19 dicembre 2024

Sangue e fango, di Paolo Moretti


I terrapiattisti di Erba, di Piero Colaprico

Nonostante i marinai da millenni, per studiare la rotta migliore guardino i il movimento degli astri; nonostante gli astronomi abbiano da secoli ben riconosciuto le orbite dei corpi celesti più remoti; nonostante le bellissime fotografie non solo della Nasa [..] alcuni esseri viventi sono continti, e non si capisce come siano arrivati a questa conclusione fantasiosa, che la Terra sia piatta.
[..] Come in un tempo ci si divideva tra Guelfi e Ghibellini, ma ognuno aveva le sue ragioni politiche, così oggi nei processi penali – ed è esemplare il caso di Roca Bassi e Olindo Romano, condannati in tre gradi di giudizio per la strage di Erba (11 dicembre 2006) – lo scontro tra innocentisti e colpevolisti è netto e, osiamo dire, le ragioni politiche, in senso lato, non ne sono del tutto estranee.

La definizione del giornalista, di vecchio stampo, Piero Colaprico, “terrapiattisti di Erba” è pienamente calzante per descrivere i tanti, a volte in buona fede a volte meno, che ancora oggi ritengono di potersi esprimere su una vicenda così dolorosa come la strage di Erba (due donne adulte uccise e un bambino di due anno sgozzato), con una incredibile sufficienza: “secondo me Olindo e Rosa sono innocenti”. Solo perché si sono visti il servizio delle Iene su Italia 1 oppure il documentario su Discovery, “Tutta la verità”.
Viviamo in tempi difficili, racconta Colaprico, in un mondo difficile dove l’ignorante e il saggio hanno la stessa influenza nell’influenzare l’opinione di chi ascolta: perché basta nascondere i fatti, celare i fatti sgraditi ad una certa “narrazione” (o storytelling come si direbbe oggi), per passare usando l’espressione di Sciascia, al “fantasma dei fatti”.
Me le ricordo ancora le parole di Piero, che ho incontrato spesso alle rassegne letterarie dove presentava i suoi libri, quando parlando di alcuni suoi colleghi diceva, “non è vero che uno vale uno”: non è vero che un giornalista che si legge tutte le carte, che cerca di comprendere il testo delle consulenze, devono essere messi sullo stesso piano di giornalisti da scoop emozionale, che nascondono pezzi della storia perché scomodi o contrari alla verità che si vuole raccontare.
Ecco, sulla strage di Erba, quel maledetto lunedì di tanti anni fa, ci sono stati giornalisti che hanno raccontato il sangue, gli indizi, hanno valutato le piste, messo assieme i vari pezzetti e altri che invece hanno cavalcato una verità alternativa, la versione “innocentista” della strage, inventandosi di sana pianta un complotto. E questi giornalisti sono stati anche premiati col passaggio in Rai (con scarsi risultati in termini di audience tra l’altro).

Quella che leggerete in queste pagine è una storia di sangue e fango: il sangue è quello delle vittime, Raffaella Castagna, la madre Paola Galli, il figlio Youssef Marzouk e la vicina di casa, Valeria Cherubini. Ferendo gravemente il marito, Mario Frigerio, diventando così testimone oculare dei delitti: la sua deposizione, assieme ad altre prove hanno portato alla condanna dei due responsabili, i coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, i vicini di casa.

Punto. I colpevoli sono loro, lo hanno stabilito i giudizi in tre gradi di giudizio: la richiesta di revisione, imbastita portando delle presunte prove della loro innocenza è stata recentemente smontata dalla corte d’Appello di Brescia.
Non esiste nessun complotto: la terra è tonda e i colpevoli sono loro, due persone come tante, ossessionate da quella ragazza, Raffaella Castagna, che viveva assieme al marito Azouz, sopra il loro appartamento in via Diaz ad Erba, che dava loro fastidio, per i tanti ospiti, per il pianto del bambino.

Un fastidio che ha portato ad un crescendo di ostilità verso Raffaella Castagna: dagli insulti, i due vicini di casa sono arrivati a seguirla in macchina, a staccarle la corrente.

Dal sangue al fango – Tredici anni dopo la strage
L’aria gelida del mattino graffia il viso. Si infila a forza negli spazi che trova, tra pelle e vestiti. Come caparbie dita di ghiaccio, i venti invernali passano oltre il bavero della giacca, alzato nel cano tentativo di proteggere il collo dal freddo. Si attacca alle carni, quel refolo. Punge, ferisce. E lascia gli stessi dolorosi segni di quel dicembre di sangue e morte. Tredici anni fa.
Pietro esce di casa presto, come di consuetudine. La barba, vagamente rossiccia, arruffata. Le borse sotto gli occhi, eredità di una notte senza sonno.

Ma si parla anche di fango: la tempesta di fango (su cui la politica ha avuto le sue responsabilità), che si è abbattuta sulla famiglia Castagna, anni dopo la strage, quando una trasmissione intitolata “Tutta laverità” ha iniziato a puntare il dito contro di lui. Che cosa ha fatto Pietro Castagna quella sera? La sera è quella dell’11 dicembre 2006 quando Pietro Castagna, mentre sta sonnecchiando sul divano di casa, viene svegliato dal padre, Pietro, perché la mamma non è ancora tornata a casa, dopo aver accompagnato Raffaella, la sorella, a casa, in via Diaz.

Come mai in una intercettazione successiva alla strage Pietro Castagna si è messo a ridere?

Come mai i Castagna hanno venduto la loro Panda, la macchina con cui la mamma di Raffaella l’ha accompagnata a casa quella sera? Come a dire, cosa avevano da nascondere i Castagna dentro quella macchina..

Ecco come si insinua il venticello della calunnia, ecco come si monta una tesi opposta alla verità giudiziaria, come si crea un complotto, argomento in cui noi italiani siamo maestri.

Si prendono pezzi della storia, li si isola e li si racconta un po’ come ci pare.
Per insinuare il sospetto che non sono stati loro, Olindo&Rosa (scritto tutto attaccato) ad uccidere tre donne con ferocia e sgozzare un bambino. È stata una banda di spacciatori (d’altronde Azouz, il marito di Raffaella, era stato in carcere per spaccio). Oppure è stata la stessa famiglia Castagna, in collera con la figlia per quel matrimonio con un ragazzo tunisino, Azouz, che non era molto amato.

Così al sangue si aggiunge anche il fango: il dolore per la perdita di una sorella, con cui è vero i rapporti si erano interrotti coi fratelli, il dolore per la perdita della madre e del nipote, si aggiunge anche il fango, il doversi discolpare da una accusa veramente infamante.

Questo libro è nato con uno scopo ben preciso: raccontare l’altra faccia della campagna innocentista che, negli ultimi quindici anni, ha trasformato uno dei fatti di cronaca nera più cruenti e gravi mai avvenuti, in un “romanzo giallo” dove tutto è concesso. Anche trascinare le vittime nel gorgo del sospetto. E più giù ancora.

Ma se l’aspetto umano resta preminente, se il racconto dei tormenti patiti dai parenti delle vittime, Pietro Castagna in testa, è il fulcro centrale attorno cui ruota il senso del libro, è anche importante chiarire perché non meno di ventuno giudici hanno dichiarato i “malvicini” unici e soli responsabili della strage.

Scriveva Agata Christie: «Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova».

E vediamoli allora questi indizi, quelli che hanno portato alla colpevolezza dei due vicini di casa (lei, in una intervista a Le Iene, aveva persino sfidato Pietro Castagna ad un faccia a faccia), valutati da diversi giudici in più gradi di giudizio.

L’ultima parte del libro, che vi invito a leggere per avere veramente un quadro completo di questa brutta vicenda di cronaca, è dedicata a questo: si parte dalla testimonianza di Mario Frigerio, sopravvissuto alla strage che ha riconosciuto il colpevole. I servizi innocentisti hanno sostenuto come la sua deposizione non fosse attendibile perché il fumo gli aveva causato danni. Peccato che nei polmoni e nel sangue non ci fossero tracce di questa intossicazione.

Il riconoscimento di Frigerio è stato fatto senza pressioni da parte dei carabinieri ed è stato poi ripetuto di fronte ai tre magistrati comaschi che hanno seguito le indagini.
C’è poi la macchia di sangue (delle vittime) sulla Seat di Olindo, quella che sarebbe stata portata dai carabinieri o dai vigili e che in una prima perquisizione non era stata rilevata. Ebbene, anche questa finta prova a favore è stata smontata.
C’è poi tutto il filone legato alle confessione dei due coniugi mentre erano in carcere: i loro racconti fatti ai magistrati sono ricchi di particolari che solo gli assassini potevano conoscere. Come è possibile? Le Iene e i loro giornalisti come lo spiegano?

Nelle deposizione, Rosa Bazzi e Olindo Romano, senza influenzarsi a vicenda, senza aver concordato nulla, rivelano particolari inediti sulle ferite sui corpi, sulla modalità con cui è stato appiccato l’incendio, sulle modalità con cui sono state uccise le vittime…

Basta.

Lasciamo riposare in pace col suo dolore la famiglia Castagna: spero che questo libro serva quantomeno a ristabilire un minimo di giustizia per Pietro. Perché il dolore quello no, quello non potrà essere dimenticato.

