01 settembre 2021

Il potere segreto di Stefania Maurizi

 


Prefazione di Ken Loach

Questo è un libro che dovrebbe farvi arrabbiare moltissimo. È la storia di un giornalista imprigionato e trattato con insostenibile crudeltà per aver rivelato crimini di guerra; della determinazione dei politici inglesi e americani di distruggerlo; e della quieta connivenza dei media in questa mostruosa ingiustizia. Julian Assange è noto a tutti. Wikileaks, in cui ricopre un ruolo determinante, ha fatto emergere gli sporchi segreti del conflitto in Iraq e molto altro ancora.

La lettura di questo libro vi farà indignare e arrabbiare, come scrive il regista Ken Loach nell'introduzione, ma soprattutto vi farà vedere le nostre democrazie, quella Americana (considerata la più grande del mondo) e pure la nostra, con occhi diversi.

Perché la storia del processo a Wikileaks e a Julian Assange fanno cadere il velo dell'ipocrisia che copre il lato oscuro dei nostri paesi: non è sufficiente andare a votare, essere certi di una polizia democratica, di un sistema di giustizia che sia cieco, ovvero la legge uguale per tutti (e sappiamo già che non sempre è così).

Esiste un “potere segreto” all'interno delle istituzioni americane che condiziona la politica americana e quella dei suoi alleati: un potere di cui fanno parte i sistemi di intelligence (sempre più potenti, sempre meno trasparenti, con sempre più fondi), l'industria delle armi (che ha bisogno di un nemico contro cui fare una guerra), parte del mondo finanziario che sostiene i primi, anche qui senza trasparenza “perché gli affari più redditizi prosperano nella riservatezza”. Un potere che non deve rispondere alle leggi ordinarie, che non deve sottoporre i propri bilanci a qualche agenzia statale, che può compiere tutti i reati che vuole sapendo che ne uscirà sempre pulito.

Questa la colpa di Julian Assange e della sua strana creatura: aver smascherato questo potere, aver dimostrato, coi documenti della difesa, degli analisti, le bugie della macchina della propaganda che ha cercato di raccontare le guerre in Iraq e in Afghanistan come guerre giuste, come guerre al terrore, come l'unica strada per portare la democrazia in quei paesi disgraziati, per salvarli dai talebani o da un dittatore sanguinario che poteva colpire il mondo con le sue armi di distruzione di massa (che in realtà non esistevano).

La giornalista del Fatto Quotidiano Stefania Limita ricostruisce più di dieci anni di storia, dagli inizia di Wikileaks, dalle prime collaborazioni, le pubblicazioni dei documenti segreti ottenuti grazie al contributo di whistleblower come Edward Snowden e Chelsea Manning.

Se non ci fossero state queste persone coraggiose, che hanno pagato caro le loro scelte, non sapremmo nulla dei crimini di guerra in Iraq (come quello documentato dal video collateral murder), non sapremmo nulla dei terroristi carcerati a Guantanamo in condizione vergognose (che democrazia è quella che non rispetta nemmeno il principio dell'habeas corpus?), non conosceremmo i report sul campo redatti dai soldati americani in Afghanistan e in Iraq.

Sono i leaks pubblicati da Assange e dai suoi collaboratori a partire dal 2010: già da allora avremmo dovuto capire che quelle erano guerre sporche, che non si esporta la democrazia con le bombe, la tortura, i rapimenti in pieno giorno come nel Cile di Pinochet per rapire un imam come Abu Omar per farlo torturare in un paese con meno problemi sulla coscienza come l'Egitto.

Già allora avremmo dovuto capire come sarebbe andata a finire. Avremmo dovuto capire che quelle stragi di civili avrebbero creato un risentimento contro i liberatori, che la guerra sul campo non poteva essere vinta, che non si stava portando la libertà in Iraq e Afghanistan, ma si stava solo facendo gli interessi delle industrie delle armi, delle società di contractor i cui mercenari affiancavano i militari per la sicurezza delle azienda straniere venute in quei paesi per gestire il business della ricostruzione.

La fuga da Kabul è solo l'ultimo passo di questa vergogna: non abbiamo sentito nemmeno da parte degli strateghi che quella guerra l'hanno voluta, nemmeno da parte dei giornalisti che quella guerra l'hanno benedetta.

