03 settembre 2022

Uno dall’altro, di Philip Kerr

 

INCIPIT

PROLOGO

Berlino, settembre 1937

Ricordo com’era bello il tempo, quel settembre. “Il tempo di Hitler”, lo chiamavano. Come se gli stessi elementi, tra tutte le persone, fossero disposti a essere gentili proprio con Adolf Hitler. Lo ricordo pronunciare un discorso farneticante in cui chiedeva colonie per la Germania. Fu forse la prima volta che lo udimmo usare l’espressione “spazio vitale”. Nessuno si fermò a pensare per un momento che il nostro spazio vitale avrebbe potuto essere creato solo se prima fosse morto qualcun altro.

Vivevo e lavoravo nello spazio che chiamiamo Berlino. C’era un sacco di lavoro là per un detective. Certo, si trattava solo di persone scomparse. E la maggior parte di loro erano ebrei. Perlopiù assassinati in un vicolo, o spediti in un KZ, un campo di concentramento, senza che le autorità si preoccupassero di notificarlo alle famiglie. I nazisti pensavano che il modo in cui lo facevano fosse davvero spassoso. Certo, ufficialmente gli ebrei erano incoraggiati a emigrare ma, dal momento che gli era proibito portarsi dietro i loro averi, ben pochi lo facevano. Comunque, qualcuno riusciva a inventare dei bei trucchi per trasferire i soldi fuori dalla Germania.
(un passaggio più esteso lo trovate qui)

Immaginatevi che Raymond Chandler e Frederick Forsyth si fossero incontrati per scrivere, a quattro mani, un romanzo dove si mescola il noir in scenario dove si muovono agenti segreti, doppiogiochisti, ex criminali nazisti in fuga, poliziotti dalle mani pesanti, sullo sfondo di una Germania nei primi anni del dopoguerra (l’azione si svolge nell’autunno del 1949), che si sta risollevando a fatica dalle macerie e con tanta voglia, troppa forse, di dimenticarsi il suo passato.

Quello in cui un pazzo irretiva un intero paese vaneggiando di spazi vitali, di razze superiori e di razze da sopprimere.
Ne sarebbe venuto fuori un romanzo come questo, L’uno dall’altro, terzo della serie di Philip Kerr con protagonista l’investigatore privato Bernie Gunther: ex poliziotto della Kripo, ex appartenente delle SS, finito sul fronte russo di cui fu testimone degli orrori, le operazioni di pulizia nei confronti degli ebrei e dei commissari politici. Attraverso il suo sguardo abbiamo visto la Germania diventare nazista, quelli che hanno approfittato per salire sul carro di Hitler (le “violette di marzo”). Lo sgomento del primo orrore col rumore delle vetrine andate in frantumi nella notte dei cristalli. Infine lo sfacelo, la Germania anno zero, spartita in due dalle potenze vincitrici, alleate fino a ieri ma pronte a combattere una nuova guerra oggi. Il suo sguardo non è privo di una certa ironia, anche in momento come questo, nel 1949, dove la guerra è finita da quattro anni, dove il reich millenario è crollato miseramente portandosi dietro le vite di milioni di persone per lasciar il posto ad una repubblica federale dove si ha tanta voglia di ripartire, di gettare un colpo di spugna su certi crimini e certi criminali del passato. Nonostante molti di questi (le “giacche rosse”) stiamo aspettando il loro turno per essere giudicati nel carcere di Landsberg: uno scherzo del destino, ex nazisti nello stesso carcere dove Hitler scrisse il Mein kampf ..

Prima di partire con la storia, c’è un lungo prologo iniziale ambientato nel 1937: il perché di questi antefatti lo si comprenderà alla fine, in quel convulso finale dove tutto finisce, per ricominciare.