La scheda del libro sul sito di Dominioni editore
Il link per il podcast Anime Nere sulla strage di Erba

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

15 dicembre 2024

Anteprima inchieste di Report - le opere di Roma, i respiratori Philips, l’aria di Milano e il caffè nei bar

Una delle opere principali per il Giubileo di Roma sarà il termovalizzatore, l’inceneritore che dovrebbe risolverse (si spera per sempre) l’emergenza rifiuti nella capitale. Ma sarà pronta dopo il Giubileo.

Poi un servizio su come si tosta il caffè nei nostri bar, “siamo la patria della ciofeca” – racconta il conduttore Ranucci nella presentazione della puntata.

Il caffè al bar

Che caffè beviamo nei bar in Italia? Una ciofeca, direbbe Totò, “allora scrivete ciofeca dello sport”. Bernardo Iovene è andato nei bar in giro per l’Italia per una verifica su questo prodotto molto amato dagli italiani.
A Trieste, per cominciare, si beve un caffè di qualità arabica, una tostatura scura, che rispetta gli aromi di cioccolato, cacao, “un caffè tipico italiano” spiegano al Caffè degli specchi.

Sfruttando un esperto già interpellato nel passato, Andrej Godina, Iovene ha fatto fare una analisi sensoriale a questo caffè triestino: gli aromi percepiti dall’esperto non sono proprio lusinghieri, muschio, muffa,copertone di automobile (“sentore di una robusta lavorata male”), terra bagnata, un retrogusto di cacao, amaro però astringente, “quindi non un caffè di grandissima qualità”.

Oltre alla bravura e all’esperienza del barista serve una materia prima di qualità, senza sapori di muffa e copertone: Iovene ha proposto al titolare del caffè un confronto con l’esperto (Godina è ricercatore in scienza e tecnologia dell’industria del caffè), che ha condiviso la percezione di questi aromi sgradevoli, “un milione di clienti all’anno e nessuno ha capito niente” è stata la battuta del titolare ma a quanto pare in Italia tutti i consumatori non capiscono niente. “Se ad un consumatore hai fatto sempre bere un vino che sa di tappo lui non conosce la differenza, quindi siete voi che non fate cultura al consumatore e li abituate a bere difetti” ha spiegato con molta pazienza Godina “ci vuole un po’ di cultura di prodotto che purtroppo in Italia non c’è”.

E a Napoli che caffè si beve? In piazzetta Maradona, meta di milioni di turisti, dove si trovano due locali, di fronte al murales del grande calciatore argentino, che offrono caffè e sfogliatelle.
In entrambe il caffè è fatto con una macchinetta con cialde, le sfogliatelle le comprano surgelate.


Iovene si è poi spostato a Forcella alla ricerca del miglior caffè del quartiere: con l’aiuto di due “profughi”, due signori anziani molto conosciuti, a Ioveve il caffè è arrivato via motorino in un attimo nonostante la pioggia. “Ma è dolce.. mica hai il diabete?” un siparietto degno della commedia popolare.

Sempre a Napoli, Iovene ha scoperto come il caffè più apprezzato in città è quello fatto con chicchi oleosi e un po’ scuri: ma secondo il parere di un esperto di torrefazione, Leonardo Lelli, che produce un caffè considerato di alta qualità, è una porcheria.
Sono chicchi con gocce d’unto, è un caffè morto, “se è un caffè uscito dalla tostatrice questo ha subito oltre il secondo crack.. l’olio nel momento in cui lo vai a mettere nel macina caffè, pensa a quanto unge le macine, quanto unge la macchina, tutto quest’olio poi diventa rancido, con l’aria si ossida.. come caffè è da buttare. Questi oli, questi grassi sono indigeribili, danno fastidio allo stomaco. Il caffè deve essere disidratato, secco.”
Iovene, stupito dal giudizio netto del torrefattore, ha cercato altri giudizi sul caffè bevuto a Napoli: Stefano Toppano è un altro torrefattore, anche per lui il chicco bagnato è una schifezza, l’olio a contatto con l’ossigeno si ossida.
Fabio Verona è responsabile della formazione di Costadoro, a Iovene spiega che tostandolo scuso, il caffè, si riescono a nascondere i difetti, percepisci l’amaro e non tutta la dolcezza, i frutti e i fiori che sono presenti in un buon caffè.

La scheda del servizio: LA REPUBBLICA DELLA CIOFECA

di Bernardo Iovene

Collaborazione Lidia Galeazzo

Una ciofeca: è il rischio che possiamo trovare, in una tazzina al bar, un caffè rancido, bruciato, che ha perso tutte le caratteristiche positive aromatiche, molto amaro, estratto con acqua sporca, in filtri contaminati da estrazioni precedenti. Il caffè è la seconda merce più commercializzata al mondo dopo il petrolio. Si consuma in tutto il globo, noi italiani pensiamo di esserne grandi esperti e grandi intenditori e di avere anche grandi trasformatori che, nei nostri bar, estraggono una bevanda perfetta a regola d’arte. È davvero così? Ci sono delle regole universali per trattare il chicco di caffè e, prima di approcciarsi alla grande invenzione tutta italiana che è la macchina dell’espresso, sarebbe necessario un piccolo corso di formazione. Invece, girando nei bar da Napoli a Trieste abbiamo rilevato una mancanza di cultura e rispetto per quello che è ritenuto un rito italiano. L’aggravante è che il gusto forte napoletano, diventato ormai italiano, prevede una tostatura scura che produce oli in superficie che andrebbero trattati e conservati con professionalità. Invece, i nostri baristi ignorano la problematica compromettendo una materia prima anche di qualità. I torrefattori corrono il rischio della tostatura scura per accontentare un gusto e quindi il mercato.

I respiratori che fanno male alla salute


Nel 2022 Report aveva raccontato la vicenda dei respiratori Philips, i Respironics, ritirati dal mercato mondiale, dopo che era stato accertato un difetto di produzione che causava malattie respiratorie a quanti lo avessero utilizzato (anche durante il Covid sono stati adoperati questi respiratori). Lo scorso febbraio è arrivata la condanna della corte d’Appello di Milano:

La multinazionale Philips - Respironics, che per anni aveva venduto dispositivi medici difettosi, deve pagare una penale di 20mila euro per ogni giorno di ritardo nel ritiro e sostituzione dei suoi prodotti, a partire dalla data del 30 giugno 2023. Lo ha deciso la Corte di Appello di Milano, sezione XIV Civile, pronunciandosi in merito a una class action avanzata dall'Associazione Apnoici Italiani e da Adusbef  assistite dal pool di legali dell’avvocato Stefano Bertone per conto di più di 100mila pazienti italiani.
L’avvocato Bertone aveva seguito la class action portata avanti contro la multinazionale per conto di 100 mila pazienti: i giudici hanno accertato che Philips avrebbe mandato tre lettere ai distributori informandoli della necessità di fare un richiamo, ma trovano soltanto l’ultima. L’opinione dell’avvocato è che le prime due non siano state inviate perché avrebbe preso sottogamba l’intera vicenda.
Adesso partirà la class action europea, di cui l’Italia è capofila, che comprende 1,2 milioni di cittadini europei, persone che hanno queste patologie come il tumore al polmone, oppure parenti di persone decedute per tumore, tumore del naso, tumore della tiroide, leucemie e poi le malattie respiratorie, come asma, bronchiti croniche e enfisemi.

La scheda del servizio: LA POLVERE SOTTO IL VENTILATORE

di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella

Report torna a occuparsi del più grande richiamo di dispositivi medici della storia, ben 15 milioni di respiratori e ventilatori Philips Respironics. L’inchiesta spiegherà qual è lo stato attuale delle class action nei tribunali e come gli enti regolatori stanno gestendo la vicenda. Negli Stati Uniti, l’agenzia statale che si occupa dei dispositivi medici ha obbligato Philips Respironics a sospendere la vendita di gran parte dei suoi prodotti sul territorio americano. Gli stessi prodotti sono però venduti in Italia.

Le grandi opere del Giubileo

Alla fine il Giubileo è diventato il carrello dentro cui mettere tutte le opere (utili o meno) da mettere su un binario speciale, per accelerarne la realizzazione.

Anche il termovalorizzatore, o inceneritore, all’interno delle opere per questo grande evento, verrà realizzato nel 2027, a messa finita.

Dovrebbe sorgere a Santa Palomba, ultimo lembo del comune di Roma, confinante coi comuni di Albano, Pomezia e Ardia in una zona dove oltre ai capannoni sono presenti anche aziende agricole.
Che succederà con l’arrivo dell’inceneritore? Il rischio è quello di perdere le certificazioni perché nessun ente potrà mai garantire una struttura biologica accanto ad un termovalorizzatore – spiega a report uno dei proprietari dei terreni, dove già le acque dei pozzi non sono potabili.

