31 dicembre 2024

L'ultimo pinguino delle Langhe, di Orso Tosco

 

Cigliè, Piemonte

Anche i lunedì speciali, quelli capaci di cambiare il corso di un’intera esistenza, iniziano come un giorno qualsiasi. Questo è ciò che rende la vita meravigliosa e al contempo terrificante.
Si può procedere con la navigazione sperando che i venti e le correnti siano benevoli, e che le tempeste ci piombino sulla testa quando siamo al sicuro..

Rufus Blum, broker svizzero dal nome poco sconosciuto tanto quanto vasto è il suo potere, si riteneva tale, un “navigatore esperto”, capace di muoversi in quel mondo opaco, per noi gente comune, dove contano le relazioni, i patrimoni personali di cui si dispone, la capacità di fare di far cadere governi, scatenare guerre con un semplice sì o no.
Un broker che ha deciso di passare la sua vita sulle Langhe, le dolci colline con viti e boschi, dentro cui si addentra per la sua corsa mattutina.

Ma ecco che, quella mattina, il suo olfatto gli restituisce un odore ferroso: è il sangue di una giovane donna che trova morta lungo il percorso. Una donna uccisa e sul cui corpo è stato inciso proprio il suo nome. Rufus Blum.

È proprio nella placida provincia italiana che si nascondono le storie più tremende e dove avvengono i delitti più efferati. Ed è proprio qui che incontriamo l’ultimo pinguino delle Langhe: non è un mammifero, in realtà, “Pinguino” è il soprannome con cui viene chiamato il commissario Gualtiero Bova, mandato a gestire un commissariato a Mondovì, nella provincia piemontese, dopo una promozione-rimozione dalla sua Liguria.

Ogni inizio di settimana, poco prima dell’alba, il commissario Gualtiero Bova, che tutti conoscono come il Pinguino, dopo aver assunto una microdose di dietilammide-25, volgarmente chiamato acido, o acido lisergico, si incammina verso il borgo di Clavesana in compagnia della sua bassotta bionda, Gilda..
Alto, imponente, con un fisico a pera per il troppo mangiare e il buon bere, due braccine corte: questo è il commissario Bova, che ama iniziare le settimane con una passeggiata assieme alla sua bassotta, Gilda.

Sarà lui a dover seguire questa indagine su questa ragazza uccisa male, senza un nome, il cui cadavere è stato pure usato come lettera per mandare un messaggio proprio a quel finanziere svizzero, Blom, prossimo ad un matrimonio con una avvenente (e molto “social”) ragazza inglese, Rose Bellamy.
Che quella
ragazza morta sia un messaggio per Blom ci vuole poco a capirlo, ma cosa ci sia dietro è invece un altro paio di maniche, anche perché oltre al nome, Rufus Blum, sul corpo della ragazza sono state disegnate delle svastiche. Che significato hanno? Toccherà al commissario Bova e alla sua squadra, “particolare” come lui, dare una risposta a queste domande.
N
on è solo quel fisico “a pera” l’unica particolarità del “pinguino”: è inusuale, per usare un eufemismo, che un membro delle forze dell’ordine debba prendersi delle goccine per iniziare la giornata, ma è il miglior modo per tenere a bada una brutta depressione, legata a pezzi del suo passato che man mano conosceremo. Come Ava, l’eterna fidanzata, da cui ancora aspetta una risposta.

Le gocce, più che per le leggere distorsioni visive, gli interessano proprio per il modo in cui lavorano sulle parole, dentro la sua testa, raggruppandole di quattro..
fiaba ghiaia fortunale gardenale

Sono queste parole, raggruppate in quattro, ad aiutarlo nel suo ragionamento perché, anche se nell’aspetto può apparire un personaggio mite, lento, il “pinguino” sa farsi guidare da queste parole per avere le intuizioni giuste nell’ambito lavorativo, meno nella vita.

C’è un altro personaggio, in questa storia che si svolge quasi tutta nel mezzo dei boschi delle Langhe, dentro cascine abbandonate o vecchie ville ristrutturate per quei signori che amano circondarsi del bello, anche se non ne conoscono la storia.

Si chiama semplicemente il Notaio, questo il suo mestiere, come lo era del padre e del nonno: un notaio di provincia, dove spesso si nascondono i veri potenti del mondo, capaci di occultare il loro potere camuffandolo come “una foglia di un prato autunnale”.

Proteggere e nascondere. Questo, secondo il Notaio, è il compito delle buone famiglie. La sua è una delle più importanti della zona.

Anche lui, il Notaio, è interessato a questo delitto, al commissario che sta seguendo il caso, alle persone implicate nella morte della ragazza. Perché quella morta, a cui per un colpo di fortuna si riesce anche a dare un nome, è “morta per sbaglio” per mano di qualcuno che ha disubbidito ai suoi ordini.

Non prendiamolo sottogamba questo Notaio. Ma nemmeno il nostro “pinguino” che, sebbene l’aspetto flaccido, il suo muoversi lento, ha un testa pensante, capace di mettere assieme i pezzi di questo puzzle sparpagliati sulla tavola. E provare rabbia per quella ragazza morta a cui il futuro è stato tolto per mano di un assassino senza scrupoli

Una giovane ragazza senza nome uccisa e utilizzata come calamaio per disegnare una svastica e per scrivere “Blom”, il cognome della persona che l’ha trovata, nuda, a bordo strada.

Sarà una indagine in cui, assieme alla sua “particolare” squadra, la poliziotta silenziosa, l’agente maldestro, un altro agente ossessionato dalle donne, si troveranno a dover scavare nel passato dei protagonisti, un passato dentro cui sono nascosti tanti segreti che fanno paura ancora oggi.
Un investigatore “particolare” per una indagine particolare a cui daranno un certo contributo anche un guardone, un drone alzato dalla donna delle pulizie, un senza tetto vestito come Garibaldi.. e poi l’ossessione per i dettagli di questo commissario, da conservare nella sua mente come compostaggio per intuizioni future:

Pancia e cervello per il Pinguino sono la stessa cosa. Due nomi per la stessa finalità: fungere da serbatoi, o, ancora meglio, da compostiere. Due posti in cui bisogna ammassare tutte le informazioni e tutte le suggestioni

Pancia e cervello, come anche una certa ruvidezza nel carattere associata ad una profonda sensibilità verso le vittime, con dentro qualcosa di Sherlock Holmes del tenente Colombo e una certa diffidenza nelle soluzioni troppo facili per gli enigmi: è nato un nuovo investigatore nel noir italiano che vedremo spero presto all’opera con nuove indagini.

La scheda del libro sul sito di Rizzoli

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon


29 dicembre 2024

Anteprima inchieste di Report – i dispositivi medici, Eataly, l’eredità degli Agnelli

Report tornerà ad occuparsi della salute degli italiani e dei tanti, troppi conflitti di interesse che ci stanno attorno. Conta più la nostra salute o gli interessi delle case farmaceutiche?

Poi un servizio sul mondo magico di Oscar Farinetti.

Reportlab – la smart city sostenibile

La capitale dell’Indonesia, Giacarta, sta sprofondando sotto il livello del mare, così il governo ha deciso di costruire una nuova capitale, Nusantara, all’interno di una zona forestale. Sarà una capitale green, assicurano, ma per realizzarla entro il 2045, servono ingenti capitali privati, che si cerca di attirare usando il meccanismo delle concessioni su beni del paese.

Nell’anticipazione della puntata, Reportlab racconterà di cosa sta succedendo a Nusantara, la nuova capitale dell’Indonesia.

