Al mio risveglio, le tende di tela grezza lasciavano filtrare nella camera la solita luce giallastra. Casa nostra, al pari di tutte le case della via, al prima piano non ha persiane alle finestre. Sentivo il tic tac della sveglia su comodino e, al mio fianco, il respiro cadenzato di mia moglie, non meno rumoroso di quello dei pazienti nei film, durante un intervento. Era incinta di sette mesi e mezzo e, come già per Sophie, il pancione la costringeva a dormire sulla schiena.
E' da tempo che avevo voglia di scrivere questo romanzo – si legge nella terza di copertina di questo breve ma intenso romanzo di Simenon – ma dovevo trovare il tono giusto.
Il tono giusto per raccontare il dramma dei profughi francesi e belgi che, nella tarda primavera del 1940, dovettero abbandonare le loro case di fronte all'avanzata dei tedeschi, dopo i mesi di stallo della guerra balorda.
Il protagonista di questa storia racconterà la sua vicenda in prima persona, come se avesse intenzione di tramandare le sue memorie in modo che non vadano perse (e si capirà a fine libro perché).
Ci tengo subito a dichiarare che non ero un uomo infelice né tanto meno triste. Anzi, a trentadue anni mi ritrovavo in anticipo su tutti i miei progetti che avevo concepito, su tutte le mi aspettative.
Avevo una moglie, una casa, una figlia di quattro anni, un po' troppo nervosa, ma il dottor Whilems diceva che col tempo il problema si sarebbe risolto.
La notizia dell'invasione della Francia dalle Ardenne è vissuta da Marcel Féron come un appuntamento del destino, per tutto quanto gli è successo prima: la partenza del padre per il fronte nel 1914, l'abbandono della madre e il crescere con un padre tornato dalla guerra con un problema di alcool (come tanti reduci). Gli anni in sanatorio per quei suoi problemi di salute, tra cui anche una forte miopia che lo costringe a girare sempre con un paio di occhiali di scorta. Per questo Marcel ha sempre cercato una vita tranquilla, una casa, un lavoro, una famiglia ma ora la guerra che lo costringe ad un salto nel vuoto: scappare, prendere un treno assieme alla moglie incinta e la bambina, salendo su quel treno che lo porterà lontano, “.. un appuntamento che avevo, da sempre, con il destino”.
Il destino si presenterà sotto forma di una giovane donna “coi capelli scuri, con il vestito nero, che non aveva con sé alcun bagaglio, nemmeno una borsetta”: una “portoghese” salita sullo stesso carro merci dove Marcel aveva trovato posto, separato da moglie e figlia finite su un altra carrozza che poi verrà agganciata ad un altro treno.
Questa ragazza, enigmatica, sola, con un accento straniero, ha qualcosa che colpisce Marcel, tanto da avvicinarsi a lei: in quel carro, stipato di tante persone, queste due persone, un uomo solo e una donna, si cercano, si avvicinano, si tengono la mano.
Perché la guerra, la paura, l'incertezza del domani, hanno fatto saltare tutte le regole, come se si vivesse ora per ora, giorno per giorno. Rischiando la vita per una mitragliata di un caccia tedesco.
Marcel racconta, scusandosi del tono pudico, del primo atto carnale con Anna, questo il nome della ragazza, fatto su un carro merci, allo scuro, con altre persone.
Il pronunciare per la prima volta le parole “ti amo”, il desiderio di fare l'amore con questa giovane donna, come se non esistesse nulla del suo passato. Nessuna moglie, nessuna famiglia, nessun signor Féron.
Questo era il destino con cui Marcel aveva appuntamento: vivere quei mesi di vita sul treno prima e al campo profughi poi, in una stato di sospensione
Si era prodotta una frattura. Ciò non significa che il passato non esistesse più, né tanto meno che rinnegassi la mia famiglia e avessi smesso di amarla.
Semplicemente, per un tempo determinato, vivevo in un'altra dimensione, i cui valori non avevano nulla in comune coi valori della mia vecchia vita.
Una dimensione rappresentata da un vagone che puzzata di stalla, da crocerossine con la fascia rossa al braccio, da volti sconosciuti fino a pochi giorni prima e da Anna, che accettava questa situazione, pur sapendo che fosse precaria, finché Marcel non avesse ritrovato la sua famiglia.
In questa dimensione Marcel e Anna diventano una coppia, in un presente senza futuro e di cui entrambi erano consapevoli, ma un presente che viene vissuto con gioia e senza pudori per quel desiderio del sesso che viene comunicato con un loro sistema di segnali e che Simenon racconta col suo consueto stile, con pochi tocchi, come un paio di mutandine stesa al sole
La mattina precedente, Anna aveva lavato mutandine e reggiseno, che aveva poi messo ad asciugare al sole e, vagando per il campo, ci guardavamo come due complici sapendo che era nuda sotto il vestito nero.
Il treno è un romanzo che in poche pagine condensa il dramma di tante persone costrette a scappare per la guerra con la perdita dei punti di riferimento della vita quotidiana e lo fa attraverso una vicenda privata, attraverso gli occhi di una persona che in questo dramma scopre l'altro sé stesso, non il padre di famiglia senza ambizioni, ma un uomo capace di vivere una vera passione.
La scheda sul sito di Adelphi
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