”
Stesso discorso per
le truffe, già adesso tutte si prescrivono quasi tutte: “quelli
che noi consideriamo reati bagatellari, sono spesso quelli che creano
più danno sociale. Per esempio le truffe agli anziani sono un reato
odioso. Quello che mi preoccupa” racconta il giudice al giornalista
di Report “è il segnale che arriva, si rischia di avere l’impunità
per una grande massa di reati.”
Eppure in questi
ultimi anni la giustizia è stata riformata più volte: senza andar
troppo in là con gli anni, la riforma Castelli (e le leggi ad
personam di Berlusconi), la riforma Mastella, la responsabilità
civile introdotta dal governo Renzi e ora la Cartabia.
Tutte
riforme pensate dalla politica per sanare quel contrasto tra politica
e magistratura che, come viene raccontato sui giornali, ha bloccato
il paese.
Tranne che per Expo, la grande esposizione universale
del 2015, fiore all’occhiello di Milano e dell’allora governo
Renzi: l’ex presidente, fine esposizione, ebbe a ringraziare
proprio i magistrati della procura di Milano, allora guidata da Bruti
Liberati, per aver contribuito al successo di expo.
C’è stato un accordo tra magistratura, quella milanese, e la politica, l’esecutivo, per non bloccare l’evento con inchieste sugli appalti? Di questo ne ha parlato con Report l’ex procuratore aggiunto di Milano Raffaele Robledo: “[quello che è successo] è la prova di un intervento pesante della politica, sul procuratore della Repubblica di Milano Bruti Liberati, per far si che non vi fossero intralci giudiziari su Expo.”
Nel 2015 Robledo era responsabile dei reati contro la pubblica amministrazione a Milano, nel 2014 aveva iniziato un’indagine sull’appalto per la piastra di Expo per 140 ml di euro. Appalto assegnato al colosso delle costruzione Mantovani SPA con un ribasso record del 40%.
“Facendo delle intercettazioni emerse che una persona aveva avuto, prima della valutazione della commissione, i risultati coi punteggi.” Il primo grande appalto di expo era così truccato o, per dirla in termini più corretti, c’erano indizi seri che facevano temere che portavano a pensare a questo.
Poi però c’è stata questa revoca delle deleghe decisa da Bruti Liberati, e Robledo non ha più potuto procedere con la sua inchiesta.
La scheda del servizio: TOGHE ROTTE di Giorgio Mottola
Collaborazione Norma Ferrara
Da Tangentopoli in poi, i rapporti tra politica e magistratura sono sempre stati molti tesi. Come dimostrano i referendum costituzionali, si è creata una frattura che a trent’anni di distanza dalle indagini del pool di Mani Pulite sembra essersi sempre più allargata. Con la riforma della giustizia promossa dalla ministra Marta Cartabia, i complessi equilibri tra potere politico e potere giudiziario rischiano di saltare definitivamente. Secondo il progetto del governo, che verrà votato al Senato la prossima settimana, sarà infatti il Parlamento a indicare alle Procure quali reati perseguire in modo prioritario e l’organizzazione del lavoro dei pm sarà sottoposta al controllo del Ministero della giustizia. Secondo le toghe, che poche settimane fa hanno scioperato, si tratta di un attacco senza precedenti all’autonomia della magistratura. Decine di migliaia di processi rischiano di andare in fumo: violenze sessuali semplici, reati ambientali, morti sul lavoro, vittime di incidenti stradali e omicidi colposi potrebbero rimanere per sempre impuniti. Tuttavia, la magistratura italiana non sembra ancora essersi ripresa dallo scandalo Palamara. La guerra delle correnti continua, infatti, a segnare le scelte più importanti del Consiglio superiore della magistratura, come dimostrano le anomalie verificatesi nell’ultima elezione del Procuratore nazionale antimafia, che ha visto la bocciatura di Nicola Gratteri.
La svendita della Yukos
La storia della svendita della Yukos dell’ex oligarca Khodorkovsky è una chiave per comprendere come Putin ha costruito il suo potere politico ed economico all’inizio della sua carriera politica nei primi anni del duemila. Accusato di corruzione, la sua azienda viene messa all’asta e gli asset vengono presi dalla Gazprom, passando per mezzo di Eni ed Enel.
Report ha incontrato il suo avvocato, Robert Amsterdam, che citando l’intervista fatta anni fa al Corriere della Sera, spiega come l’asta su questi asset fosse stata pilotata, si sapeva che avrebbe vinto l’Eni: “era chiaro che tutti i signori che acquistavano gli asset lo facevano per conto del signor Putin, era chiaro che Putin avrebbe cercato importanti compagnie straniere che avevano già relazioni personali con lui.”