Si tratta delle falde acquifere della zona di Ronchigliano dove è presenta una ex discarica: le bonifiche non sono ancora partite, il comune di Albano ha chiesto alla regione Lazio di istituire una zona ad alto rischio di crisi ambientale sul sito della discarica, che si trova a circa 1 km del futuro inceneritore.
Il sindaco di Albano Massimiliano Borrelli racconta di come in questa area, per legge, non possano essere realizzati impianti per rifiuti o per il loro trattamento di prodotti che possano essere classificati come inquinanti.
Questo impedirebbe la realizzazione dell’inceneritore, se la legge dovesse essere applicata: ma il commissario che sta promuovendo questa opera è Gualtieri del PD, lo stesso partito del sindaco di Albano: “io devo difendere il mio territorio, sono stato eletto per difendere questo territorio”. In effetti tutti i sindaci del territorio sono contro questo inceneritore a prescindere dal colore politico: lo è il sindaco di Ardea, il cui comune è prossimo alla struttura, basta solo attraversare l’Ardeatina, pochi metri. In questo comune la raccolta differenziata supera abbondantemente il 72%, d’estate coi turisti romani, “non avvezzi a fare la differenziata”, si scende sotto il 63%.
Ad Ariccia si trova il più grande ospedale di Roma sud, che dista 3,8 km da questo inceneritore.

Sul lago di Albano, il più profondo dei laghi vulcanici italiani, si affaccia il palazzo pontificio di Castel Gandolfo, la residenza estiva dei papi: il lago è al centro da più di 40 anni di una grave crisi idrica, il vecchio porto ormai è all’asciutto, l’acqua si è abbassata di oltre 6 metri, mancando circa 1,5 ml di metri cubi di acqua ogni anno. Il nuovo inceneritore potrebbe avere delle conseguenza sul lago, perché è sopra la falda dei castelli romani. Sono 10 ettari comprati da Ama al prezzo di 75 euro al metro quadro, per un valore di 7,5 ml di euro: una compravendita che è stata denunciata dalle associazioni locali, in particolare per le incongruenze nell’atto di vendita.

Non ci sono solo i disagi ambientali da mettere in conto: ad un km da dove verrà costruito l’inceneritore è già presente un nucleo di case popolari, quello di Borgo Sorano, 300 appartamenti costruiti in mezzo al nulla. Il primo centro commerciale è a 5 km a cui le persone devono andare per prendere l’acqua, siccome qui l’acqua potabile manca e ci si deve arrangiare con le bottiglie. C’è l’acqua del pozzo che però non è potabile, è acqua ferrosa, sporca. Anche gli abitanti del villaggio ardeatino vivono a poco più di 1 km dal futuro inceneritore e anche loro hanno problemi d’acqua: tutti i giorni le persone devono riempire le bottiglie di plastica con l’acqua che arriva da Acea tramite autobotte, anche qui le famiglie hanno i pozzi, ma l’acqua non può essere usata per bere, “non è buona nemmeno per innaffiare le piante” e ora arriverà il regalo di Gualtieri.

La scheda del servizio: IL SANTO INCENERITORE

di Claudia Di Pasquale

Collaborazione Giulia Sabella, Marzia Amico

Il Giubileo 2025 è ormai alle porte e a Roma si attendono oltre 32 milioni di pellegrini che produrranno ingenti quantità di rifiuti. È così che il commissario per il Giubileo Roberto Gualtieri è stato nominato anche commissario straordinario di governo dei rifiuti di Roma Capitale. Grazie a questi poteri commissariali è stato approvato un nuovo piano rifiuti, che comprende anche la costruzione di un termovalorizzatore. L'impianto però non sarà pronto prima del 2027 e non potrà salvare Roma dai rifiuti dei pellegrini. Ma dove sarà realizzato? E quanto è stato pagato il terreno dove sarà costruito?

Tira una brutta aria a Milano

Ma è vero che Milano è la terza città più inquinata al mondo?

Chi misura la qualità dell’aria, in termini di inquinamento, nelle maggiori città del mondo? La società si chiama IQAir AG: misurano la qualità dell’aria prendendo i dati da tutte le fonti pubbliche a cui possono accedere – spiega l’AD Frank Hammes – “a Milano ad esempio arrivano da due stazioni pubbliche, quelle di Arpa, e da dieci stazioni private, cioè rilevatori di persone private ..”
I dati arrivano cioè da persone comuni, che hanno in casa dei misuratori: ma come fanno ad essere certi che gli strumenti usati dai cittadini funzionino correttamente? L’AD ha risposto che con 300-400 euro si possono comprare strumenti di buona qualità.
Ma il responsabile di Arpa Lombardia per la qualità dell’aria, Guido Lanzani, spiega che loro usano strumenti conformi a quello che prevede la norma del 2008 dell’Unione Europea, ogni stazione costa da 100mila a 150mila euro: “l’importante è utilizzare, per confrontarle, delle misure che siano coerenti coi metodi di riferimento che la normativa prevede. Se metto assieme dati che provengono da sistemi di rilevazione diversi, rischio di dare una fotografia sfalsata.”
Per evitare questo rischio la comunità europea ha imposto degli standard che tutti i paesi europei devono rispettare, a cominciare dal luogo dove installare i misuratori.
Come mai un’azienda privata come IQAir, senza avere gli strumenti adeguati e le competenze scientifiche necessarie, pubblica una classifica delle città più inquinate al mondo?
C’è un possibile conflitto di interesse, poiché IQAir produce depuratori d’aria: questo è il loro business su cui basano il loro profitto. Nulla di illegale, ma rimane la sensazione che queste classifiche facciano parte di una sorta di campagna pubblicitaria.
Per smontare questa sensazione basterebbe che l’azienda mostrasse i dati sulle vendite: c’è stato un aumento delle vendite dei loro dispositivi in Italia nell’ultimo anno? Niente da fare, su questo l’AD dell’azienda risponde che, essendo una società privata, non sono tenuti a mostrare nulla. Ma è proprio questo il punto: possiamo fidarci dei report di IAQAir? I loro dati sono basati su qualche evidenza scientifica? E, poi, chi certifica la qualità dei loro depuratori? Non esiste nessuna certificazione per i depuratori d’aria, lo stesso AD ammette di aver studiato giurisprudenza.

Giusto per chiarire il punto, il responsabile di Arpa Lombardia si è laureato in fisica all’università di Milano e poi ha studiato alla scuola di specialità in statistica sanitaria all’istituto dei tumori, sempre a Milano.

Un fattore dell’inquinamento atmosferico di Milano si trova però fuori dalle mura cittadine, l’allevamento intensivo: i liquami degli allevamenti intensivi sono particolarmente ricchi di ammoniaca contenuta nelle urine degli animali – racconta a Report Adriana Pietrodangelo ricercatrice del CNR – le molecole dell’ammoniaca sono leggere e una volta emesse interagiscono tra di loro e da gas come erano originariamente, formano particelle solide.

In Italia il 60% degli allevamenti intensivi è concentrato nella pianura Padana e, come riportato in uno studio di Greenpeace, la mappa degli allevamenti intensivi e la mappa dove si trova la più alta concentrazione di ammoniaca combaciano alla perfezione. Ma esiste una alternativa a questo sistema?
Secondo Slow food la risposta sta negli allevamenti distensivi: allevamenti dove gli animali possono stare allo stato brado, non sono pompati dal punto di vista alimentare. Sono aziende sostenibili, dove si è creato un circuito completo dalla produzione agricola fino alla vendita diretta della carne bovina.

Stefano Chellini è uno di questi allevatori “sostenibili”: quanto inquina il suo allevamento? “Mi verrebbe da dire che non inquiniamo niente, anzi, aumentiamo la biodiversità, senza considerare che il pascolo è un ottimo sequestratore dell’anidride carbonica.”
E’ un modello replicabile che però richiede un impegno a tutti i livelli, sin dalle scuole e università che devono formare tecnici e futuri agricoltori con una mentalità maggiormente improntata alla sostenibilità e ad una agricoltura ecologica e anche poi di una azione di informazione verso il consumatore.
“Il sacrificio maggiore sarebbe quello che anziché mangiare carne sette giorni su sette, mangeremo carne due volte la settimana però proveniente da un allevamento allo stato brado.”
Nel futuro dovremmo tenere conto anche degli allevamenti nel tema dell’inquinamento e delle emissioni: la direttiva sulle emissioni industriali del Consiglio europeo dello scorso 12 aprile, per la prima volta ha incluso anche gli allevamenti intensivi, ma il governo italiano ha detto no, preferendo difendere le posizioni di queste strutture non sostenibili e inquinanti.
“Noi volevamo l’esclusione dei maiali” risponde il ministro Pichetto Fratin, ma noi che abbiamo meno bovini della Francia abbiamo fatto più opposizione di loro.

La posizione del governo Meloni è veramente poco lungimirante.

La scheda del servizio: CHE ARIA TIRA? di Marco Maisano

"Milano è la terza città più inquinata del mondo”. Questa è l’affermazione, errata, pubblicata qualche mese fa da molti media italiani. Un'affermazione basata su una classifica che mette in gara i livelli di inquinamento delle principali città del mondo. Ma chi stila questa classifica? Una società svizzera che si chiama IQAir e il cui business, anche se nessuno se n’è accorto, è la produzione di purificatori d’aria. Nonostante l’affermazione errata, però, l’Italia si ritrova comunque nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria. Milano non è la terza città più inquinata, ma i suoi livelli di inquinamento atmosferico, assieme a quelli di molte altre regioni italiane, supera, e non di poco, i limiti imposti dall’OMS e dall’Unione Europea. Il risultato? Migliaia di persone muoiono prematuramente a causa delle polveri sottili in atmosfera. Ma la politica italiana, nonostante le sanzioni in arrivo, sta già chiedendo deroghe al raggiungimento degli obiettivi di risanamento. Un fatto, avverte la comunità scientifica, che causerà centinaia di migliaia di morti entro il 2035

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.