La scheda del servizio - LAB REPORT: MARE CHE AVANZA

di Paolo Palermo

Si chiamerà Nusantara la nuova capitale dell'Indonesia. Iniziata nel 2022, la sua costruzione dovrebbe essere completata nel 2045 e dovrebbe essere una smart city sostenibile. Il progetto è stato pensato anche perché l'attuale capitale, Giacarta, sta sprofondando sotto il suo stesso peso e, secondo le previsioni, nel 2050 gran parte della città potrebbe finire sotto il livello del mare. E se Giacarta è la prima città al mondo ad affrontare l'aumento del livello del mare, in futuro anche Venezia dovrà preoccuparsene. Il Mose permette alla Serenissima di pensare "a piedi asciutti", ma il cambiamento climatico è già la sfida del futuro.

Il nido di Danisinni

Ogni tanto serve anche una buona notizia, una boccata d’aria in mezzo a tante storie: è la storia dell’asilo nido di Danisinni, a Palermo, riaperto il 9 settembre scorso.
Per salvare il nido si sono mosse le famiglie, la parrocchia, che si erano opposti all’abbattimento dell’infrastruttura, che era rimasta abbandonata a sé stessa per quasi 20 anni.

La scheda del servizio: DANISINNI RINASCE

di Alessandro Spinnato e Dario D’India

Collaborazione Tiziana Battisti

Il Nido di Danisinni oggi rappresenta il segno che il cambiamento è possibile anche nelle periferie più nascoste del nostro Paese. L'Amministrazione comunale di Palermo ha accolto la sfida lanciata, cinque anni fa, dalla Parrocchia Sant’Agnese insieme alla Comunità Educante territoriale. Vi avevamo raccontato la resistenza di un territorio che opponendosi all’abbattimento chiedeva la ristrutturazione del Presidio scolastico chiuso da vent’anni. A ottobre grazie alla sinergia tra Pubblica Amministrazione e Territorio il Nido di Danisinni ha riaperto le porte ai primi 20 bambini e a breve diventeranno 60. Grazie all’impegno di fra’ Mauro Billetta.

Come vengono prese le decisioni sui dispositivi medici

Chi decide sulla nostra salute? Viene prima l’interesse dei cittadini oppure a volte chi deve prendere le decisioni sul sistema sanitario (e su dove investire le risorse) prevalgono altri interessi?
Per scoprirlo Report è andata a Londra al congresso della società europea di cardiologia dove era ospiti 30mila medici da tutto il mondo.

È il più importante congresso al mondo su questo argomento: qui si trovano anche gli stand delle più grandi multinazionali dei dispositivi medici, poi ci sono le stanze riservate dove i medici e le aziende si danno appuntamento lontano dagli occhi indiscreti. Gli organizzatori del congresso dettano ai giornalisti, non solo Report, delle regole rigide, come il divieto di filmare gli stand delle aziende. Come la Edwards, il colosso americano con un giro d’affari da 3 miliardi di euro l’anno, specializzato in valvole cardiache: una rappresentante ha invitato il giornalista di Report a partecipare ad un evento scientifico che loro sponsorizzano sulle TAVI (un impianto per sostituire la valvola aortica), la “gallina dalle uova d’oro”, visto che il giro d’affari per questo dispositivo è destinato ad aumentare.

Stiamo dimostrando che queste valvole che stiamo testando durano molto tempo” racconta la rappresentante dell’azienda al giornalista, “quindi possiamo darle anche ad un sessantacinquenne”.

La concorrente di Edwards su questo settore si chiama Medtronic: la competizione si gioca sulle pazienti donne, tanto che quest’ultima azienda ha lanciato un evento scientifico per supportare le TAVI nella popolazione femminile anziana e poco dopo, fa la stessa cosa la concorrente, la Edwards.
Al congresso di Londra era presente anche la cardiologa Sonia Petronio, relatrice all’evento Edwards: l’azienda si sta aprendo a questa fetta di mercato, usando questi eventi?

No, spiega la dottoressa, la fetta di mercato l’avevano già aperta costruendo le valvole, il trial poi – aggiunge alla domanda di Report – era finanziato dalla multinazionale, di cui Petronio è anche consulente.
E’ convinta delle potenzialità della TAVI, la cardiologa: “il paziente non ritorna in ospedale nei mesi successivi”.

Nonostante Petronio sia una delle più stimate cardiologhe in Italia la regione Toscana non l’ha inclusa nella commissione che valuta i dispositivi medici tra cui le TAVI, proprio per i suoi legami con le aziende, essendo consulente sia di Edwards che di Medtronic.

“Questo è un grosso baco” spiega a Report “perché gli esperti non ci sono più per giudicare una gara: se io metto tutto alla luce del sole e dichiaro che sono consulente di Edwards e Medtronic, se tu mi chiedi un parere io te lo do, sapendo che io sono consulente e come tale.. ”

Ma per avere un parere meno “legato” a queste aziende, Giulio Valesini ha sentito un altro esperto di cardiochirurgia: dal suo studio emergerebbe che ai pazienti a cui è impiantato una TAVI sopravviva mediamente quattro anni di meno rispetto a chi fa invece un intervento chirurgico di sostituzione della valvola aortica. “Il 12% dei pazienti sottoposti a TAVI può aver bisogno di un pacemaker, mentre per i pazienti che fanno la chirurgia è solo il 4%, ma poi ci sono altri problemi importanti, l’emodinamica del paziente viene compromessa, il nostro sistema immunitario tende a far degenerare la bio protesi.”

Chi decide quale intervento fare ai pazienti? Come racconterà Report stasera, è il chirurgo che decide in sala operatoria quale dispositivi usare e i direttori delle aziende, per preparare i capitolati delle gare di appalto si affidano ai primari.

Un funzionario di una multinazionale del settore biomedicale racconta a Report di come avvengono queste scelte: “ho incontrato importanti primari di ospedali pubblici, cosiddetti opinion leader, sonoa ndato a casa loro per non essere visto, i medici mi hanno lasciato la pennetta col capitolato di gara, con i dispositivi che vendo, così io ho potuto inserire la caratteristiche tecniche dei prodotti della mia azienda, per i vari lotti di gara. In questo modo le caratteristiche dei dispositivi indicati dal medico nel capitolato, calzano su misura su quelli che noi vendiamo. Il medico fa girare la pennetta con le ditte con cui ha più rapporti, per non scontentare nessuno.”
Prosegue il funzionario: “facendo in questo modo la chiavetta ha i prodotti di tutti, ci sono stati casi in cui le aziende si sono fatte lo sgambetto, cancellandosi i prodotti a vicenda..”
E il medico in cambio cosa ottiene?

“Io al medico garantisco sponsorizzazioni e spese per i convegni scientifici..”
Il metodo delle gare funziona così: il dirigente della ASL non si prende responsabilità e si affida al primario, di solito un medico di grido, la base di partenza è la vecchia gara che viene trasferita su chiavetta. A quel punto il medico anziché compilare la gara incontra i vari rappresentanti delle multinazionali e gli passa la pennetta. Le aziende possono così scrivere i loro prodotti, la pennetta passa di mano in mano e arriva alla gara. Il medico in cambio dalle aziende avrà favori, finanziamenti per i congressi, viaggi, borse di studio.
Report ha raccolto il commento del direttore generale del policlinico di Catania, Gaetano Sirna: “non ci posso pensare.. che molte volte mi arrivano le caratteristiche tecniche, ma quelle cose poi le cestino”.
A prendere decisioni così importanti devono essere professionisti con una solida esperienza, ma ben lontani dai condizionamenti delle multinazionali: condizionamenti che vengono confermati a Report da una seconda fonte, anonima, di un ex dirigente di una seconda multinazionale dei dispositivi medici.