Bernie viene incaricato da un ufficiale delle SD (il servizio di sicurezza delle SS) di aiutare un imprenditore ebreo a spostare i suoi beni fuori dalla Germania, dove per legge non potrebbe possedere nulla. In questa operazione, un sotterfugio in cui le SS taglieggiavano quanti, tra gli ebrei, potevano permettersi andare in Palestina (allora un protettorato inglese).
In questa missione Bernie entra in contatto con Eichmannn (“l’uomo dall’aspetto più ebraico con l’uniforme delle SS”), allora sottufficiale delle SS, con un gruppo estremista chiamato Haganah, che sta combattendo una sua battaglia per far diventare la Palestina la terra di Israele e col gran Muftì, Haj Amin, che invece gli ebrei vorrebbe sterminarli tutti. Un gioco di intrighi dove le SS giocano su più tavoli e che sarà l’antipasto del groviglio dentro cui Bernie andrà a finire anni dopo..

La Gestapo voleva che spiassi l’SD. E adesso l’Haganah voleva che spiassi la Gestapo. C’erano dei momenti in cui pensavo di aver sbagliato mestiere.

Autunno 1949: finita l’esperienza viennese (da cui è scampato per un pelo da un ufficiale dell’NKVD), ritroviamo Bernie a gestire l’albergo vicino al campo di Dachau del suocero, il padre di Kristen, la moglie, finita in depressione dopo la sua morte

«Soffre di una forma acuta di schizofrenia catatonica» fu ciò che mi disse il dottor Bubliz , lo psichiatra che aveva in cura Kirsten. «Non è poi così rara dopo ciò che abbiamo passato in Germania, possiamo sorprendercene?».

Alla morte della moglie, per una influenza, Bernie decide di mollare tutto, “Lo yankee aveva ragione, dovevo tornare a quello che conoscevo meglio”, ovvero l’investigatore privato. A Monaco. I primi casi in cui si imbatte hanno a che fare ancora con ex nazisti e con le “giacche rosse” detenute a Landsberg. Un avvocato che cerca informazioni sui violenze contro i detenuti, un barone che cerca di scagionare il figlio, ufficiale SS che in Lituania aveva comandato un’unità di sterminio nel 1941. Un altro tedesco che aveva solo “obbedito agli ordini”. Perché dovrebbe scontare in cella il resto della vita? Già si parla di amnistia nella nuova Germania e gli stessi alleati non hanno così tanta voglia di andare a caccia di nazisti.

«Sono stato nelle SS. Ma questo non vuol dire che non tenga alla giustizia, Herr Doktor. Uomini che hanno assassinato donne e bambini meritano la prigione. La gente ha bisogno di sapere che gli errori vengono puniti. È questa la mia idea di una Germania sana».

Un giorno in ufficio si presenta un donna, alta, bella, con una cicatrice sulla guancia che non le rovina il fascino. Si chiama Britta Warzok ed è la moglie di un altro ufficiale delle SS. Ma diversamente dalle altre persone finora incontrate, non fa nulla per nascondere l’astio nei confronti di ciò che il marito ha fatto.

«Herr Gunther io voglio sposarmi».

«Non è troppo presto, cara? Ci siamo appena incontrati».
Sorrise educatamente. «C’è un solo problema. Non so se l’uomo che sposato è ancora vivo».

«Se è scomparso durante la guerra, Frau Warzok, farebbe meglio a domandare all’Ufficio informazioni dell’esercito».

Friedrich Warzok è stato vice comandante del campo di Janowska, in Polonia dove, assieme al altri ufficiali, si è reso responsabile di crimini contro i detenuti. Crimini che vanno oltre l’immaginazione, oltre il dover obbedire agli ordini, oltre la giustificazione che si era in guerra..

«Sarò onesta con lei Herr Gunther». Si toccò un occhio con l’angolo del fazzoletto. «Friedrich Warzok non era un brav’uomo. Durante la guerra ha fatto cose terribili».
«Dopo Hitler non c’è nessuno di noi che può dirsi di avere la coscienza pulita».
«E’ molto gentile da parte sua dire questo. Ma ci sono cose che uno deve fare per sopravvivere. E poi ce ne sono altre che non riguardano la sopravvivenza. Questa amnistia che si discute in Parlamento.. Non includerebbe mio marito, Herr Gunther».