13 dicembre 2024

Verranno di notte di Paolo Rumiz


 

Gli idioti

E chi dorme stanotte.

Tira un vento di malaugurio

puzza di carne bruciata, kerosene e gas di scarico

il mio naso è un anemometro, non sbaglia

avverte un fetore inconfondibile

come quando un razzo antitank fa saltare un blindato con uomini dentro

vi auguro di non sentirlo mai quell'odore

è lo stesso tanfo dei poteri selvaggi che ci schiacciano

puzza di censura del libero pensiero

i miei occhi vedono gente che tace e che si adegua

le orecchie sentire dire "nazione" con frequenza sospetta

la lingua sta cambiando

la parola "libertà" si ascolta sempre meno

anche "pace" è bocciata, è sinonimo di codardia

nella mia Italia e altrove i ragazzi che portano la sua bandiera sono presi a manganellate

giovani schedati come criminali

giovanissimi anzi, quasi bambini

hanno dovuto ricoverarli in Pediatria

ragazzini odiati in quanto tali in un'Europa di vecchi

impudenti che osano chiedere un futuro di fratellanza e non di guerra

e non sanno che il cambiamento in peggio è già partito, dal vocabolario

leggete subito Vikton Klemperer, che lo mostrò col nazismo

ormai la parola "identità" dilaga fino a perdere senso

non serve più a dire chi sei e da dove vieni

ma a cercar rissa e a sdoganare armi

"identità", stessa radice di "idiotes"

che in greco vuol dire "quelli ripiegati su sé stessi"

o meglio ancora "quelli che vivono guardandosi l'ombelico"

come mi spiegò un vecchio in un'isola dell'Egeo mostrandosi la pancia

gli idioti, quelli che hanno paura della complessità del mondo

e non si lasciano fecondare dall'incontro con l'Altro.

Eccolo il libro che avevo cercato per mesi: un libro che è anche un viaggio nella notte di questa epoca, di questa Italia e di questa Europa, dove stiamo tutti sprofondando nel buio. Il buio della civiltà, della ragione, della pietà.
Finalmente le ho trovate le parole per descrivere la mutazione a cui stiamo assistendo, e non da adesso, della nostra società, del mondo di porci con gli altri, coi “diversi”, con la complessità del mondo.

Un mondo dove si parla di sicurezza per difenderci da un nemico che non esiste, gli immigranti che ci invadono, mentre la gente muore sul lavoro, un lavoro sempre più schiavizzato, con meno diritti.

Un mondo dove si spende in armi per difendere i confini dei 27 paesi dell’Unione Europea, tagliando su sanità, scuola, welfare, senza nemmeno porsi il problema di creare un unico esercito europeo, perché gli interessi della lobby delle armi vengono prima dei diritti dei cittadini.

Dalla sua campagna lungo il confine sloveno, dove una grande parte della nostra storia è passata, lo scrittore Paolo Rumiz li ha sentiti arrivare questi cambiamenti: è la linea di confine da cui passano i migranti, dal sud del mondo verso la civile Europa oggi sempre più spostata a destra. Incredibile paradosso, stiamo parlando della destra nazionalista da sempre antieuropea.

È la linea di confine che una volta faceva parte dell’impero austro-ungarico, di cui ancora Rumiz si sente erede e verso cui prova ancora molta nostalgia:

Le nazioni hanno sfasciato il mio impero che era un’Europa in miniatura. Anzi, più Europa di tutti gli altri imperi perché non aveva colonie e bastava a se stesso. Non era il migliore dei mondi possibili ma tutti andavano a scuola e la burocrazia era onesta

Verranno di notte è concepito come un racconto diviso in sette capitolo, da mezzanotte alle sei di mattina, scritti in prosa con un ritmo incalzante, incisivo, andando a scegliere nel modo migliore tutte le parole.

La destra, che non è solo fascista, almeno non solo nello scimmiottare vecchi atteggiamenti, ma è una destra portatrice di “barbarie”, parola che deriva dal greco balbuziente, nel senso dell’incapacità di esprimersi, nel senso della perdita della complessità del nostro vocabolario per descrivere il presente. Avete presente Orwell col suo bipensiero?

Se oggi il mondo si copre di focolai di guerra è perché le parole sono in mano a malintenzionati, spesso governati da poteri invisibili che fanno breccia sugli ingenui ed ignoranti. Se Russia ed Ucraina rischiano di autodistruggersi o se non si scioglie il nodo di Gaza è perché manca in Europa la capacità dialettica

La perdita del vocabolario e la perdita, anzi, la cancellazione della memoria che arriva, anche questo ennesimo paradosso, da parte di questa destra che invece vuole imporre la sua, di memoria, memoria strabica dove gli orrori, la dittatura, la perdita di libertà, le stragi, vengono rimosse per oblio

Il capo del governo italiano, Meloni, partecipa al rito della memoria dei morti nelle Foibe, ma ci va anche per sorvolare sulla ferocia italo-fascista che ha innescato quelle atroci vendette.

Poco dopo, il premier ribadisce il concetto alla stazione Centrale di Trieste, inaugurando il treno della memoria dedicato alla tragedia degli esuli italiani dalla Jugoslavia.

Ma nel farlo glissa sulla realtà degli esuli di oggi, che il suo governo obbliga a languire in quella stessa stazione a pochi metri di distanza.

Memoria strabica, dunque. Anzi, cecità volontaria se è vero che il treno è stato trasferito su un binario più appartato, perché la vergogna fosse meno visibile.

In questo l'Italia è imbattibile. Finge con disinvoltura di non aver perso la guerra e convive con i suoi fascisti perdonati, mobilitati in massa contro l'impero del male con la benedizione dell'America.

E la sinistra? È incapace di formulare un suo pensiero critico, autonomo, propositivo per essere ancora attrattiva, “una sinistra curiale, piena di cardinali intenti a sbranarsi tra di loro”.

Bisognerebbe girarla in treno, questa Europa, per conoscerla, non con l’aereo: immergersi, come ha fatto per anni lo stesso Rumiz, dentro le città, conoscere le persone, altri scrittori, giornalisti, intellettuali, persone. Questo dovrebbero fare i nostri rappresentanti, in particolar modo i burocrati di Bruxelles: oggi l’Europa si sta trasformando in una unione di paesi divisi da muri e filo spinato, persino Shenghen è stata abolita. Ci si illude che i piccoli stati siano più forti di fronte alla minaccia di Putin, al potere ingombrante dell’America (specie ora con Trump) e al potere della Cina.

Illusi.

Un’Europa incapace di agire come un’unica unità, in politica economica, nella gestione dei migranti, dove si è andati ad inseguire le destre, pur di mantenere quel minimo di potere. Anche la diplomazia è sparita, da questa Unione: l’immiserimento del vocabolario ha falciato via questa parola, diplomazia, che poi nella nostra Costituzione si declina nell’articolo 11, l’Italia ripudia la guerra ..

E’ l’Europa ben rappresentata dalla presidente Von del Leyen, passata dal green deal ad Asap, ovvero gli investimenti in armi, sempre più armi.

Ecco allora lo scollamento tra i popoli e la politica, tra le istituzioni e i cittadini. A cui si aggiunge un abbandono, specie dai partiti della sinistra, delle periferie, delle tradizioni, delle origini. Racconta Rumiz come questo tabù abbia di fatto consegnato un pezzo di elettorato alle destre che si riempiono la bocca con queste parole, usandole come armi.

Ecco dunque le destre, la demagogia, i populismi.

Ma ogni notte deve cedere il passo al giorno: questo viaggio lascia spazio anche a sprazzi di ottimismo. In Polonia i cittadini sono andati in massa per votare e mandare a casa l’oscurantista governo di Duda; in Germania sono scesi in piazza in migliaia contro AFD.

In Italia si viene considerati criminali se si parla di rivolta sociale, lo dicono i difensori dello status quo, ovvero questa società dove la lotta di classe l’hanno vinta i ricchi e i potenti.

Arriverà il momento della primavera e delle rondini – così si conclude questo libro.

Le parole ci salveranno – quelle sono le uniche cose che uno scrittore può offrire agli altri: le parole per comprendere, per raccontare, per descrivere.

Per uscire da questa barbarie.

La scheda del libro sul sito di Feltrinelli

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12 dicembre 2024

Piazza Fontana - 55 anni dopo (dire strage fascista è ancora troppo poco)

12 dicembre 1969: una bomba esplode nella banca dell'Agricoltura a Milano alle 16.39 di un pomeriggio freddo e grigio, uccidendo 15 persone.

Generalmente così viene racconta oggi la strage di Milano, la madre di tutte le stragi, che inaugurò poi quel periodo che è stato chiamato "strategia della tensione", dalla bomba alla banca dell'Agricoltura fino alla bomba di Bologna alla stazione dell'agosto 1980.
A volte, per un minimo di decenza si aggiunge che la strage è stata opera di estremisti di destra, neofascisti veneti, senza aggiungere altro. Senza aggiungere, ad esempio, che i fascisti colpevoli della strage non sono stati condannati per un bizantinismo del nostro sistema giudiziario. Che per anni i fascisti colpevoli sono stati protetti dai nostri servizi segreti, dunque anche da una copertura avallata dal livello politico.

