Puntata quanto mai attuale quella di stasera: si parlerà di gas, di energie fossili, di chi ha guadagnato (e continuerà a guadagnare) dai rincari e dalle speculazioni sul prezzo dell’energia. Ma si affronteranno anche altri temi: i rigassificatori sono l’unica soluzione per scindere la dipendenza dal gas russo? E il famoso gas autarchico è veramente una soluzione per i nostri problemi?
Parlare di gas ed energia significa parlare di geopolitica, del futuro di questo paese, di programmazione industriale, di tutela dei posti di lavoro (penso all’industria dell’auto) e dell’ambiente.
Al listino di Amsterdam il prezzo del gas è cresciuto fino a dieci volte rispetto allo scorso anno, un flusso di denaro che ha continuato ad arrivare anche alla Russia, che ha continuato a guadagnare miliardi vendendoci il suo combustibile dall’inizio della guerra. Sono soldi che alimentano la guerra e la devastazione in Ucraina: nei primi tre mesi di quest’anno la Russia ha raddoppiato i guadagni rispetto al 2021.
Dalla crisi del gas
qualcuno ci perde (per i rincari delle bollette, perché i costi per
la produzione superano i ricavi delle imprese) ma qualcuno ci
guadagna: Presadiretta è andata nell’impianto più grande di
esportazione di gas liquido al mondo. Navi che lasciano il porto
negli Stati Uniti e che il 75% portano gas liquido verso
l’Europa.
Qualche politico lo ha chiamato gas della libertà,
perché ci renderebbe liberi dalla dipendenza da quello russo: non è
l’opinione di alcuni esperti interpellati dalla trasmissione,
“quale libertà, se sei drogato e cambi spacciatore, sei ancora
dipendente dalla droga”.
Tra l’altro i due rigassificatori che Snam ha acquistato non risolveranno i problemi energetici di questo inverno e garantiranno un flusso di gas pari a 5 mld di metri cubi (solo l’impianto di Piombino): l’impianto di Ravenna sarà pronto nel 2024, quello di Piombino (che si farà nonostante l’opposizione del sindaco della città) non sarà pronto prima di aprile.
Nello stesso comunicato con con cui annunciava l’acquisto della nave, a luglio, Snam spiegava che “l’avvio di Golar Tundra come Fsru, è atteso durante la primavera del 2023”. Chi lavora al dossier, considera questi tempi un record (va anche aperto il bando per trovare i fornitori), il dubbio è che che alla fine si arrivi all’estate.
Come si intuisce, in ogni caso, Piombino non servirà per l’anno termico 2022/23, che si chiude ad aprile. Eppure il governo sembra ignorare questo fatto. Giovedì in Cdm, illustrando il piano italiano per fare a meno del gas russo, Cingolani ha ribadito ai colleghi che se Piombino non verrà realizzato, “c’è il rischio concreto di andare in emergenza nel marzo 2023”.
Carlo di Foggia – Il fatto quotidiano 3 settembre
La parola
d’ordine se non vogliamo rimanere senza gas è diversificare: i
vertici di Eni, accompagnati da Draghi e dal ministro Di Maio, sono
andati in Algeria per garantirci una certa quantità di gas. Ma
quanto ci costerà e quanto è sicura questa fonte?
I prezzi a
cui venderanno il gas aumenteranno – spiega al giornalista di
Presadiretta il ministro algerino – “ci sarà una revisione del
10%, del 20% o del 30%”. Perché questo è il mercato: se gli Stati
Uniti vendono il loro gas all’Europa a 70$, perché l’Algeria
dovrebbe vendere a 12$ - racconta l’ex ministro dell’energia
Attar? Come gli Stati Uniti, anche l’Algeria non ha mai guadagnato
così tanto dal gas.
C’è anche un altro aspetto, legato al gas algerino: quando dipendi da un paese straniero su un tema come l’energia, si creano delle situazioni di forza come dimostra la storia della sovranità territoriale algerina che, in modo unilaterale, è stata estesa nel 2018 fino a lambire le coste sarde. Hanno creato una sovranità nel mare a due passi dalla Sardegna – racconta a Presadiretta l’ex presidente Pili: la cartina pubblicata dal mensile Limes mostra quanto sia estesa questa zona. L’ex ammiraglio Fabio Caffio, di fronte a questa cartina, spiega come i pescatori sardi, superate le 12 miglia di acque territoriali potrebbero trovarsi, in teoria, una motovedetta algerina che gli addebita la pesca illegale nella loro zona: “L’Algeria ha esercitato una forma di potere geopolitico, allargare la giurisdizione sugli spazi marittimi in modo da acquisire più acqua e quindi più potere negoziale nei confronti dei vicini.”