Vi ricordate quel giornalista che scriveva sul corriere che una dose minima di tortura deve essere consentita anche in democrazia se si vuole combattere il terrorismo? Ecco, cosa ha da dire oggi, che il terrorismo è più forte e quella guerra l'abbiamo persa?

Il potere segreto, dentro cui possiamo mettere le agenzie di sicurezza americane, l'ha fatta pagare cara ad Assange: hanno strumentalizzato una vicenda personale, un'accusa di presunto stupro in Svezia nel 2010 (che Stefania Limiti racconta in tutti i dettagli), per intrappolarlo, per tenerlo bloccato a Londra, con la spada di Damocle dell'estradizione in Svezia col rischio di essere poi estradato in America e finire sepolto in carcere, come Chelsea Manning.

Dal 2010 Assange non è più un uomo libero: chi ha torturato, chi ha ucciso civili, chi ha permesso le violenze ad Abu Ghraib è libero e non ha scontato un giorno di cella mentre persone come Assange rischiano una pena di 175 anni di carcere perché considerati spie.

Oppure sono costrette a trovare rifugio nella Russia di Putin come Snowden, perché nessun paese cosiddetto libero ha voluto dare ospitalità e protezione.

Nell'amministrazione Obama prima e in quella di Trump (che poi, si è usata una legge del 1917, l'Espionage Act, per incriminare i giornalisti che hanno raccontato il vero volto di queste guerre che di umanitario hanno avuto poco.

Non solo, come scrive l'autrice, “Trump ha concesso la grazia ai quattro contractor dell’azienda Blackwater, responsabili del massacro di Nisour Square a Baghdad e l’ha negata a Julian Assange e a Edward Snowden”.

I nemici di Assange sostengono che il suo non è giornalismo, che con le sue pubblicazioni di documenti classificati ha messo a rischio collaboratori e agenti americani, che col suo lavoro è stato utile idiota della Russia e dei nemici dell'occidente.

Ma non è vero niente: come Daniel Ellsberg, l'analista che fece uscire i famosi Pentagon Papers dalle segrete stanze affinché venissero a conoscenza dei cittadini americani, anche Assange è stato mosso solo dal desiderio di rendere i cittadini del mondo persone consapevoli, non sudditi di un re che racconta loro le frottole per tenerli buoni.

Ad oggi, scrive Stefania Limiti, nessun analista, agente dei servizi risulta essere stato colpito per colpa dei documenti pubblicati da Wikileaks.

Relativamente all'obiezione di essere andato a letto col nemico: pubblicare informazioni vere, di pubblico interesse con l'obiettivo di scoprire crimini, di smascherare bugie, anche quelle che vengono dal tuo governo, non è reato.

A quelli che sostengono che Assange non è un giornalista, forse non è chiaro cosa sia giornalismo:

.. non esiste libertà di stampa se i giornalisti non sono liberi di scoprire e denunciare la criminalità di Stato senza finire ammazzati o passare la vita in galera.”

Troppi giornalisti in Italia e nella stessa America hanno voltato la faccia dall'altra parte, scegliendo di non voler approfondire le notizie che arrivavano da quei paesi lontani, scegliendo che fosse patriottico sostenere una guerra sporca e ingiusta (quella in Iraq e anche quella in Afghanistan). Essere giornalisti non significa riportare solo le veline dei portavoce militari o dei ministri:

C'è una famosa frase che sintetizza la funzione del giornalismo: se uno dice che fuori piove e un altro dice che fuori c’è il sole, il compito di un giornalista non è citare tutti e due, ma guardare fuori dalla finestra e scoprire cosa è vero.

Questo è quello che Stefania Limiti ha fatto, in un lavoro encomiabile, in questo libro dove si denuncia un'ingiustizia che ci riguarda da vicino: perché questa guerra è costata morti, sia civili che militari, anche italiani. E' una guerra costata miliardi, negli anni in cui si tagliavano fondi alla scuola e alla sanità.

E c'è un'altra questione importante: se Assange dovesse alla fine essere condannato (ad oggi il tribunale di Londra ha negato l'estradizione in America, ma c'è ancora l'appello), chi si azzarderà ancora a rendere pubblici dei documenti segreti come il video “collateral murder”?

Come potrà l'occidente, l'America ma anche noi italiani, tanto garantisti nei confronti dei potenti in difficoltà, permetterci di criticare una dittatura che affossa la libera stampa?