E nemmeno si aggiunge che questi fascisti, Franco Freda, Giovanni Ventura, Delfo Zorzi e altri, erano esponenti di Ordine Nuovo, un movimento politico nato per scissione dal Movimento Sociale di Almirante. Il politico che questo governo considera come un padre.

Ma tutto questo è troppo poco passati 55 anni: vogliamo e dobbiamo arrivare ad un livello superiore, per rispetto ai morti e per rispetto alla stessa democrazia.

Le sentenze hanno assolto i fascisti è vero, ma le sentenze raccontano tante cose, come anche i tanti libri sulla strage di Piazza Fontana: l'ultimo che mi è capitato di leggere è La ragazza di Gladio, del giornalista Paolo Biondani. Ne riporto due passaggi

Anche in Italia era arrivata l'onda lunga del '68, con le speranze di rinnovamento politico, libertà civili, giustizia sociale, addirittura rivoluzione, che la destra reazionaria vive come un incubo.

Nel cosiddetto «autunno caldo» del 1969 le lotte operaie si saldano con le proteste studentesche, con scioperi, manifestazioni e cortei che si susseguono soprattutto nelle grandi città industriali. La prima forza di sinistra, il Partito Comunista Italiano (PCI), che dopo lo storico strappo con l'Unione Sovietica è parte attiva della sinistra democratica europea, continua a guadagnare voti, in ogni elezione.

Ed è allora che esplode la cosiddetta «strategia della tensione», che molti anni dopo il giudice Gerardo D’Ambrosio, protagonista della storica istruttoria sulla strage di Piazza Fonana, oggi purtroppo scomparso, riassume in «poche parole», come esordisce lui, alla fine di una giornata di lavoro, nel suo ufficio al quarto piano del palazzo di giustizia di Milano. 

«Alla fine degli anni sessanta», scandisce il magistrato, con la sua voce calda [..] la scrivania ingombra di fascicoli, alla parete la fotografia dell'amico pubblico ministero Emilio Alessandrini, che indagava con lui su Piazza Fontana e fu ammazzato dai terroristi rossi, «alcuni settori dello Stato, e mi riferisco ai servizi segreti, al Sid, ai vertici militari e ad alcune forze politiche, pianificarono l’uso di giovani terroristi di estrema destra per fermare l’avanzata elettorale della sinistra, che allora sembrava inarrestabile. Le bombe servivano a spaventare i moderati. E l'effetto politico veniva amplificato infiltrando e incolpando falsamente i gruppi di estrema sinistra, per favorire una reazione autoritaria» 

E poi questo secondo sulle protezioni dei fascisti di ieri e sui neofascisti di oggi (dove si parla della strage successiva, quella di Piazza della Loggia a Brescia) e del loro legame con pezzi dello Stato

Il terrorismo esiste un molte parti del mondo ed è contro la democrazia, la società civile, contro lo stato di diritto e i suoi rappresentanti. Tra gli anni Sessanta e Ottanta i magistrati che indagano sulle stragi nere, da Milano a Venezia, da Firenze a Bologna, scoprono questa verità inconfessabile: il terrorismo di destra in Italia è dentro lo Stato. Ci sono ufficiali dei servizi segreti, militari e politici che stanno dalla parte dei terroristi, lavorano contro la giustizia per deviarla e fermarla.

Per lungo tempo la bomba in Piazza della Loggia sembrava un'eccezione: nei primi dieci anni di istruttorie non si vedono tracce di servizi deviati. A scovarle per la prima volta, nel 1985, sono i giudici di Bologna che indagano sulla strage dell’Italicus.

La scoperta è clamorosa, anche se resta per anni incompleta, monca. A Roma, nella sede centrale dei servizi segreti militari - chiamati prima Sifar, poi Sid, quindi Sismi, oggi Aise: ogni cambio di nome è l'effetto della scoperta di scandali criminali di straordinaria gravità, con conseguente grande riforma, prima di tutto lessicale - vengono sequestrate delle copie di informative anonime, mai trasmesse alla magistratura. In gergo si chiamano «veline».

Sono carte che scottano: contengono notizie dettagliatissime su un piano di rinascita clandestina di Ordine Nuovo, come organizzazione stragista conclamata. 

Sono state raccolte dai servizi segreti tra il 1973 e il 1974, nei mesi cruciali della strage di Brescia. L’informatore è un neofascista, che da mesi è a libro paga del Sid. Il suo nome in codice è Tritone. Una fonte interna del terrorismo nero, di spessore straordinario: è in grado di preannunciare gli attentati in tempo reale e poi di riferire i commenti degli autori. E' dentro il nucleo stragista. E racconta in diretta ai servizi quello che viene a sapere.

Von Der Leyen (la burocrate di Bruxelles) - da Verranno di notte (lo spettro della barbarie in Europa) di Paolo Rumiz


 Come siamo arrivati a tanto - si chiede Paolo Rumiz: a questa Europa che difende i principi e i valori alzando muri contro i migranti, assecondando i desiderata della lobby della chimica e di agrifarma, spendendo in armi e non in diplomazia, per spegnere i focolai di guerra che ci stanno spingendo, come fossimo su un piano inclinato, verso la terza guerra mondiale?

Ecco il ritratto, impietoso, della presidente Ursula Von Der Leyen, a capo di una Europa sempre più spostata a destra, a braccetto proprio con quei leader anti europeisti. Un giorno, l'autore si ritrovò a parlare di Europa ad un incontro in cui era presente anche la presidente della commissione europea:

A proposito della guerra in Ucraina, domandai al pubblico se l'Europa poteva permettersi di esistere senza la Russia.

Non fece una piega.

Spiegai che non potevamo allargarci a est senza chiedere ai nuovi entrati il rispetto dei diritti e delle minoranze, perché da quelle parti c'erano razzismo e antisemitismo.

Nessun commento.

Dissi che dovevamo mettere "più Europa nel nostro atlantismo".

Non mutò espressione nemmeno allora.

D'istinto, quella bionda cotonata col tailleur, così democristiana nell'aspetto, mi parve più pericolosa dei destri trinariciuti.

Mi sfiorò il pensiero che avrebbe svenduto l'Europa  dei padri fondatori, pur di aumentare il proprio potere.

E quando, quello stesso giorno, la vidi andarsene sorridente a braccetto con Giorgia Meloni, eletta da poco Presidente del Consiglio, ne ebbi conferma.

Poco dopo si portò dietro nel Mediterraneo la Lupa romana postfascista [Meloni] e, pur di avere il suo voto, accettò che l'Italia frenasse l'approvazione del Patto di Stabilità.

Sembrava che Ursula avesse bisogno di Giorgia, non il contrario. Forse, osai pensare, si preparava una melonizzazione dell'Europa.

Avevo ragione. Nel giro di qualche mese, da Bruxelles è arrivato il via libera al peggio. Pesticidi, gasolio, riarmo, sospensione del trattato di Schengen e ritorno delle frontiere.

Verranno di notte di Paolo Rumiz - Feltrinelli

11 dicembre 2024

La memoria strabica - da Verranno di notte (lo spettro della barbarie in Europa) di Paolo Rumiz

Sono ottant'anni che la Germania chiede scusa. L'Italia no, quei conti non li ha fatti. Con la memoria fa la furba, le dedica non una ma due giornate, un record europeo solo che non chiede scusa di un bel niente, anzi, è l'Italia che chiede agli altri di scusarsi

agli slavi per le vendette del dopoguerra

e ai tedeschi per i campi di sterminio

perché gli italiani, non lo si dice abbastanza, sono brava gente

e non hanno invaso la Russia,

non hanno attaccato la Grecia,

non hanno assassinato gli jugoslavi

non hanno vinto gli etiopi col gas

non hanno avuto campi di concentramento

non hanno collaborato con i nazisti per spedire gli ebrei a Bergen-Belsen.

Il capo del governo italiano, Meloni, partecipa al rito della memoria dei morti nelle Foibe, ma ci va anche per sorvolare sulla ferocia italo-fascista che ha innescato quelle atroci vendette.

Poco dopo, il premier ribadisce il concetto alla stazione Centrale di Trieste, inaugurando il treno della memoria dedicato alla tragedia degli esuli italiani dalla Jugoslavia.

Ma nel farlo glissa sulla realtà degli esuli di oggi, che il suo governo obbliga a languire in quella stessa stazione a pochi metri di distanza.

Memoria strabica, dunque. Anzi, cecità volontaria se è vero che il treno è stato trasferito su un binario più appartato, perché la vergogna fosse meno visibile.

In questo l'Italia è imbattibile. Finge con disinvoltura di non aver perso la guerra e convive con i suoi fascisti perdonati, mobilitati in massa contro l'impero del male con la benedizione dell'America.