A Report racconta di come si avvicinino i medici “se è un medico di grido viene avvicinato dalle aziende, se invece è un medico rampante è lui che cerca l’azienda..”
Questa fonte aggiunge di aver fatto diventare diversi medici degli “opinion leaders”, medici in grado di orientare le decisioni dei direttori generali: “lo specializzando ha uno stipendio ridicolo, l’azienda decide di affidargli lo studio clinico di un prodotto X e gli paga una borsa di studio per tirar fuori dei dati, nel frattempo lui viene conosciuto all’interno del reparto dove sta facendo la specializzazione, e così cresce.”
Quando invece ci si trova davanti ad un luminare, sono le aziende a cercare di tirarlo nella rete: “chiediamo cosa possiamo fare per aiutarli nel loro lavoro .. e la risposta è, ad esempio, io quest’anno vorrei fare cinque congressi, oppure ci sono stati dei casi in cui sono state date delle stock options, diventando azionisti della multinazionale.”
Sull’utilità scientifica dei congressi la fonte di Report ha molti dubbi: “sei ammesso nei migliori alberghi sul mare, io il congresso non lo vedevo mai, ma nemmeno i medici lo vedevano”, si passavano tre o quattro giorni mangiando del buon cibo, in cambio l’azienda si aspetta poi che il medico impianti il loro di dispositivo e non quello della concorrenza, magari migliore. “E’ un do ut des, però è permesso”.

L’Optune è un dispositivo medico prodotto dalla Novocure che dovrebbe combattere il tumore celebrale: il noleggio costa 21 mila euro al mese e poiché molte ASL non sono disposte a rimborsarlo l’azienda ha lavorato su un livello più alto, quello delle regioni che possono approvare il PDTA per un Piano Terapeutico ad hoc, scritto dai medici delle reti oncologiche regionali, come Vincenzo Adamo, nominato nel 2019 dalla regione Sicilia.
“Il nostro programma è finalizzato a dare un miglioramento al percorso diagnostico terapeutico dei pazienti oncologici” racconta a Report Adamo che è anche presidente della fondazione siciliana per l’oncologia che lo scorso anno ha organizzato un convegno sulle nuove cure dei tumori celebrali. Tra gli sponsor c’era proprio la Novocure: in cambio del finanziamento al congresso mediato dalla società Provider Collage, c’era un accordo per far approvare nel piano terapeutico regionale e sdoganare l’uso dell’Optune.
“La fondazione ha promosso questa idea” conferma Adamo a Report “elabora il documento ma poi lo manda alla rete oncologica siciliana”, che però è sempre Adamo, “casualmente”.

La fondazione non ha preso finanziamenti dall’azienda che produce i dispositivi, ma c’è però il contratto tra la fondazione e la Collage, dove si cita un compenso lordo, “ma è un accordo che il provider può fare con i professionisti” si è giustificato il medico che ha aggiunto di non avere rapporti con la Novocure.
Ma Report è venuta in possesso di una bozza di un PDTA della regione Sicilia dove si prevede l’adozione del dispositivo TTFields: questa bozza è stata mandata alla Novocure, come fondazione privata, ma poi questo documento sarebbe stato mandato anche alla regione.

Chi ha un incarico pubblico perché riceve dei finanziamenti da una azienda che produce dispositivi che poi il pubblico paga?

“Per quale motivo deve fare uscire certe cose” è stata la risposta del medico: perché c’è un interesse pubblico, perché si parla di salute.

La scheda del servizio: LA POSTA DEL CUORE

di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella

Consulenza Antonio Condorelli

Collaborazione Norma Ferrara, Evanthia Georganopoulou

L'innovazione in medicina ha prodotto dispositivi medici sempre più efficaci, capaci di salvare vite umane e farci vivere meglio. Questi apparecchi sono però anche molto costosi e incidono sul bilancio del Servizio sanitario nazionale. Per questo il loro uso deve essere appropriato e determinato solo da ragioni scientifiche. Cosa succede se gli interessi commerciali indirizzano la pratica medica? Ad esempio, le valvole percutanee per la cura della stenosi aortica, le TAVI, stanno soppiantando la cardiochirurgia. Hanno molti vantaggi sul breve termine ma delle serie controindicazioni sul lungo termine. Eppure, i cardiologi europei intendono abbassare a 70 anni la soglia di impianto consigliata dalle linee guida, laddove oggi è 75 anni. Le TAVI costano circa 17mila euro contro i 3mila delle valvole per chirurgia. Alcuni ricercatori ritengono che le multinazionali del dispositivo abbiano rapporti troppo stretti con i medici e stiano indirizzando questa svolta. Il viaggio di Report comincia a Londra, al più importante congresso di cardiologia del mondo, dove scienza e business si incontrano, e prosegue nelle sale operatorie italiane, passando per primari che chiedono sponsorizzazioni per i loro congressi alle aziende e multinazionali che pagano le tasse all'estero ma chiedono esosi rimborsi alle Regioni italiane.
Il felice mondo di Oscar Farinetti

Prima di lanciarsi nel mondo della ristorazione e del cibo made in Italy, Farinetti si era affidato a Slow Food: il rapporto tra Carlo Petrini e Oscar Farinetti si è poi interrotto dopo al vendita dell’acqua minerale Lurisia a Coca Cola.
Come mai questa decisione? “Dal momento in cui Lurisia non è più proprietà di un imprenditore locale ma diventa proprietà di una multinazionale, conosciuta in tutto il mondo, specialmente in America Latina, dove fa man bassa delle proprietà delle acque, ci sono interi paesi che sono sotto schiaffo per la Coca Cola, io non posso non vedere quello che fanno le multinazionali nel resto del mondo” la risposta di Petrini.

“Io sono molto contento di quella vendita” la risposta invece di Farinetti, “dei soldi non me ne frega niente, valeva immensamente di più, è stato un ottimo affare per la Coca Cola.”
A Report racconta di essere sempre stato, da uomo di sinistra, contro il sistema delle multinazionali, ma negli anni ha maturato la volontà di incidere, di lavorare, perché le multinazionali diventino buone, “io oggi metto la Coca Cola tra le multinazionali più etiche che ci sono.”

Il successo imprenditoriale di Oscar Farinetti si consolida con Expo 2025, quando si aggiudica 20 ristoranti dentro il padiglione Italia. Secondo Eataly è perché le gare furono deserte: ma in realtà per Expo non è stata fatta nessuna gara.
È stato fatto un esposto all’autorità anti corruzione da parte di Piero Sassone, presidente dell’istituto italiano di cucina gastronomica, “ritengo che questa [Expo 2015] dovesse essere una opportunità che doveva essere data a tanti imprenditori simili a noi, a tante realtà come le nostre. Alla fine le aziende ci sono state ad Expo, ma in subappalto, chiamate da Farinetti”.
Sassone aggiunge che dopo aver preso atto che non c’era l’opportunità di partecipare a delle gare per il nostro paese, si sono presentati alle gare per il padiglione del Bahrein, dell’Angola, dell’Argentina, della Colombia, di Israele, del Messico..
Ci sono state delle conseguenze per aver fatto quell’esposto?
“A pochi alla fine dell’Expo ci siamo trovati una verifica fiscale a tappeto, con la Guardia di Finanza arrivata in tutte le nostre sedi, una indagine e una verifica fiscale che è durata due anni, col risultato che il verbale dell’indagine si concludeva con ‘attività soggettivamente inesistente’ come se noi fossimo stato una grande cartiera. La procura di Asti ha emesso un provvedimento di sequestro preventivo di tutti i nostri beni.. ”
Dopo diversi tentativi, il presidente Sassone riesce a parlare coi magistrati, il magistrato ordina una contro indagine che porta ad altri risultati, tutto era regolare e le attività esistevano.

La scheda del servizio: IL PARTIGIANO OSCAR

di Walter Molino e Andrea Tornago

Dagli elettrodomestici al cibo, da Slow Food ai grandi marchi delle bevande, dalle campagne di Alba alla periferia di Bologna, dal padre partigiano ai riflettori della Leopolda, qual è il filo rosso che tiene insieme il magico mondo di Oscar Farinetti?