La condanna di Assange farebbe da effetto domino per poter consentire la condanna di altri giornalisti nel mondo. E' questa la democrazia che vogliamo?

Una democrazia che racconta bugie, che spia i propri cittadini con un sofisticato e costoso sistema di sorveglianza di massa?

Nel libro si parla anche dell'Italia anzi è stato proprio partendo da un caso italiano che Stefania Maurizi è entrata in contatto con Wikileaks, si tratta dell'emergenza rifiuti a Napoli, nel 2009, quando alla giornalista arrivò un file audio di una trascrizione audio, in cui l'assessore ai rifiuti Ganapini che spiega come si sia arrivati all'emergenza quando era disponibile una discarica come quella di Parco Saurino che avrebbe potuto raccogliere l'immondizia (che definiva il mistero della repubblica):

«Sai, quando il capo dei servizi segreti due volte ti dice: “Hai capito [?!] che è intervenuta la presidenza della Repubblica”, io o gli do dell’ubriaco a lui o ragiono».

Eccolo qua il volto del potere segreto, anche da noi, una strana commistione tra servizi, politica che ha avuto un ruolo nella crisi dei rifiuti (che poi aggravò la situazione del governo Prodi). All'epoca a gestire la crisi era De Gennaro, poi diventato direttore del DIS.

Ma è nei cabli che gli ambasciatori inviavano dal mondo a Washington e che Wikileaks pubblicò nel 2010 che viene fuori l'immagine che gli Stati Uniti hanno di noi: ci considerano il loro giardino di casa, un paese a cui, nonostante il nostro macchiavellismo, siamo un paese dove è possibile fare ottimi affari politici e militari.

Perché i nostri governi di centro destra e centri sinistra hanno opposto il segreto di stato che ha salvato gli agenti del nostro Sismi dalle condanne per il rapimento di Abu Omar, perché i ministri della giustizia, destra o sinistra, non hanno portato avanti le richieste dei mandati di arresto per gli agenti CIA, poi graziati dal presidente Napolitano.

l’ambasciatore spiegò a Letta che nulla danneggerebbe in modo più rapido e grave le relazioni [Italia-Usa] della scelta del governo italiano di inviare i mandati di arresto dei presunti agenti Cia

Questo è il vero volto del nostro alleato, quello che oggi, dopo gli accordi di Doha, ha abbandonato l'Afghanistan ai talebani a cui venti anni fa aveva dichiarato guerra. L'alleato che, sempre dai documenti pubblicati, si chiede che fine abbiamo fatto i soldi per gli stipendi delle forze afgane, tra l'altro addestrate dai nostri militari.

Che fine abbiano fatto i fondi donati dai governi per la ricostruzione, perché come in Italia “le strade venivano costruite non in base alle necessità, ma all’arbitrio dei potenti locali”.

In Italia in tanti anni nessun dibattito è stato fatto su come siano stati spesi gli 8 miliardi e mezzo della missione a Kabul (quante case, quanti ponti, quante scuole): un altro vanto del governo Berlusconi prima e dei successivi poi, aver sopito la discussione in questo paese sui morti, sui soldi, sui perché di questa guerra che all'inizio nessuno voleva.

Complice anche una buona parte della stampa che ha scelto, diversamente da Assange, Snowden, Manning, di non voler vedere, non prendere una posizione, non approfondire.

Nessun dubbio, nessuna domanda, nessun asilo politico a Snowden da parte dell'allora ministra Bonino perché «Non sussistono le condizioni giuridiche per accogliere la richiesta, che a giudizio del governo, d’altra parte, non è accoglibile neanche sul piano politico».

Conclude il libro con queste parole, la giornalista

L’obiettivo del complesso militare e d’intelligence degli Stati Uniti e dei loro alleati è distruggere WikiLeaks, far fuori un’organizzazione giornalistica che, per la prima volta nella storia, ha creato una crepa profonda e persistente in quel potere segreto..

Non dobbiamo dargliela vinta, dobbiamo sostenere Assange, dobbiamo proteggere i whistleblower, dobbiamo proteggere i giornalisti coraggiosi e le loro fonti, se vogliamo vivere in un paese dove a finire in carcere sono coloro che commettono crimini contro l'umanità (compresi i terroristi che qui nessuno giustifica o vuole difendere), non chi li rivela al mondo.

Il link per la puntata di Presadiretta – Processo al giornalismo

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