Da Verranno di notte, di Paolo Rumiz, Feltrinelli

09 dicembre 2024

Malammore di Anna Vera Viva

Era sempre così quando si trovava davanti allo specchio, soprattutto di prima mattina, confuso di sogni e profumo di lenzuola. Quando con gesti lenti arrivava fino al bagno, faceva la pipì con gli occhi ancora mezzi chiusi e poi si voltava per andare a fare il caffè. Era allora che si vedeva, sconosciuto in quello specchio menzognero. Colto di sorpresa, spiazzato. In bilico, tra due mondi ed estraneo e entrambi.

C’è una donna che si osserva davanti allo specchio, sorpresa da quella immagine che le viene restituita ogni mattina. Perché è una bella donna, lunghi capelli, la forma degli occhi allungata. Allora perché quella reazione come se si trovasse davanti un volto sconosciuto? Perché Brunella è un uomo, il femminiello più famoso di Napoli, riceve i suoi clienti, per lo più dalla Napoli bene nel suo basso nel rione Sanità. Tra i suoi clienti, un avvocato di grido e un chirurgo estetico famoso, persone il cui volto fa capolino in qualche trasmissione televisiva. E poi anche un importante politico regionale: non uno qualunque, è il politico su cui la Camorra ha puntato tutte le sue fiche per la spartizione degli appalti pubblici.

Nello stesso rione Sanità esercita la sua professione padre Raffaele: qui era nato, tanti anni prima, prima di essere strappato dagli assistenti sociali al fratello maggiore, unico tutore dopo la morte della madre e col padre in galera.

E qui è tornato, quasi quarant’anni dopo con un missione precisa in mente: darei ai suoi parrocchiani, tutti, una speranza. Togliere loro quella rassegnazione che al male, alla camorra, non c’è alternativa

.. c’era ancora tantissimo da fare, soprattutto per estirpare negli abitanti del rione l’idea radicata che la mancanza di attenzioni da parte delle istituzioni ai loro problemi li autorizzasse a cercare aiuti e risposte nella criminalità organizzata, dalla quale, paradossalmente, si sentivano più tutelati.

Padre Raffaele conosce bene quel mondo, dall’altra parte della barricata: don Peppino, il boss che comanda il quartiere facendo pagare a tutti il pizzo, è quel fratello da cui anni è stato allontanato. Quel fratello a cui è legato da un rapporto strano, oltre al legame di sangue, c’è anche il fastidio di sapere quel fratello seduto ad un tavolo a commissionare omicidi o ritorsioni contro chi sgarra.

Sapendo bene che, se fosse rimasto in quel quartiere, da piccolo, forse anche lui sarebbe stato dall’altra parte della barricata.

Dovete sapere che padre Raffaele è un prete molto particolare: c’è la missione di soccorrere gli ultimi, dai ragazzini strappati dalla strada, fino alle prostitute, nessuno è escluso dalla sua messa, perché chi è senza peccato scagli la prima pietra. E di peccati, di presunzione e di gola, ne ha molti sulla coscienza pure lui.

Per il cibo, grazie alla buona cucina della sua perpetua Assuntina. E per il vizio di non distogliere lo sguardo dai problemi dei suoi parrocchiani, anche facendo delle indagini personali.

Brunella se lo aspettava. Prima o poi. Magari non così. Magari non quel giorno, a quell’ora, in quel modo.

È una strana coppia di detective, quella di padre Raffaele ed Assuntina: questa volta dovrà occuparsi proprio della morte di Brunella, al secolo Antonio Capasso, la bellissima donna incontrata ad inizio libro, trovata morta nel suo basso. Colpita al capo da una statuetta.

Il fatto che la polizia avesse interrotto le indagini lo faceva sentire carico di una responsabilità ancora più grande, la ricerca dell’assassino era un peso che sentiva gravargli tutto sulle spalle.

La polizia ha ricevuto pressioni dall’altro per mettere le indagini su un binario morto, colpa dei clienti in alto loco di Brunella, meglio non suscitare alcun vespaio, portando alla luce del sole i vizi privati dei bravi cittadini della Napoli che conta.

No, anche se Brunella viveva la sua vita in quel modo, non meritava quella fine, non meritava di finire morta senza nemmeno un colpevole da assicurare alla giustizia.

Padre Raffaele, sfruttando anche la rete di conoscenze e di notizie riservate raccolte dalla sua Assuntina, la “preziosa” perpetua, decide di fare una sua indagine.

Un’indagine che parte da una constatazione: tutto nella vita di Brunella era sdoppiato, la sua fisicità di uomo e di donna, come anche la sua casa, apparentemente normale, ma con dentro una ricchezza che una prostituta non avrebbe potuto permettersi.

Don Raffae’, credetemi, quella era una casa da persona ricca e non da poveraccio quale avrebbe dovuto essere. Chissà che combinava per avere tutti quei soldi..

L’indagine sul femminiello lo porta, ancora una volta, a scontrarsi contro l’ipocrisia e le opinioni degli altri, come delle catene da cui non ci si può liberare. Come aveva scelto quella strada, Antonio, tanti anni prima? Come aveva fatto ad accumulare quella ricchezza?

Don Raffaele dovrà andare ad indagare sul passato del morto, sulle ferite che si era portato dentro: come lui, anche Brunella aveva perso il rapporto anni prima col fratello Salvatore, l’unica vera amica era un’altra travestita, Carolina, che considerava come una sorella.

Sarà Brunella, ovvero Gennaro Esposito, a fornirgli una prima chiave per decifrare quel delitto:

Si fermò un attimo. «Credo ricattasse qualcuno», e rimase lì fissa a guardarlo con gli occhi lucidi. «E tu credi che l’abbiano ucciso per questo?»

Allora deve essere ricercata nei ricatti di Brunella la causa del delitto? Oppure è stata la camorra ad ordinare quel delitto, magari proprio suo fratello, don Peppino, per timore che la relazione tra il femminiello e il suo politico potesse rovinargli gli affari?

«.. Tu dal femminiello non ci torni più. Hai capito? Scordatelo!». «Perché? Quello è un fatto privato. Che diritto avete di…»

Troppi possibili assassini, troppi moventi – si trova a pensare don Raffaele – è come se Brunella, con le sue scelte, fosse stata come un sasso in uno stagno, “smuovendo il fango sommerso si era creato un enorme cerchio di nemici”.

Muovendosi in quella terra di mezzo tra il lecito e il non lecito, don Raffaele dovrà immergersi proprio in quel fango, sporcandosi le mani, per arrivare alla verità. Scontrandosi col fratello, rischiando anche la propria pelle, andando indietro nel passato di Brunella, dove tutto il suo mistero aveva avuto origine.

Ancora il vecchio e il nuovo, il passato e il presente. O forse il passato che, caricato di nuova vita, di nuove energie, aveva attraversato il tempo per esplodere nel presente.

In questa terza indagine del prete investigatore don Raffaele, Anna Vera Viva ci porta dentro i grandi contrasti di Napoli e in particolare del rione Sanità, un quartiere a sé “pure se sta al centro della città, è come se c’avesse il mare intorno. Ché dalla Sanità non ci passi, non ci capiti. Ci devi venire apposta.”

In questa indagine si parla della Camorra, del suo controllo capillare del territorio, delle armi spesso spuntate dello Stato, dove la sola repressione dei reati non basta a dare una alternativa alle persone. Lo Stato non è credibile perché non è presente nei bassi, nei quartieri, nelle strade, per le persone, per i ragazzini che crescono col solo mito del criminale ricco e famoso che sfida lo Stato.

Ma in questa indagine si parla anche di amore anzi, di malammore, un amore malato, malsano, che verrà svelato alla fine, in un incredibile colpo di scena.

La scheda del libro sul sito di Garzanti
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08 dicembre 2024

Anteprima inchieste di Report – il caso Liguria, il sogno delle bioplastiche e l’aria di Milano

AGCOM ha stabilito che il servizio di Report sul sistema Toti (e i suoi portatori di voti “imbarazzanti” e pericolosi) non ha affatto violato la regola del silenzio elettorale.

Dunque stasera si tornerà a raccontare del sistema Liguria, ovvero di una regione in mano a piccoli potentati locali che garantiscono interessi privati, magari non sempre in modo trasparente ma anche, e soprattutto, pacchetti di voti.

Il resto lo fa l’astensione.

Poi, come racconta il conduttore Sigfrido Ranucci nelle anticipazioni, il sogno infranto della plastica biodegradabile.

Il sistema (faraonico) Liguria

A quanto pare, per gli elettori che sono andati a votare in Liguria, il sistema Toti (e ora Bucci) piace, ma da dove sono arrivati i voti per Bucci (considerando che a Genova dove era sindaco, ha perso)?

Oltre seimila voti arrivano dalla famiglia Scajola, il nipote dell’ex ministro (quello della casa comprata a sua insaputa) tanti ne ha presi: Marco Scajola ex totiano è stato assessore all’urbanistica, rientrato in Forza Italia dopo l’inchiesta che ha travolto la giunta precedente.

La famiglia di Claudio Scajola è ben radicata da anni ad Imperia: il padre ha fondato la DC in questa provincia, nel 1982 Claudio era già sindaco di Imperia e ora lo conoscono tutti come “il faraone”.

Ma perché lui è un grande ammiratore della cultura egizia, non per altro. Un faraone che prende decisioni anche sopra la volontà popolare.