La battaglia legale sull’eredità degli Agnelli

La Dicembre è la cassaforte degli Elkann: tramite questa società gli Elkann controllano l’impero familiare, dalla Expor in giù, dentro cui la Juventus, Gedi, Stellantis e altri miliardi di euro in investimenti finanziari dalle materie prime alle cliniche private.


Dicembre è una società “semplice”, con una struttura agile: non si deve presentare un bilancio, l’esclusione dal regime IVA e soprattutto la possibilità che la quota, in caso di morte di uno dei soci, andasse agli altri in proporzione, saltando gli eredi.

Dopo la morte di Giovanni Agnelli la quota di maggioranza di Novembre passa alla moglie Marella Caracciolo che ne dona una parte a John Elkann, poi nel 2004 vende ai nipoti John, Lapo e Ginevra la nuda proprietà della sua quota restante. Prezzo della cessione, dai documenti che Report ha visionato, 80 ml di euro.

“Marella Caracciolo non aveva bisogno dei soldi dei nipoti per vivere” spiega a Report il consulente Gian Gaetano Bellavia “questa operazione è stata fatta per evitare che questa quota di maggioranza andasse a finire in una causa e quindi venisse bloccata.”
A dar valore all’atto dovrebbero essere le distinte di pagamento delle quote, ma Report non ne ha trovato traccia: “entrambe le parti hanno un conto presso la fiduciaria e la fiduciaria ha conti presso banca Pictet [gruppo bancario svizzero] .. i movimenti finanziari non si vedono dal documento, perché fatti dietro le società fiduciarie..”
Nel documento mancano documenti contabili su queste transazioni o altri che testimoni l’evidenza dell’avvenuta movimentazione del denaro – spiega ancora Bellavia: secondo le carte che ha in mano Report, questo pagamento non è mai avvenuto.

Report mostrerà un documento inedito da cui si evince che la posizione nella fiduciaria dei fratelli Elkann era stata chiusa il 17 maggio 2004, due giorni prima del presunto pagamento, datato 19 maggio, il conto da cui sarebbe dovuto partire il saldo era stato chiuso prima.

Non solo: i pm torinesi hanno trovato prova di un passaggio di denaro opposto, dalla nonna ai nipoti, 100 milioni di euro versati estero su estero, in pratica è il venditore che versa denaro a chi compra. Sulla base di questo i pm ritengono dunque che la compravendita sia fittizia e “artatamente costruita”.

E cosa accadrà qualora questo atto di compravendita della Dicembre dovesse essere annullato?
Il 40% della nonna, che aveva venduto ai nipoti, torna nel patrimonio della nonna, Marella Caracciolo: la nonna deve lasciare metà del suo patrimonio alla figlia, dovranno poi arrivare ad un accordo dove l’uno compra e l’altro vende – questa l’opinione del notaio Federico Solimena che, aggiunge, “non riesco ad immaginare se non una liquidazione giudiziale, ovvero dove si chiede al tribunale che si nomini in liquidatore o un amministratore estraneo.”
Di fatto il presidente del gruppo industriale Stellantis potrebbe non avere più nel futuro il controllo del pacchetto azionario, “potrebbe non essere rinnovato il suo ruolo dal socio di controllo di queste partecipate che è Dicembre”.
Il futuro societario degli Elkann è appeso ad una decisione dei giudici di Torino: Manuele Bonaccorsi ha provato a sentire l’avvocato della famiglia, il dottor Barcellona, che ha preferito non entrare in troppi dettagli, il rischio di vedere la Dicembre tornare dentro l’asse ereditario dell’avvocato Agnelli non esiste, “il giudica dirà quello che è giusto che dica”.
L’avvocato di Margherita Agnelli, la figlia, chiede addirittura che sia il 53% della Dicembre a finire nelle disponibilità della sua assistita: per John Elkann questo significherebbe una perdita economica importante. Secondo una perizia del Tribunale Civile di Torino la Dicembre valeva 4,6 mld di euro, per liberarsi dell’ingombrante presenza della madre, Elkann dovrebbe sborsare tra i 2 e i 3 miliardi di euro.
“Questa vicenda non salva né l’auto italiana né i 12mila dipendenti” è la conclusione del notaio Solimena “chiunque sia il vincitore, chi è che rifà le auto italiane?”

Sul Fatto Quotidiano potete trovare una anticipazione del servizio:

Mandato revocato e firma. Altri dubbi su “Dicembre”

“Report” - Il 41,29% della società da Marella ai nipoti ceduto tramite una Fiduciaria che non poteva più operare (e il sospetto di un falso)

Di Ettore Boffano 29 Dicembre 2024

Una firma, quella di Marella Caracciolo vedova di Gianni Agnelli, che secondo il perito della Procura di Torino, Silvia Benini, “potrebbe essere stata falsificata”, sia pure con “un grado solo possibilistico” (legato ad aver potuto esaminare solo fotocopie, ndr). Poi tre numeri, 421, 422 e 423, che indicano altrettante posizioni presso la Gabriel Fiduciaria intestate a John, Lapo e Ginevra Elkann: aperte il 3 maggio 2004 e cessate il 17 maggio successivo. Sono questi i documenti, scoperti tra quelli sequestrati dalla Guardia di Finanza il 7 febbraio, adesso al vaglio dei pm di Torino Marco Gianoglio, Mario Bendoni e Giulia Marchetti che indagano sull’eredità di Marella e su quella del “Signor Fiat”.

Carte che riguardano il “cuore” dell’inchiesta, le sorti della società semplice Dicembre, la cassaforte di famiglia che assicura ai fratelli Elkann il controllo dell’impero Exor: John con il 60%, Lapo e Ginevra con il 20% a testa. I pm, che indagano per frode fiscale e truffa ai danni dello Stato vogliono accertare se all’eredità rivendicata dalla madre Margherita siano state sottratte anche le quote della Dicembre. Non per stabilire a chi appartengano, ma per contestare ulteriori evasioni.


La scheda del servizio: JOHN TRAVOLTO

di Manuele Bonaccorsi

Collaborazione Madi Ferrucci

Ottanta milioni di euro è il prezzo con cui il 19 maggio 2004 Marella Caracciolo ha venduto ai nipoti John, Lapo e Ginevra Elkann le sue quote della Dicembre, la società cassaforte dell’impero che fu di Gianni Agnelli. Ma manca l’originale dell’atto di compravendita, e il conto della Gabriel Fiduciaria da cui sarebbe dovuto partire il pagamento era stato chiuso due giorni prima, il 17 maggio, come dimostrerebbe il documento inedito, di cui Report è entrata in possesso, che rischia di pesare come un macigno sul processo civile che oppone gli Elkann alla loro madre, Margherita, la figlia di Gianni Agnelli, in merito all’eredità di Marella Caracciolo, la consorte dell’avvocato, deceduta nel 2019. Il documento è stato rintracciato dalle fiamme gialle torinesi all’interno delle indagini penali che vedono i tre Elkann indagati per truffa ai danni dello Stato. Non solo, i magistrati hanno trovato traccia di un pagamento opposto: 100 milioni di euro sarebbero passati dai conti della presunta venditrice (Marella) a quelli degli acquirenti (John, Lapo e Ginevra). Secondo i magistrati torinesi la compravendita potrebbe essere “fittizia e artatamente costruita”. La conseguenza? Se le prove trovate dai pm fossero prese per buone dai giudici civili, tra il 40 e il 50% della Dicembre finirebbe nelle mani di Margherita Agnelli. Potrebbero cioè cambiare gli assetti manageriali di tutte le società controllate tramite la holding Exor.

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.