Nel frattempo il rischio di rimanere senza gas è reale: lo ha spiegato il vicepresidente della commissione Timmermans “se Putin chiude i gasdotti completamente state sicuri che lo farà nel momento in cui potrà farci più male”.
Non è solo il costo del gas: l’aumento del prezzo ha fatto crescere il costo di tutte le materie prime, mettendo a rischio tutta l’industria manifatturiera italiana, ma sono anche previste interruzioni della produzione dell’acciaio, lo racconta da Ravenna il direttore della stabilimento del Gruppo Marcegaglia. Quando è arrivata la guerra il gruppo ha iniziato a riempire i magazzini da mezzo mondo, ma il prezzo dell’acciaio è cresciuto del doppio, a questo si devono aggiungere i costi dell’energia. Una volta l’energia era il 15-20% del costo totale, oggi supera tutti gli altri costi. Per capire l’impatto sul settore produttivo dei rincari in questo stabilimento bisogna tener conto che l’acciaio della Marcegaglia arriva ad altre 15000 aziende e impatta sull’edilizia, sui costruttori di auto, autobus e treni, sull’industria degli elettrodomestici, sull’agricoltura, sulla chimica, sugli arredamenti..
La strada del gas, a cui siamo rimasti testardamente attaccati in questi mesi di pandemia prima e di guerra poi, va in direzione contraria a quanto dovremmo fare per cercare di salvare il pianeta dal problema del riscaldamento globale.
È uscito oggi un articolo su l’Espresso a firma dei giornalisti Simone Alliva, Antonio Fraschilla e Chiara Sgreccia che parla dei ritardi nella transizione ecologica: l’Italia è il peggior paese in Europa per consumo del suolo, emissioni di co2, inquinamento e consumo di energie fossili. Complice la guerra, siamo andati in direzione contraria a quanto avremmo dovuto fare per attuare la decarbonizzazione e la fine del fossile. Nell’articolo si parlano dei decreti attuativi che mancano ancora, per i parchi eolici, per le comunità energetiche, per accellerare la costruzione di nuovi impianti di fotovoltaico nelle ex aree industriali (che andrebbero bonificate).
Così mentre in
Italia si discute di rigassificatori e centrali nucleari, dove per
evitare la catastrofe e l’emergenza si spera nel buon senso degli
italiani (sulla temperatura in casa, sulla cottura degli spaghetti,
tutte cose di buon senso certo), dall’estero arrivano notizie che
raccontano altro.
In Messico è stato installato il parco solare
più grande al mondo, arrivando ad installare 18990 pannelli in un
giorno per un impianto che darà energia a 1,3 ml di case.
Negli
Stati
Uniti prevedono un boom per le energie rinnovabili grazie al
“climate bill”, la nuova legge dell’amministrazione Biden
che prevede “ incentivi finanziari per far evolvere l'economia
americana nella direzione delle energie rinnovabili, limita i prezzi
di alcuni farmaci e istituisce un'aliquota fiscale minima per le
grandi imprese. ”
Presadiretta ha intervistato l’ex
generale Russel Honoré, diventato eroe nazionale quando, dopo
il disastro provocato dall’uragano Katrina, guidò i soccorsi
rimettendo in piedi la città.
Adesso vive in Luisiana e ha
fondato la Green Army, un gruppo di volontari con una missione,
combattere l’inquinamento: si è schierato contro gli investimenti
per trasportare gas liquefatto perché “questa industria sta
distruggendo la nostra acqua, la nostra terra. Sappiamo tutti ormai
che l’effetto del metano, in termini del riscaldamento
dell’atmosfera, è 80 volte superiore a quello della CO2 nei primi
venti anni dal rilascio.”
Che insegnamenti ha avuto
dall’emergenza per Katrina?
“Non possiamo approfittarci di
madre natura, che può distruggere qualsiasi cosa costruita dagli
esseri umani, ma continuiamo ad essere stupidi, a costruire nuovi
impianti in mezzo ai territori devastati dagli uragani. Non ha senso!
L’Europa può andare avanti con l’energia del vento, del sole, ed
è il momento per l’Europa di cambiare: c’è un proverbio cinese
che dice, per ogni sfida c’è un’opportunità. Questa guerra può
svegliare il mondo.”
E il gas italiano, quello per cui la destra, Salvini e Meloni, chiede di riprendere l’estrazione?