Nel settembre del 2023 si formò una catena umana lunga chilometri lungo il litorale della provincia di Savona per dire no ad un impianto di rigassificazione che dovrebbe essere costruito proprio davanti il lungo mare di Savona.

In una zona a già forte impatto ambientale per la presenza delle industrie tra Vado e Savona che, per la legge Seveso, dovrebbero prestare molta attenzione ai rischi ambientali.
Quest’opera avrebbe un alto impatto anche sull’entroterra savonese perché le condotte dal mare risalirebbero verso la val Bormida per immettere il gas nella rete nazionale, passando sopra il paese di Altare, attraverso un bosco al cui interno si nasconde una natura unica. 
Un monastero induista nascosto in mezzo agli albero, un pezzo di India in Liguria.

Ma è un progetto su cui gli Scajola credono, anche andando sopra alle richieste di chiarimenti dei cittadini e alle loro proteste.



Ci sono luoghi meravigliosi in provincia di Savona, come Celle Ligure dove Aldo Spinelli, indagato nell’inchiesta per corruzione e in attesa di patteggiare la pena, decide di comprare gli edifici delle ex colonie bergamasche per trasformarli in residenze private.
Si tratta di un’area dove non sono consentite nuove edificazioni – spiega l’ex sindaco di Celle Ligure Luigi Bertoldi – né alterazioni degli edifico esistenti, perché l’area delle ex colonie rientra nel piano territoriale paesistico della regione Liguria dove si può demolire, ricostruendo fedelmente, mentre qui si è ricostruito accorpando più edifici, con un aumento del volume nella sagoma del nuovo edificio. Dovevano edificare a 30 metri dalla via Aurelia, hanno invece edificato a 10 metri, “sostenendo che quel sito [le nuove residenze] è edificabile” continua l’ex sindaco. Ovvero dove non è consentito costruire nuovi edifici, come si fa a dire che è edificabile?

C’è poi l’ex padiglione Frizzoni che, avendo una dimensione ai 10000 metri, non poteva usufruire del piano casa e sarebbe dovuto diventare un albergo. Ma, durante l’iter, nel 2020, la regione Liguria guidata da Toti cambia la legge, permettendo la sua demolizione per costruire altri appartamenti.

Ma Spinelli ha un altro problema: la spiaggia libera sotto l’Aurelia, essendo proprietario dell’immobile che c’è sopra vorrebbe privatizzarla. Così, come per le concessioni del porto di Genova, se ne interessa Toti che mentre è a pranzo con Spinelli, chiama l’ex sindaco di Varazze, il consigliere regionale Bozzano per trovare una soluzione. Passa solo un’ora e Toti chiama la sua collaboratrice, come emerge da una telefonata di cui Report è entrato in possesso.

In questa telefonata Toti chiede alla collaboratrice di chiedere alla segretaria di Spinelli i documenti dove vuole che si facciano i versamenti (per Toti), “lo fa normale, come tutti gli altri”. C’è stato poi un incontro dove Toti e la collaboratrice si sono parlati a voce: di certo c’è l’interesse di Toti a dare una mano a Spinelli per farsi la sua spiaggia privata, con tanto di edificio per lo stabilimento balneare, ma anche per questo mancavano permessi, ma il presidente Toti tranquillizza l’anziano imprenditore genovese “guarda che abbiamo risolto il problema a tuo figlio sul piano casa di Celle, ora facciamo la pratica, si può costruire .. quando mi inviti in barca che ora ci sono le elezioni abbiamo bisogno di una manina”.

Ma ad Imperia a controllare il territorio c’è un’altra presenza ingombrande: la ndrangheta.

Come spiega Report nell’anticipazione: “Dopo anni di indagini, il 7 ottobre 2014, il tribunale di Imperia emette una sentenza storica che riconosce per la prima volta la presenza organica della ‘ndrangheta nella provincia ligure. Ciò nonostante il primo cittadino non sembra essere d’accordo.”
In questa sentenza vengono condannati alcuni membri della famiglia Pellegrino, Vincenzo Marcianò, figlio del capo della locale di ndrangheta, Peppino Marcianò.
Dopo aver letto la sentenza, queste persone dietro le sbarre della gabbia hanno minacciato i giudici, prendendosi pure qualche applauso dai familiari.
Ma, secondo il sindaco di Imperia, Scajola, questo di Imperia non è un territorio influenzato dalla criminalità organizzata, nonostante le indagini, i beni confiscati, le sentenze arrivate fino in Cassazione: “in questo territorio della città non è emerso mai nulla”.
Peppino Marcianò è stato condannato in appello per associazione di stampo mafioso: nel 2017 al suo funerale era presente il figlio Vincenzo, lo stesso che nel tribunale di Imperia inveiva contro i giudici che lo stavano condannando. E che ai funerali se la prende con la giornalista Cristiana Abbondanza che stava registrando un filmato: grazie a quei filmati sappiamo che era presente anche il neo eletto consigliere regionale della lista di Bucci, Walter Sorriento.
“Mi ci sono trovato per caso” è stata l’assurda risposta che il consigliere ha dato Report che ha pure aggiunto “ero lì per mia figlia che stava facendo un saggio..”
Un po’ come il faraone Scajola, a sua insaputa.

La scheda del servizio: IL FARAONE E IL RIGASSIFICATORE di Luca Chianca

Collaborazione Alessia Marzi

Dopo lo scandalo giudiziario che ha coinvolto l'ex presidente Giovanni Toti, la Regione Liguria alla fine di ottobre è tornata al voto. A vincere di misura è stato l'allora sindaco di Genova Marco Bucci con soli 8424 voti di scarto grazie alla provincia di Imperia guidata da Claudio Scajola. Oltre 6mila voti arrivano proprio da suo nipote Marco Scajola, ex Totiano assessore all'Urbanistica, rientrato in Forza Italia dopo l'inchiesta che ha travolto la giunta precedente. Scajola riesce a portare 8 uomini in Regione e ben 3 assessori su 7. Ma la provincia di Imperia è davvero quel modello di Liguria che ha spinto Bucci a diventare presidente e chi sono i neoeletti consiglieri? Report mostrerà in esclusiva le immagini del funerale del boss di 'ndrangheta Peppino Marcianò nel 2017 a cui parteciparono diversi politici locali, tra cui un neoeletto consigliere regionale. Torneremo anche a parlare del sistema Toti e di come è nata l'inchiesta che ha terremotato la Liguria, partendo da La Spezia per arrivare in provincia di Savona dove la vecchia giunta voleva mettere il rigassificatore.

La consulente ad insaputa del ministro

Report è venuta in possesso di altri audio di conversazioni tra l’ex ministro Sangiuliano e la non consulente Maria Teresa Boccia: solo gossip? No, oltre al tema delle informazioni sensibili di cui sarebbe venuta in possesso (per il G7 a Pompei), c’è una telefonata tra i due dove lei si lamenta della mancata nomina. Sangiuliano glissa, “la nomina non si può fare.. e il motivo tu lo conosci.. comunque non mi va di parlarne al telefono” chiude l’ex ministro, come se sapesse di essere intercettato.


“Domani dammi il tempo di comprare un altro telefono, ti darò il numero e potremmo scriverci” – si giustifica Sangiuliano, un telefonino scarso perché non si può permettere altro (come se fosse improvvisamente diventato povero, ironizza la Boccia).
C’è poi una seconda intercettazione tra Boccia e il capo di gabinetto di Sangiuliano Gilioli: “io ho avuto indicazione dal ministro di non procedere al perfezionamento della nomina..”
Al che Boccia chiede che cosa abbia firmato, intendendo il contratto di consulenza: “faccia una istanza di accesso agli atti e verrà trattata di conseguenza”.
Esisterebbe, secondo la versione di Boccia un contratto firmato il 7 agosto nella stanza del ministro (allora) Sangiuliano. Che fine ha fatto questo contratto?

Altro punto di cui si occuperà il servizio: qual è stato in questa vicenda il ruolo di Arianna Meloni, la sorella della presidente del Consiglio? Secondo l’avvocato dell’ex ministro Sangiuliano, Silverio Sica, lo aveva avvisato molto tempo prima, di stare attento a questa persona, c’erano delle voci che giravano, consigli a cui l’ex ministro non avrebbe dato retta evidentemente.
Cosa risponde Arianna Meloni? “Vi ricordo sempre che siete pagati coi soldi pubblici ..”: un avvertimento? Un messaggio nemmeno poco sibillino?
“Io non so quanto agli italiani possa interessare, mi sembra che siate ossessionati da questa storia ..”.
Si tratta del solito tentativo di nascondere storie imbarazzanti con la scusa del gossip ma, come Report ha raccontato, ci sono aspetti che gli italiani dovrebbero conoscere: su come si entra nell’orbita di un ministero, arrivando anche alla conoscenza di informazioni riservate.
Ma è così facile buttarla in “caciara”, raccontando che Report sta tutti i giorni sotto la segreteria di FDI, che i giornalisti Rai hanno una ossessione, sprecando denaro pubblico (pensassero ai CPR in Albania)

La scheda del servizio: TRAVOLTI DA UN INSOLITO DESTINO NEL MESE DI AGOSTO di Luca Bertazzoni

Collaborazione Marzia Amico

Report ricostruisce la vicenda della mancata nomina di Maria Rosaria Boccia a consigliera per l’organizzazione dei grandi eventi del Ministero della cultura allora presieduto dal ministro Gennaro Sangiuliano attraverso audio e testimonianze inedite.