25 dicembre 2024

Il sequestro e la morte di Aldo Moro di Paolo Morando


Sono sempre stato interessato dalle uscite di nuovi libri sul sequestro e sulla morte del segretario della DC Aldo Moro: come scrisse lo storico De Lutiis (autore del libro “Il golpe di via Fani”, titolo non casuale), quanto avvenuto in quei 55 giorni tra il sequesto in via Fani, il 16 marzo del 1978 e la sua morte per mano delle BR il 9 maggio, rappresenta un momento centrale della nostra storia politica. Il declino della prima repubblica, culminato poi con mani pulite iniziò quella mattina.

Per questo ho voluto leggere quest’ultimo “Il sequestro e la morte di Aldo Moro”, primo volume di una serie dedicata al terrorismo italiano del Corriere della Sera, scritto da Paolo Morando, giornalista e scrittore che recentemente ha pubblicato per Feltrinelli un libro sulla strage di Bologna (“La strage di Bologna, Bellini, i Nar, i mandanti e un perdono tradito”, ancora una volta un titolo non casuale).

In queste 160 pagine non troverete che una sintesi di quanto già raccontato in altri voluminosi libri: l’autore ha fatto però una scelta, secondo me azzeccata, nel voler dedicare la prima parte del racconto a come si è arrivati a quel 16 marzo: quel 16 marzo Moro si stava recando in Parlamento dove si sarebbe svolta la discussione per la fiducia ad un nuovo governo, a cui il Partito Comunista di Berlinguer avrebbe dovuto dare la sua fiducia.

Tutto venne interrotto dal rapimento del presidente e dalla strage dei membri della sua scorta: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi, due carabinieri e tre poliziotti.

Come si era arrivati a quell’avvicinamento tra i due grandi partiti di massa della prima repubblica, la DC e il PCI? Cosa aveva spinto la DC, il partito designato a governare l’Italia da Jalta e dagli accordi con gli alleati dopo la seconda guerra mondiale (come fece ininterrottamente fino al 1992) a stringere un accordo col più grande partito comunista dell’Europa occidentale?
C’era stato il golpe in Cile, racconta Paolo Morando e l’intuizione di Berlinguer, già segretario del PCI nel 1973 che al suo partito, sebbene in crescita nelle elezioni, non sarebbe mai stato concesso di arrivare al governo da solo. Affidò i suoi pensieri, e i suoi timori, ad una serie di articoli pubblicati su Rinascita e anche nel corso di discorsi pubblici:

È chiaro che noi comunisti abbiamo sempre lavorato e lavoreremo per accrescere la forza elettorale delle sinistre. Puntare alla conquista massima dei voti alle sinistre (51 per cento e anche di più!) rientra fra gli obiettivi che anche noi perseguiamo.

La nostra critica quindi non è diretta contro la conquista del 51 per cento in sé e per sé, bensì contro una duplice illusione.

La prima illusione è quella di affidare la soluzione dei problemi italiani a una maggioranza di sinistra da raggiungersi essenzialmente per via elettorale, sommando le percentuali via via ottenute, di elezione in ele­zione, dalle varie liste di sinistra, e non anche attraverso la lotta di classe, le lotte di massa sociali e politiche, le iniziati­ve concrete volte a spostare, nel paese e nella società (e poi, quindi, nelle urne e nel Parlamento), i rapporti di forza reali a favore delle sinistre.

Ecco il “compromesso storico”, l’avvicinamento a quella DC che anni di governo, di lotta interna tra le correnti, di scandali anche, avevano in parte logorato.

Attenzione, ricorda Morando, l’idea di Moro non era quella di far entrare al governo i comunisti, ma di renderli partecipi delle scelte di maggioranza, con l’idea anche di fermare la loro crescita. Di fatto, tutti i ministri del nascente governo Andreotti IV erano stati scelti centellinando il peso delle correnti DC, nessuno dei tecnici di area della sinistra inizialmente candidati, erano stati nominati. Cosa che aveva irritato notevolmente Berlinguer, a cui questa notizia era arrivata solo all’ultimo momento.
Le BR, il partito armato nato a sinistra del PCI, a cui la strage di Piazza Fontana, l’illusione del boom economico (che boom non era stato per tutti gli italiani), aveva rafforzato l’idea di uno stato che si abbatte e non si cambia dal suo interno, avevano individuato in Moro l’emblema del “potere” da processare nel carcere del popolo.

Aldo Moro, per usare le parole di Pasolini scritte nel 1975 prima di essere a sua volta ucciso, era sì il meno implicato negli scandali e nelle ruberie, ma era comunque l’uomo degli omissis: quelli che avevano silenziato la vicenda del piano Solo, il tintinnar di sciabole durante l’esperienza dei governi di centro sinistra col PSI di Nenni.

Come anche il diniego alla magistratura che chiedeva informazioni su Guido Giannettini, il giornalista che era anche agente del SID che si riteneva fosse coinvolto nella strage di Milano del dicembre 1969 (ma poi ci pensò Andreotti a togliere il segreto su Giannettini, con una delle sue mosse spregiudicate).

Le BR non erano più quelle dei colpi mordi e fuggi, dei volantinaggi e dei sabotaggi, dei sequestri lampo: nel 1974 c’erano già stati i primi morti, i due esponenti missini padovani, Giralucci e Mazzola. Due morti che Curcio, uno dei fondatori, definì un “disastro politico”.
Il 1977 era stato l’anno del piombo, dei morti per strada, delle gambizzazioni, dell’attacco al cuore dello Stato: lo aveva annunciato, a voler fare un po’ di dietrologia, il generale Miceli al giudice Tamburino (che stava indagando sull’organizzazione golpista Rosa dei Venti a Padova, struttura creata in ambito Gladio in funzione anticomunista), “D'ora in poi non sentirete più parlare del terrorismo di destra, ma soltanto degli altri”.
Gli altri erano le BR che, nell’inverno primavera del 1978, scelsero Aldo Moro come obiettivo da colpire.

Meno azzeccata ma comunque interessante, a mio modesto avviso, la seconda parte, dove l’autore si dedica al sequestro, agli avvenimenti (non ancora del tutto chiariti) di quei 55 giorni nella prigione del popolo culminati col cadavere del presidente lasciato nel centro di Roma, in via Caetani.
Qui l’autore ha cercato di smitizzare il “caso Moro”, come è stata definita questa dolorosa vicenda, smontando tutti punti aperti che poi hanno portato alle varie teorie che, partendo dai buchi della versione ufficiale (tra l’altro basata sul racconto dei terroristi), hanno cercato di arrivare ad una diversa ricostruzione dei fatti.
Nemmeno io voglio seguire la strada del complottismo, ma la verità storica che si è consolidata oggi è frutto dei vari processi celebrati, culminati con condanne all’ergastolo. Verità che si basa però sulla ricostruzione, non sempre verificata, fatta dagli stessi brigatisti nelle deposizione e nel famoso memoriale Morucci – Faranda. Memoriale fatto arrivare al presidente Cossiga nel 1990, all’indomani del crollo del Muro.

Possiamo fidarci di quanto raccontano, anche considerando che nessuno degli esponenti di quelle BR si è mai pentito? Alcuni hanno fatto un percorso di dissociazione, solo Moretti ha scelto non collaborare né dissociarsi.

Lo stesso Moretti, che dopo la cattura di Franceschini e Curcio, divenne il capo delle BR, in una intervista a Bocca si lamentò “l’Italia ufficiale non si è mai rassegnata ad ammettere che l’azione era stata progettata da quattro operaiacci”.

Ecco, come è possibile che quattro operaiacci (le cui armi automatiche si erano pure inceppate quella mattina) hanno organizzato e gestito un sequestro lampo da soli?

Intendo, quell’operazione militare in cui hanno sterminato poliziotti e carabinieri addestrati, hanno potuto muoversi lasciando i loro comunicati in giro per Roma, in una Roma blindata coi posti di blocco per le strade?
Morando riporta poi ricostruzioni fatte da Paolo Persichetti, ex brigatista, che riprende dichiarazioni di Antonio Savasta, altro esponente del terrorismo, ma nessuno dei due era presente in via Fani.