Secondo i dati dello stesso ministero della transizione ecologica le stime del gas nel nostro sottosuolo si aggirano tra i 60-60 miliardi di metri cubi:
Le riserve. L’Italia non ha però così tanti giacimenti con gas pronto a essere estratto. Gli ultimi dati, pubblicati dal ministero della Transizione ecologica, sono del 2021: si dividono in riserve certe (possono essere prodotte con probabilità maggiore del 90%), probabili (la percentuale è del 50%) e possibili (probabilità inferiore di molto al 50%). Il totale delle riserve ad oggi è di 39 miliardi di metri cubi di gas certo, 44 miliardi di metri cubi probabile e 26 miliardi possibile. Il totale, considerando tutto, è 110 miliardi di metri cubi. È ragionevole però prendere in considerazione un valore intorno ai 60-70 miliardi. Meno del consumo nazionale di gas di un anno (75 miliardi di metri cubi).
I giacimenti. Il gas è distribuito in centinaia di giacimenti sparsi su tutto il territorio per i quali servirebbero altrettanti pozzi e piattaforme. Questo implicherebbe costi molto elevati per le aziende petrolifere (hanno bisogno di identificare le posizioni migliori per produrre un buon margine di guadagno in tempi normali) e un margine ridotto o perdite sostenibili ad oggi (l’idea è vendere il gas nazionale a prezzo calmierato alle imprese). Si dovrebbe contare sui giacimenti più grandi, per i quali c’è bisogno di superare divieti ambientali, vincoli legislativi, iter autorizzativi (altrimenti sarebbero probabilmente già stati svuotati) e installazioni o integrazioni dell’infrastruttura. Solo poi su quelli più piccoli e quasi in esaurimento.
Nel caso dei primi, bene che vada non si riuscirebbe a intervenire in poco tempo. Nel caso dei pozzi già esistenti, invece, molti – seppur considerati ancora produttivi – sono quasi esauriti: la pressione al loro interno si è ridotta e produrre è più costoso per le aziende (come dismetterli peraltro), ma è anche da questi che potrebbe arrivare qualche contributo.
Virginia della Sala – Fatto Quotidiano del 3 settembre 2022
Estrarre gas nel nostro sottosuolo, o nell’Adriatico, costa troppo, è svantaggioso economicamente, funziona giusto in campagna elettorale.
La scheda del servizio:
La seconda puntata di PresaDiretta, in onda in diretta lunedì 5 settembre alle 21.20 su Rai3, è dedicata alla crisi del gas. Nel pieno della tempesta scatenata dal prezzo del gas che continua a salire senza controllo, PresaDiretta analizza gli effetti delle scelte energetiche del nostro Paese. Come faranno le imprese a sostenere le bollette e la carenza di materie prime? Che autunno ci aspetta? Ci stiamo rendendo indipendenti dal gas russo, ma i nostri nuovi partner offrono garanzie democratiche? E c’è un legame tra i profitti dell’industria energetica e le guerre?
PresaDiretta compie un viaggio tra le fabbriche del Veneto, della Lombardia e dell’Emilia-Romagna, per raccogliere il grido di allarme degli imprenditori. Come faranno le nostre imprese a sostenere i picchi del costo del gas e a rimanere competitive? L’industria italiana è già entrata in una spirale pericolosa: riduzione dei consumi, rallentamento della produzione e conseguente carenza di materie prime. Che effetto avrà tutto questo sulle esportazioni, sugli appalti pubblici e nei cantieri già aperti dove le spese lievitano?
La ricerca della diversificazione e dell’autonomia da Gazprom, intanto, hanno aperto nuove strade di approvvigionamento. E’ il boom del gas liquido americano, il gnl estratto attraverso la contestata e impattante tecnica del fracking. PresaDiretta è tornata negli Stati Uniti a vedere come funziona il gigantesco mercato del gnl verso l’Europa e a capire quanto ci costerà.
E poi in Algeria, il nuovo partner privilegiato per la fornitura del gas all’Italia. Che garanzie ci offre davvero questo Paese?
Una recente ricerca poi, ha messo in relazione le robuste entrate nei bilanci della Federazione russa legate all’export di petrolio e del gas con un massiccio aumento della spesa militare. Qual è allora il legame tra l’industria energetica e la spesa per gli armamenti?
Ospiti in studio di Riccardo Iacona: Marco Gay, presidente di Confindustria Piemonte e Matteo Villa, ricercatore dell’ISPI, l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, esperto di energia. Insieme parleranno di come affrontare l’emergenza gas, di cosa rischiano le nostre imprese e di come affrontare l’autunno che ci aspetta.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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