Per risposarsi frau Warzok ha bisogno di essere sicura che il marito sia morto, da buona cattolica non accetterebbe mai il divorzio: così Bernie inizia a chiedere in giro, sfruttando il suo essere stato, per un certo periodo nelle SS ed aver anche lavorato a Berlino nell’ufficio che raccoglieva i crimini di guerra (i tedeschi hanno un registro per tutto).

Il lavoro di un detective è un po’ come entrare in un cinema quando il film è già cominciato. Non sai cos’è accaduto prima e, mentre cerchi di trovare la strada nel buio, è inevitabile che pesti un piede a qualcuno o che gli tagli la strada.

In questo caso, la metafora di Bernie andrà oltre il piede pestato: finirà dentro la rete del ragno, la società dei camerati, un gruppo di soccorso ai nazisti ricercati che coinvolge anche esponenti del clero cattolico. Ma i piedi pestati gli costeranno una bella dose di manganellate, per finire scaricato poi, come un sacco di rifiuti, davanti un ospedale.
I problemi per Bernie non finiranno qui: non voglio anticipare nulla, ma il pestaggio e il ricovero in ospedale saranno solo l’inizio di una trappola, ordita alle sue spalle e che lo porterà molto vicino all’estremo saluto di questo mondo e da cui riuscirà a salvarsi grazie a quelle relazioni che aveva intessuto in quello strano viaggio del 1937 a Gerusalemme, tra SS, ebrei sionisti e musulmani radicali.

In questo romanzo, L’uno dall’altro, Philip Kerr imbastisce una trama avvincente, che si prende solo una pausa nell’intermezzo a metà libro, per poi crescere senza sosta nell’ultima parte dove il nostro investigatore dovrà guardarsi le spalle da amici e nemici, pur di portare a termine la sua missione.

Ma è anche un romanzo ben costruito per quanto riguarda il contesto storico: nulla è inventato, dal viaggio di Eichmann a Gerusalemme ai contatti tra le SS e il gran Muftì, alleato di Hitler. Viene descritta in modo accurato anche la rete di fuga di cui si sono servite molte SS per sfuggire alla giustizia e alla vendetta delle squadre del Nakam. Una via di fuga che passata per l’aiuto della CIA e del Vaticano, non perché avessero particolari simpatie per i nazisti o Hitler, ma perché si preparavano alla guerra al comunismo. Come si fa, allora, a distinguere i vincitori dai vinti, l’uno dall’altro?
Si stava preparando una nuova Germania, all’insegna della “normalità”, ma senza aver fatto i conti col passato, con le migliaia di morti di persone ritenute non degne di vivere, uccise nei programmi di eutanasia del programma Aktion T4, uccise al seguito dell’avanzata delle truppe in Russia, uccise nei campi di concentramento nell’ambito della soluzione finale. Campi in cui medici, persone che avevano fatto il giuramento di Ippocrate, si ritenevano degli dei in terra, col poter di disporre della vita degli altri per condurre i loro esperimenti. Una Germania in cui Bernie Gunther, disilluso dopo tutto quello che è successo, dopo tutte le morti a cui ha assistito, stenta a riconoscere.

Io stesso avevo trovato tutto questo difficile da capire: che noi, forse la nazione più civilizzata al mondo, potessimo aver fatto cose così spaventose in nome della scienza medica. Difficile da capire, sì. Ma non difficile da credere. Dopo la mia esperienza personale sul fronte russo, ero arrivato a credere il genere umano capace di un grado illimitato di disumanità. Forse proprio questo – la nostra profonda disumanità – è ciò che ci rende più di tutto umani. Cominciavo a capire cosa stava succedendo.

Le altre indagini del detective Bernie Gunther

Violette di marzo (2020)
Il criminale pallido (2020)
Un requiem tedesco (2021)

La scheda del libro sul sito di Fazi

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