C’erano altri osservatori sopra o attorno alle BR?

C’è ancora qualcosa da chiarire oppure e tutto limpido e trasparente?

Mi riferisco ad alcuni aspetti specifici, già documentati in altri libri, come ad esempio “Complici il patto segreto tra DC e BR” di Stefania Limiti e Sandro Provvisionato, dove si ipotizza un patto tra i brigatisti e i vertici della DC per concordare una verità di comodo

- l’auto dei servizi parcheggiata in via Fani all’incrocio in via Stresa

- il covo di Moretti in via Gradoli, scoperto per una infiltrazione d’acqua perché, così viene spiegato nel libro, Barbara Balzerani avrebbe lasciato la doccia aperta (possibile?)

- il falso comunicato numero 7, fatto da Toni Cucchiarelli: un messaggio alle BR da parte di pezzi dello Stato (lo stesso giorno della scoperta del covo di via Gradoli, in uno stabile dove molti appartamenti erano di proprietà di una società riconducibile al Sisde)

- la dinamica dell’agguato: se tutti i colpi sono venuti da sinistra, da dove sparavano le BR, come mai Leonardo, il capo scorta, con anni di esperienza, non è uscito dalla macchina per rispondere al fuoco?

- c’è poi tutto il tema degli scritti di Moro: le BR aveva dichiarato in uno dei primi comunicati, che tutto il materiale raccolto dall’interrogatorio di Aldo Moro, sarebbe stato pubblicato. Come mai poi hanno scelto di agire diversamente?

- Il memoriale trovato in via Monte Nevoso: ancora una volta, come è possibile che dopo la prima perquisizione fatta ad ottobre 1978 nel covo di Milano (vicino alla casa di Fausto Tinelli, un ragazzo ucciso assieme all’amico Lorenzo Jannucci “Iaio” da assassini rimasti sconosciuti, il suo omicidio fu poi citato in un altro comunicato delle BR), i carabinieri di Dalla Chiesa si siano persi quel tramezzo dove poi, nel 1990, è stato poi recuperato il memoriale di Moro (fotocopie di lettere e degli interrogatori fatti nel carcere)

- Il cadavere fatto ritrovare in via Fani: se è impossibile, come scrive l’autore, che le BR abbiamo cambiato più volte la prigionia di Moro per non essere scoperti, è altrettanti difficile accettare che, in quel 9 maggio 1978, abbiano attraversato Roma con una R4 con dentro un cadavere.

- totalmente assente nel racconto, il ruolo di Pieczenick (il consulente del Dipartimento di Stato a supporto della commissione del Viminale), la presenza della P2 nei vertici dei servizi..

Ben vengano, in ogni caso e comunque la si pensi, libri come questo che cercano di raccontare quegli eventi così importanti, anche con una luce diversa (che vanno anche a ribattere alle dichiarazioni “ballerine” dell’ex ministro Signorile, al centro di un servizio di Report che ha fatto molto discutere). Quello che conta e non rassegnarsi all’oblio: non è dietrologia, o quanto meno non è solo quello, che ci deve spingere a voler cercare altre strade per comprendere cosa è successo.

Cosa è successo nell’Italia in cui il mondo era diviso in blocchi, dove le decisioni sulla nostra politica (e anche sulla linea della fermezza, che portò alla morte di Moro) venivano prese anche fuori dall’Italia, dove la nostra democrazia era a sovranità limitata.

Una democrazia dove la sorte di Moro era al centro di altri tavoli, non solo quello delle BR.

Non creda la DC di avere chiuso il suo problema, liquidando Moro. lo ci sarò ancora come un punto irriducibile di contestazione e di alternativa, per impedire che della DC si faccia quello che se ne fa oggi. Per questa ragione, per una evidente incompatibilità, chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato né uomini di partito.

Aldo Moro, lettera al segretario della DC Benigno Zaccagnini, recapitata il 24 aprile 1978

La scheda del libro sul sito di RCS dove potete trovare gli altri libri della collana sul terrorismo italiano.


22 dicembre 2024

Anteprima inchieste di Report - l’intelligenza artificiale, la chimica nel vino, l’acqua della Basilicata

L’intelligenza artificiale è una opportunità oppure una nuova schiavitù? Il segreto è è governarla e non subirla. Poi un servizio sulle vie del vino, che passano per la chimica, poi il presidente del Coni, Malagò, che ambisce al quarto mandato.

Vivere senz’acqua

Come si vive senz’acqua, o con l’acqua ridotta al minimo? Succede in Basilicata da mesi, eppure sembra che a nessuno interessi, eccetto i lucani.

Non interessa al governo, preso con le sue battaglie contro i magistrati, contro i migranti e gli scafisti sul globo terraqueo. Non interessa nemmeno ai deputati e senatori eletti in questa regione giù al sud.
Per i 140mila abitanti della provincia di Potenza i razionamenti dell’acqua proveniente dalla diga del Camastra, sono cominciati a settembre, prima una volta a settimana, poi tre volte, fino a vivere 12 ore senza acqua tutti i giorni, dalle 18 alle 6 del mattino. Nelle famiglie è aumentata la spesa dell’acqua in bottiglia che viene usata anche per cucinare. Fare le scorte di acqua è diventata la priorità quotidiana, così come centellinarla: quella usata viene usata per scaricare il water e per lavarsi, l’acqua raccolta, va riscaldata ne pentoloni, come mostra la signora Berillo alle telecamere di Report. “E’ il nostro piccolo medioevo” racconta sconsolata, mostrando tutte le bacinelle che usano per lavarsi. Qualche famiglia ha segnalato che non sempre si riesce ad usare l’acqua dai rubinetti, quando arriva: a volte scende un’acqua non limpida, addirittura giallognola, come se fosse una sedimentazione di sabbia sul fondo delle bacinelle.

La situazione diventa ancora più ingestibile per chi ha delle disabilità, o delle ferite da pulire ogni giorno: niente acqua, niente pulizia delle ferite da parte dell’infermiere. Solo sabato l’acqua viene erogata fino alle 23, ma per il resto della settimana le ricadute sul lavoro sono enormi, per i commercianti: “quando staccano l’acqua siamo costretti a chiudere” spiega il signor Antonello Mecca proprietario di un piccolo negozio di alimentari, perché i macchinari alimentati ad acqua (come quello per lo yogurt) non funzionano. Poi ci sono i problemi con i bagni.

Come si è arrivati a questa situazione? Certo, la scarsità delle precipitazione, ma dietro c’è anche una diga, quella di Camastra, che dovrebbe garantire l’afflusso di acqua per tramite della rete idrica, in gestione da Acquedotto Lucano. Si tratta del gestore idrico che fornisce acqua ai 29 comuni nella provincia di Potenza.
La diga non sta funzionando e il gestore si è affidato alle piogge: “sono anni che la diga viene fatta lavorare non alla sua capacità.. per anni questo problema non c’è stato perché ci sono state piogge sufficienti per alimentare il bacino. Poi se ci sono stati errori di programmazione non dipende da Acquedotto Lucano..” commenta l’AD del gestore Alfonso Andretta.
E quando il livello dell’acqua nel bacino della diga superava il limite quest’acqua veniva sversata anche se, nel 2024, per quanto ne sa il gestore, di sversamenti non ce ne sono stati.
Acque del sud (nuovo gestore delle opere idriche in Basilicata, che ha preso il posto del vecchio ente liquidato Eipli) è una partecipata del ministero dell’economia le cui azioni possono essere trasferite a soggetti privati: il presidente è stato l’ultimo commissario liquidatore dell’ente irrigazione (Eipli), nominato dal ministro Lollobrigida nel 2022.
La giornalista di Report ha chiesto conto della situazione in provincia di Potenza al presidente di questo ente, Luigi Decollanz: “da ex commissario e da neo presidente, si sente delle responsabilità sul fatto che oggi la diga è senz’acqua e in quelle condizioni con tutti gli interventi da fare ..”
La risposta del presidente: “prima che arrivassi io nessuno pagava l’acqua a Leipli.. il ministro Lollobrigida con me è stato chiaro, vai e risolti il problema”.
Ma quanto tempo ci vorrà per risolvere il problema, ancora presente? “Realisticamente direi due anni” la risposta del presidente..
A proposito delle opere non ancora realizzate sulla diga di Camastra, come mostrano ad esempio il livello dei fanghi, come mai in questi due anni non sono stati rimossi? “Avevamo bisogno di una provvista finanziaria per far partire i lavori, ora l’abbiamo trovata, 32 ml di euro. Ora dovremmo prelevarli [i fanghi] e depositarli in una discarica per questo tipo di rifiuti, una operazione titanica.”
Ora che la diga è vuota, dovremmo approfittarne per portar via questi fanghi.