L’illusione della plastica biodegradabile

Il servizio di Report racconterà la storia di una azienda italiana che avrebbe voluto cambiare il mondo, liberandolo dalla plastica inquinante: una storia che inizia da una pista da sci.

La racconta l’AD di Bio-On Marco Astorri tra il 2007-2019: stavano producendo le tessere per gli impianti sciistici delle Dolomiti, il presidente della società fece una battuta, “Astorri ma queste tessere che sono fatte di plastica che poi ci ritroviamo in primavera e d’estate lungo tutte le piste e le dobbiamo raccogliere, non le possiamo fare in un materiale naturale?”.
Questa è stata la scintilla per la plastica biodegradabile: ogni anno nel mondo vengono prodotte 500ml di tonnellate di plastica, gran parte si disperde poi nell’ambiente e va a finire nelle acque dei fiumi e mari, nei terreni, entrando nella catena alimentare e provocando tumori.
Marco Astorri si era messo in testa di produrre una plastica naturale: nelle sue ricerche ritrova una invenzione del 1926, quando lo studioso francese Lemoigne aveva studiato i poliidrossi-arcanoati, PHA, una plastica generata dai batteri nutriti con lo zucchero, tutto completamente naturale.
Il batterio si nutre di questi zuccheri e li espelle come un escremento – spiega a Report Paolo Galli membro della Plastic Hall of Fam – ed è questa sostanza materiale plastica: lo stesso tipo di batterio o famiglie di batteri simili, capiscono che questo è un materiale digeribile e lo aggrediscono, lo mangiano e lo restituiscono all’atmosfera come co2. Plastica che, messa a contatto con questi batteri, si trasforma in gas, tutto un procedimento naturale. Si tratta di una plastica che ha le stesse caratteristiche fisiche della plastica tradizionale in termini di trasparenza, rigidità, elasticità, flessibilità della plastica tradizionale. Potrebbe dunque sostituire in toto la plastica tradizionale.
Cos’è successo allora alla Bio-On? Il giornalista del Corriere Marco Madonia e autore del libro L’Unicorno, racconta della svolta del 2014 quando Astorri decide di quotare l’azienda in borsa, mettendo sul mercato il 10% di Bio-On, la quota minima per entrare nell’AEM, la sigla che sta per Alternative Italian Market, sistema costruito su misura per le piccole e medie imprese. Servivano degli investitori che avrebbero poi messo i soldi su questo sogno: Bio-On si fa seguire da Giovanni Natali che di mestiere fa proprio questo, quotare le aziende in borsa.
A Report racconta della battuta che fece alla Bio-On: “vedete che se questa roba funziona, tu tra tre anni vai in giro con l’elicottero, se non funziona vai in galera”.
Agli investitori Astorri che modello di business proponeva? Il modello non era produrre la plastica biodegradabile, bensì vendere le licenze per fare impianti per la produzione di plastica biodegradabile, un modello da vendere ai tanti produttori di plastica, per progettare assieme nuovi impianti, basati sui brevetti di Astorri.
L’interesse è mondiale, Astorri chiude contratti di licenza per fare stabilimenti in Olanda, Francia, Russia e Iran e poi trattative in tutto il mondo, perfino con produttori australiani. Il contratto coi russi fu firmato direttamente sotto gli occhi di Giuseppe Conte e di Vladimir Putin.
“C’erano aziende enormi con noi, Eni, Barilla, Ferrovie dello Stato e tutti si chiedevano chi fosse Bio-On..”

Cosa è successo poi?



Gabriele Grego è trader finanziario, col suo fondo Quintessential analizza i bilanci per scovare truffe finanziarie: nel 2019 ha pubblicato un report sulla Bio-On dove quest’ultima veniva paragonata alla Parmalat, “la Bio-On è un castello di carte”.
Un duro attacco ad Astorri e alla sua azienda, il giorno dopo la pubblicazione del report avrebbero dovuto annunciare l’aumento del capitale in cui Bio-On sarebbe diventata una multinazionale. Invece venne svegliato alle 6 di mattina da questa notizia che diventa subito un incubo, per tutte le “balle” (secondo la versione di Astorri) raccontate nel report.
La tecnologia di Bio-On sarebbe assurda e farneticante, ci sarebbero seri problemi di produzione per il PHA, altre imprese hanno fallito in precedenza nel tentativo di commercializzare il PHA..
Report ha chiesto un parere a Paolo Galli che smonta questo report: farneticanti sono le parole di Grego, questa tecnologia è stata provata e brevettata.

La scheda del servizio: NIENTE È COME SEMBRA di Danilo Procaccianti

Collaborazione Goffredo De Pascale, Enrica Riera

Una società che acquista brevetti avveniristici per affidare a un batterio che mangia zucchero la produzione della plastica, una sostanza integralmente biodegradabile destinata a rivoluzionare il mercato mondiale. Tutto inizia come se fosse una start up, ma presto questa società italiana viene quotata in borsa e raccoglie un capitale da capogiro che supera il miliardo di euro. È l’italiana Bio-on, con la sua storia di un sogno che stava diventando realtà e si è poi tramutato in un incubo, un vero e proprio thriller industriale con tanto di fallimento, condanne penali, agenti segreti e personaggi svelati per la prima volta da Report.

Tira una brutta aria a Milano

Ma è vero che Milano è la terza città più inquinata al mondo?

Chi misura la qualità dell’aria, in termini di inquinamento, nelle maggiori città del mondo? La società si chiama IQAir AG: misurano la qualità dell’aria prendendo i dati da tutte le fonti pubbliche a cui possono accedere – spiega l’AD Frank Hammes – “a Milano ad esempio arrivano da due stazioni pubbliche, quelle di Arpa, e da dieci stazioni private, cioè rilevatori di persone private ..”
I dati arrivano cioè da persone comuni, che hanno in casa dei misuratori: ma come fanno ad essere certi che gli strumenti usati dai cittadini funzionino correttamente? L’AD ha risposto che con 300-400 euro si possono comprare strumenti di buona qualità.
Ma il responsabile di Arpa Lombardia per la qualità dell’aria, Guido Lanzani, spiega che loro usano strumenti conformi a quello che prevede la norma del 2008 dell’Unione Europea, ogni stazione costa da 100mila a 150mila euro: “l’importante è utilizzare, per confrontarle, delle misure che siano coerenti coi metodi di riferimento che la normativa prevede. Se metto assieme dati che provengono da sistemi di rilevazione diversi, rischio di dare una fotografia sfalsata.”
Per evitare questo rischio la comunità europea ha imposto degli standard che tutti i paesi europei devono rispettare, a cominciare dal luogo dove installare i misuratori.
Come mai un’azienda privata come IQAir, senza avere gli strumenti adeguati e le competenze scientifiche necessarie, pubblica una classifica delle città più inquinate al mondo?
C’è un possibile conflitto di interesse, poiché IQAir produce depuratori d’aria: questo è il loro business su cui basano il loro profitto. Nulla di illegale, ma rimane la sensazione che queste classifiche facciano parte di una sorta di campagna pubblicitaria.
Per smontare questa sensazione basterebbe che l’azienda mostrasse i dati sulle vendite: c’è stato un aumento delle vendite dei loro dispositivi in Italia nell’ultimo anno? Niente da fare, su questo l’AD dell’azienda risponde che, essendo una società privata, non sono tenuti a mostrare nulla. Ma è proprio questo il punto: possiamo fidarci dei report di IAQAir? I loro dati sono basati su qualche evidenza scientifica? E, poi, chi certifica la qualità dei loro depuratori? Non esiste nessuna certificazione per i depuratori d’aria, lo stesso AD ammette di aver studiato giurisprudenza.

Giusto per chiarire il punto, il responsabile di Arpa Lombardia si è laureato in fisica all’università di Milano e poi ha studiato alla scuola di specialità in statistica sanitaria all’istituto dei tumori, sempre a Milano.

La scheda del servizio: CHE ARIA TIRA? di Marco Maisano

"Milano è la terza città più inquinata del mondo”. Questa è l’affermazione, errata, pubblicata qualche mese fa da molti media italiani. Un'affermazione basata su una classifica che mette in gara i livelli di inquinamento delle principali città del mondo. Ma chi stila questa classifica? Una società svizzera che si chiama IQAir e il cui business, anche se nessuno se n’è accorto, è la produzione di purificatori d’aria. Nonostante l’affermazione errata, però, l’Italia si ritrova comunque nel bel mezzo di un’emergenza sanitaria. Milano non è la terza città più inquinata, ma i suoi livelli di inquinamento atmosferico, assieme a quelli di molte altre regioni italiane, supera, e non di poco, i limiti imposti dall’OMS e dall’Unione Europea. Il risultato? Migliaia di persone muoiono prematuramente a causa delle polveri sottili in atmosfera. Ma la politica italiana, nonostante le sanzioni in arrivo, sta già chiedendo deroghe al raggiungimento degli obiettivi di risanamento. Un fatto, avverte la comunità scientifica, che causerà centinaia di migliaia di morti entro il 2035

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.