Voglio dire, generale: questa lotta alla Mafia l'hanno persa tutti, da secoli, i Borboni come i Savoia, la dittatura fascista come le democrazie pre e post fasciste, Garibaldi e Petrosino, il prefetto Mori e il bandito Giuliano, l'ala socialista dell'Evis indipendente e la sinistra sindacale dei Rizzotto e dei Carnevale, la Commissione parlamentare di inchiesta e Danilo Dolci. Ma lei Carlo Alberto Dalla Chiesa si mette il doppio petto blu prefettizio e ci vuole riprovare.
"Ma si, e con un certo ottimismo, sempre che venga al più presto definito il carattere della specifica investitura con la quale mi hanno fatto partire. Io, badi, non dico di vincere, di debellare, ma di contenere. Mi fido della mia professionalità, sono convinto che con un abile, paziente lavoro psicologico si può sottrarre alla Mafia il suo potere. Ho capito una cosa, molto semplice ma forse decisiva: gran parte delle protezioni mafiose, dei privilegi mafiosi certamente pagati dai cittadini non sono altro che i loro elementari diritti. Assicuriamoglieli, togliamo questo potere alla Mafia, facciamo dei suoi dipendenti i nostri alleati".
Dall'ultima intervista del generale Dalla Chiesa a Giorgio Bocca
Il mattino dopo, sul luogo dell'agguato al generale Dalla Chiesa ucciso assieme alla moglie in via Carini, fu appeso un lenzuolo con la scritta
"Qui è morta la speranza dei palermitani onesti".
La speranza di uno Stato che riconosca loro i diritti sanciti dalla Costituzione, quelli di cui parlava Dalla Chiesa nell'intervista.
Quelli che ancora oggi i palermitani onesti aspettano: scuole, strade, infrastrutture, ospedali, lavoro.
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