La scheda del servizio: LA DIGA DELLA VERGOGNA

di Antonella Cignarale

Collaborazione Enrica Riera

La Basilicata è una regione ricca di sorgenti, ma in 29 comuni della provincia di Potenza si vive da mesi con l’acqua razionata. La diga da cui si attinge la maggior parte della risorsa idrica è a secco e le piogge utili a rifornirla si sono fatte attendere per mesi. Costruita negli anni ‘60, la diga del Camastra non è stata collaudata, quasi dimenticata per le opere di manutenzione di cui era responsabile un ente soppresso e posto in liquidazione da anni. A causa dei ritardi negli interventi di messa in sicurezza dell’invaso, la Direzione dighe del Ministero delle Infrastrutture ha imposto una riduzione dell’acqua accumulabile al suo interno. Per questo motivo, da 5 anni, nei periodi in cui le piogge sono abbondanti, l’acqua accumulata all’interno della diga se supera il limite imposto dev’essere rilasciata. Nonostante il territorio di Potenza sia ricco di acqua, registra anche un record nazionale per le perdite lungo le condutture di distribuzione. E intanto per sopperire all’emergenza idrica si è ricorsi alla captazione del fiume Basento, il più lungo della regione, ma la scelta è osteggiata dalla popolazione lucana a causa dell’inquinamento registrato nel suo passato.

La sfida dell’intelligenza artificiale

Che futuro avremo con l’intelligenza artificiale? Ormai è chiaro a tutti che questa nuova tecnologia costituirà una vera rivoluzione nelle vostre vite e come tale va pensata e governata. Le rivoluzioni di prima hanno liberato una parte dell’umanità dal vendere solo la propria forza animale, le altre hanno portato i nostri occhi e la nostra voce sempre più lontano, i nostri sensi cominciarono ad espandersi, questa nuova rivoluzione estende le nostre menti.
Come nella medicina: l’intelligenza artificiale consente di analizzare una quantità enorme di parametri quantitativi nascoste nelle immagini e aiuta i medici nella loro decisione terapeutica.

L’AI consente di fare calcoli inimmaginabili per gli umani: Leonardo, il supercomputer ospitato alla Cineca, consente di fare 250 milioni di miliardi di operazioni al secondo, questa potenza è usata per l’analisi dei nuovi farmaci, per capire come interagiscono con le proteine, modulandone la propria attività biologica. L’umano comanda queste operazioni, l’intelligenza artificiale da sola non ne sarebbe capace.

Ma insieme permettono di creare nuove realtà, come il gemello digitale di Zurigo: con questo modello si simulano gli impatti di nuovi progetti prima di muovere le ruspe e calare il cemento, capire prima l’impatto delle ombre dei nuovo grattacieli, l’impatto sul traffico, capire prima quale potrebbe essere il fabbisogno energetico.

Fabbriche dove i macchinari dialogano con gli operai per produrre i nuovi prodotti, dove nessuno si fa male.

Tutto questo succede ora: Report con Michele Buono è andata al competence center del Politecnico di Milano, dentro una nuova fabbrica 4.0, ovvero la quarta rivoluzione industriale, la digitalizzazione della manifattura, dove i processi industriali che producono dati diventano la premessa per accogliere l’AI. Ovvero aziende dove i robot collaborano con gli addetti alle macchine, suggerendogli le operazioni che deve fare.

L’intelligenza artificiale sta arrivando anche nelle mani di noi persone comuni: riesce a completare le frasi per noi, le parole diventano numeri – racconta il giornalista nell’anteprima del servizio - le frasi sequenze numeriche e il modello può cercare analogie tra una lingua e l’altra, per effettuare delle traduzioni in tempo reale.

Nel giro di pochi giorni, seguendo queste traduzioni, mi sono ritrovato a viaggiare in Africa” continua Michele Buono: è l’esperienza fatta a Kigali, nel convento dei salesiani. Qui l’AI verrà usata per i corsi di formazione per gli insegnanti di dieci scuole, in collaborazione con la ONG Profuturo.

Le potenzialità dell’AI per migliorare le nostre vite sono enormi: Michele Buono ha raccolto la testimonianza di Matteo Villa, che lavora al controllo qualità della Sacmi un’azienda che si occupa di produzione di macchine e impianti per l'industria della ceramica. Qui usano l’intelligenza artificiale per aumentare e migliorare i controlli sulla qualità dei pezzi. L’intelligenza artificiale è in grado di individuare delle anomalie all’interno del materiale che sarebbero invisibili ad occhio nudo. Se il materiale non è perfetto, nella produzione delle bottiglie ad esempio, il prodotto finale quando si gonfia esplode: il sistema è in grado di controllare tutte le bottiglie e scartare quelle con difetti, ad una velocità che per un umanodove sarebbe impossibile raggiungere (e anche andando a controllare i pezzi a campione).
Come è cambiata l’organizzazione dell’azienda? Abbiamo più gente al lavoro – spiega Paolo Mongardi presidente della Sacmi – più gente che lavora con le tecnologie abilitanti piuttosto che con le mani. Persone che lavorano con l’intelligenza artificiale per il suo addestramento, per aggiornare l’interfaccia del BOT, che da a sua volta assistenza agli operatori, sviluppano algoritmi di AI per l’individuazione dei difetti. Lavori qualificati, che non possono essere (al momento) sostituiti dalla macchina e che prevedono anche salari adeguati. Il fatturato è aumentato ogni anno fino ad arrivare nel 2023 a 2 miliardi, quindi maggiore produttività e questo ha permesso loro di fare dei passi avanti – aggiunge il direttore generale Mauro Fenzi – “per poter aggredire dei mercati dove prima non eravamo presenti, con una efficienza sicuramente maggiore”.

Dall’Italia alla Germania, dove ha la sede la FEES Gmbh: Ebherard Fritz è responsabile del controllo qualità dei materiali, ancora una volta è l’intelligenza artificiale ad aiutare le persone nell’andare a riciclare i materiali di scarto dall’industria edile che arrivano alla discarica.


Dai cantieri arrivano materiali poi ammucchiati, nemmeno si conosce la loro provenienza – racconta a Report: un giorno hanno incontrato Optos Ai, una startup di Tubinga, che parla loro di intelligenza artificiale e di un metodo per riconoscere immediatamente i materiali.

