Io me lo ricordo ancora dov’ero 21 anni quando, nel pomeriggio dell’11 settembre 2001, due aerei di linea americani venivano dirottati e mandati a schiantarsi contro le Torri Gemelle a New York.
In ufficio la notizia arrivò dai canali internet: avevamo anche una piccola televisione, dove seguivamo l’avvicendarsi delle notizie. Un incidente. No, impossibile dopo il secondo schianto. Allora è un attentato. Un attentato organizzato da due gruppi di attentatori di Al Qaeda, un’organizzazione terroristica islamica: questa volta ad essere colpito non era un obiettivo lontano (sebbene solo otto anni prima c’era stato un attentato nei sotterranei delle Torri). A bruciare erano due palazzi simbolo di New York.
Cosa è successo dopo, anche questo me lo ricordo: da una parte la psicosi di nuovi attacchi, per la scoperta di quanto potessimo essere vulnerabili. Dall’altra la risposta di “pancia” nei confronti dei diversi, le persone con la faccia diversa dalla nostra. Bombardiamoli, uccidiamoli.
La guerra in Afghanistan contro il regime dei talebani e poi, nel 2003, la guerra in Iraq, con la bugia delle armi di distruzione di massa.
Sebbene Al Qaeda
ricevesse finanziamenti dai sauditi, come Saudita era Bin Laden e
sebbene 15 dei 19 dirottatori fossero sauditi, l’amministrazione
Bush decise di attaccare l’Afghanistan, per una occupazione durata
poi 20 anni e terminata col ritorno dei talebani.
D’altronde i
legami tra Bush padre e figlio e l’Arabia erano molto stretti, lo
racconta nel suo documentario Michael Moore, Fahrenheit
9/11: il 7% dell’economia americana era nelle loro mani, erano
soci dentro il gruppo Carlyle, un gruppo con forti interessi nel
settore della difesa, su cui arrivarono miliardi di fondi pubblici
per le spese militari.
Si arrivò poi alla
guerra in Iraq, per abbattere il regime di Saddam Hussein ritenuto
colpevole (in base a prove false) di avere contatti con Al Qaeda e di
essere in procinto di realizzare armi di distruzione di massa. Non
era vero: Bush, Blair, Powell, hanno mentito al mondo.
Quello
che importava erano i profitti che sarebbero arrivati per la guerra,
con la spartizione del petrolio iraqeno.
Se non ci fosse stato
il lavoro di Wikileaks e il coraggio di poche “gola profonda” nel
sistema militare non sapremmo nemmeno dei crimini di guerra, delle
torture di Abu Ghraib, delle rendition (come quella dell’Imam Abu
Omar qui in Italia), di quanto successo a Guantanamo.
Se avete voglia di
approfondire, leggetevi Il
potere segreto della giornalista Stefania Maurizi
(Chiarelettere). Da una parte la retorica della guerra per esportare
la democrazia, dall’altra le falsità di un presidente che manda in
guerra ragazzi di poco più di vent’anni e che, cosa ancor più
ignobile, si permise pure di tagliare i fondi per l’assistenza dei
militari coi postumi della guerra.
A 21 anni da quell’11
settembre 2001 cosa rimane? Viviamo un’epoca dove è stato
sconfitto il terrorismo? Abbiamo esportato la democrazia in Iraq e
Afghanistan?
Si sono rafforzati
gli strumenti sovranazionali per gestire le controversie tra
paesi?
La guerra in Ucraina ha fatto irruzione nelle nostre
vite: da una parte un regime, quello di Putin, deciso a riconquistare
la sua zona di influenza ai confini dell’Europa, senza preoccuparsi
delle scelte dei popoli. Dall’altra la Nato e gli Stati Uniti che
stanno alimentando questa guerra che non sembra destinata a terminare
a breve.
Ancora una volta si
assiste al tifo, alla propaganda della guerra, al doversi schierare
da una parte o dall’altra, pena l’essere ritenuti complici o
amici del nemico.
Quel nemico, Putin, che fino a poco tempo fa
erano nostro partner commerciale: a Putin e al suo gas ci siamo
legati nel corso degli anni e dei governi passati.
Non si tratta di stabilire se la guerra sia legittima o se, invece, non lo sia. La vittoria non è possibile. La guerra non è fatta per essere vinta, è fatta per non finire mai. Una società gerarchica è possibile solo se si basa su povertà e ignoranza.
George Orwell 1984
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