Nel
2009 la stessa domanda, su questa asta, l’ha posta tramite una
interrogazione parlamentare al governo Berlusconi anche Maurizio
Turco, oggi segretario del partito radicale, da sempre attento al
tema dei diritti umani violati in Russia.
A Report racconta dei
rapporti con la Russia: “Noi radicali in Russia abbiamo lasciato un
nostro compagno, Andrea Tamburi, morto in circostanze misteriose,
come si muore in Russia. In Georgia è morto un giornalista di Radio
Radicale Antonio Russo, che era lì per documentare la guerra cecena.
Abbiamo conosciuto benissimo Putin e sapevamo qual era il suo modo di
operare nonostante l’illusione liberale che alcuni vedevano in
questo personaggio.”
Per avere una risposta scritta dal
governo Turco dovrà aspettare 15 mesi sollecitando ben 9 volte i due
ministeri competenti anche se, di fatto, a rispondere, è l’Eni
stessa.
Sostanzialmente
il governo risponde dicendo ‘vigiliamo su quanto ci ha detto l’Eni’
e l’Eni nel documento parla di criticità operative. Loro
partecipavano a questa gara – racconta Turco a Report – sapendo
già che non avrebbero potuto portare a compimento l’oggetto del
loro interesse. E, dunque, questi problemi con chi li risolviamo? Con
Gazprom.
Perché
allora Gazprom non ha comprato direttamente questi asset? Lo spiega
l’avvocato Amsterdam:
il passaggio diretto non sarebbe stato riconosciuto a livello
internazionale come legittimo. Se hai degli intermediari
internazionali affermati questo farebbe sembrare legittima la
vendita. In più, se il governo italiano l’approva, allora deve
essere giusta anche l’intera operazione.
Non era nemmeno il
primo accordo tra Eni e Gazprom: nello stesso periodo si tenta di
realizzare il south stream per portare il gas direttamente dalla
Russia facendo fuori l’Ucraina dove ancora oggi è costretto a
passare il gas russo per arrivare in Europa. Costo dell’opera,
quasi 24 miliardi di dollari.
Di questa vicenda ne parla il
giornalista Andrea Greco: “l’Eni si è allineata agli interessi
della Russia di Putin in quegli anni. South Stream era un progetto
pensato dal Cremlino per aggirare l’Ucraina che si stava rivelando
un paese poco affidabile.”
L’alternativa molto più economica c’era e si chiamava Nabucco, un gasdotto che però avrebbe fatto fuori proprio la Russia, portando il gas in Europa direttamente dalla Georgia e passando per la Turchia.
La scheda del servizio: LISCIO, GASSATO O YUKOS di Luca Chianca
Collaborazione Alessia Marzi e Goffredo De Pascale
Report ha incontrato l’ex oligarca russo, Mikhail Khodorkovsky. Agli inizi del 2000 era considerato l'uomo più ricco della Russia. Ex proprietario della Yukos, una delle più grandi compagnie petrolifere private russe di fine anni ‘90, viene arrestato durante l'ascesa al potere di Putin e la sua azienda viene messa all'asta. Gli viene contestata la frode fiscale, ma per molti analisti è tutto legato al potere che si sta delineando nella nuova Russia di Putin. Tra le poche società occidentali coinvolte nella vendita di Yukos compaiono anche le nostre Eni ed Enel, che dopo aver acquisito asset per il valore di oltre 5 miliardi di dollari, li rivendono a Gazprom nel giro di pochi anni: avrebbero così dato vita a una vera e propria operazione di portage finanziario.
La terra di confine tra occidente e Russia
L’ex repubblica dell’Unione Sovietica è oggi uno dei paesi più proiettati verso occidente: la guerra in Ucraina ha oggi riacceso i timori in Lituania nei confronti delle mire espansionistiche del vicino Russo. Per questo la Lituania sta aiutando l’ucraina nel resistere all’invasione voluta da Putin, anche ricorrendo a organizzazioni non governativ come la Blue Yellow Organization che tramite la voce del suo leader Jonas Ohman spiega “se Putin decidesse di fare qualcosa avremmo poco tempo per reagire. Potrebbe accadere ora o tra un anno. Ma Putin non si fermerà, dobbiamo fermarlo noi. E ora in Ucraina abbiamo l’opportunità di farlo.”
La scheda del servizio: TERRA DI CONFINE di Chiara De Luca
Al confine con la Polonia, in Lituania, ex repubblica sovietica entrata nella Nato nel 2004, la paura di un'invasione russa è molto forte. Nel paese baltico, l'impegno per l’Ucraina ha varie sfaccettature: da quello di un’organizzazione non governativa che supporta le forze armate ucraine, ai volontari che chiamano al telefono i cittadini russi per informali sul conflitto.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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