Alla FEES non hanno dubbi: quanto più si conosce dei materiali tanto meglio può essere riciclato e riutilizzato. I camion che arrivano alla discarica sono monitorati da una fotocamera che controlla il contenuto, il sistema di AI di OptoCycle è stato allenato a riconoscere i pezzi e a valutarne la grandezza, se ci sono corpi estranei e impurità, con un grado di precisione molto elevato. Quali vantaggi ha portato per l’azienda questo sistema? “Siamo più veloci nel riconoscimento degli scarti e possiamo produrre del materiale riciclato migliore ”.
Di fatto, ogni camion che arriva consente all’algoritmo di continuare ad imparare e di inviare indicazioni sempre più precise al cantiere su come smistare il materiale. Si riesce dunque a riciclare sempre di più – aggiunge il responsabile qualità della FEES, “il nostro obiettivo è arrivare ad un riciclo del 95%”.

Torniamo in Italia all’Istituto Tecnico Guglielmo Marconi di Bergamo: il preside ha lanciato una sfid, inserire un nuovo allievo in una classe, “un tipo un po’ testone che non sa nulla di nulla, ve lo affido, insegnategli la Divina Comedia”.

Il nuovo allievo è un totem equipaggiato con l’intelligenza artificiale: i ragazzi hanno raccolto la sfida iniziando ad inserire i dati. Cominciando da tre frasi di training, per esempio sui principali personaggi sono presenti nel canto I del Paradiso.

Per verificare la preparazione degli studenti la professoressa ha interrogato anche il totem, che è stato capace di rispondere alle domande basilari.

Successivamente gli studenti hanno analizzato la parte retorica sui singoli canti trasformandola in domande e risposte: ad es, cosa succede quando i due viaggiatori incontrano Catone? Catone scambiò Dante e Virgilio come due dannati scappati dall’inferno.. Man mano che i ragazzi inseriscono nuovi dati, il totem diventa sempre più capace di dare risposte complesse.
Risultato di questo lavoro? I ragazzi hanno studiato bene Dante, senza accorgersene più di tanto, ciascuno ha dato il meglio di sé.

Introdurre in un’aula l’AI ha ribaltato i ruoli nella scuola: i ragazzi hanno chiesto poi alla docente di insegnare al totem l’opera di Alessandro Manzoni.

Cosa è successo? “L’insegnante non è più creatore di contenuti, ma deve sviluppare delle esperienze di apprendimento in cui lo studente deve far apprendere al sistema di intelligenza artificiale, quello che avrebbe appreso lui” – commenta il preside dell’ITIS.
Tutti hanno un ruolo attivo, dall’insegnante coordinatore della ricerca e non più vigile urbano che rileva infrazioni, allo studente: “spero che l’insegnante del futuro sia più un allenatore che un giudice”, che impara assieme alla sua squadra a guardare lontano.

C’è poi il campo medico: Report racconterà di come l’AI viene usata nel policlinico Gemelli per supportare il lavoro dei medici. Qui informatici, matematici, fisici lavorano insieme ai medici per elaborare i dati raccolti dal policlinico, storie cliniche, date di ricovero, analisi per tutti i pazienti, dall’unita di Data scientist. Gli algoritmi dell’intelligenza artificiale sono in grado di predire la degenza dei pazienti, tutto questo consente una programmazione dell’assistenza in modo più efficiente.

Un altro data scientist analizza i dati provenienti dal reparto malattie infettive: lo scienziato dei dati lavora assieme ad infettivologo per identificare delle ricorrenze statistiche per prevedere in base alle premesse cliniche come potrebbe evolvere il quadro clinico di un paziente. Per esempio se arriva un paziente con febbre e un alto valore di globuli bianchi, qual è la probabilità che abbia un batterio nel sangue?

La scheda del servizio: LA GRANDE TRASFORMAZIONE

di Michele Buono

Collaborazione Stefano Lamorgese, Filippo Proietti, Silvia Scognamiglio

L'intelligenza artificiale è diventata accessibile non solo alle grandi aziende tecnologiche, ma anche alle persone comuni. Promette e sta dimostrando di accelerare la produttività industriale creando quindi una maggiore produzione di valore e sta contribuendo a progressi significativi nella sanità e nella ricerca scientifica. Che cosa occorre perché questa trasformazione diventi una opportunità sociale ed economica? Mostreremo vari casi di studio e noi stessi diventeremo caso di studio: porteremo in Africa un ecografo che, grazie all’intelligenza artificiale con cui è equipaggiato, abilita anche persone non esperte a effettuare ecografie i cui file possono essere inviati in telemedicina ai centri medici. Un test in condizioni estreme per provare gli effetti abilitanti dell’intelligenza artificiale

La chimica nel vino

Si torna a parlare di vino (dopo l'inchiesta dello scorso febbraio, Il nemico in casa) e delle aziende che producono un vino usando la chimica per dare al prodotto imbottigliato un colore e un sapore che vanno incontro ai gusti delle persone.

Come già detto, non tutti i viticoltori e le aziende che producono vino si comportano così, ma è bene che le mele marce, non poche, siano fermate per non danneggiare un’intera categoria.
Report questa sera racconterà della Cantine Borghi, tra i più grandi commercianti di vino in Toscana che fornisce le più famose cantine. Tra i fornitori di Cantine Borghi c’è l’azienda Vinicola San Nazaro a Mantova: come producono il vino in questa azienda? Per i clienti l’azienda svolge lavori di concentrazione di mosti e vini, desolforazione, rettifica, filtraggio e stabilizzazione.

Lavoriamo tanto con i filtri” racconta al giornalista di Report la responsabile della produzione, “perché tutto il prodotto viene lavorato in mille modi”.
Mettono a disposizione un catalogo da cui partire per costruire il vino desiderato: un bianco di 11 gradi, base bianca, base trebbiano, ma “c’è comunque del frutto”, che può essere usato per tagliare altri vini – racconta la responsabile dell’azienda.

Si può scegliere la gradazione, se si vuole 11 o 12 gradi – aggiunge: questo vino si potrebbe prendere come base per sistemare i vini come si preferisce.

La responsabile mostra anche un vino rosso, “otto punti di colore, base sangiovese,può arrivare fino a quattordici, sempre vino da taglio per fare massa insomma”.

Si tratta di vino acquistato dai commercianti per fare masse di vino con le stesse caratteristiche di sapore, gradazione e intensità di colore. Come un prodotto di serie fatto in fabbrica.

Per colorare il vino si usa un prodotto particolare:un rossissimo che è meglio non assaggiare perché è molto tannico, che è quaranta punti di colore, “vi faccio un esempio, si tinge il bianco per farlo diventare rosso, ovviamente se ci metto bianco in abbondanza, ottieni un rosato.. ovviamente anche qui ci sono delle tendenze quindi ogni due o tre anni cambiano anche quelle che sono le richieste”.
Ogni anno Cantine Borghi compra decine di migliaia di euro di prodotti da Vinicola San Nazaro: una volta ottenute le caratteristiche richieste dai clienti, Borghi mette il vino nelle autocisterne e lo invia. Nel 2023 Cantine Borghi vende 420mila euro di vino Toscano alla società agricola Citai che gestisce la tenuta San Guido a Bolgheri, i produttori di uno dei vini più famosi al mondo, il Sassicaia.

Ma come si fa a far risultare Toscano un vino che proviene invece da fuori regione? Lo spiega, in forma anonima una imprenditrice del Chianti: queste aziende comprano il vino da altre regioni, Puglia, Sicilia, mettono sul certificato Chianti e dunque diventa Chianti. Il meccanismo spiegata da questa produttrice che vende vino ai commercianti Toscani, si basa sul “massimale di produzione per ettaro” stabilito dal disciplinare: “in base agli ettari di vigna che hai si stabiliscono dei controlli e ti dicono questa vigna può produrre fino a mille quintali e se tu non ce la fai ad arrivare a mille perché c’è stata poca pioggia o per qualsiasi motivo di malattia e ne produci solo 800, quei 200 per arrivare a mille diventano carta”.

Ovvero arriva un camion vuoto all’azienda e ritorna poi al commerciante del vino vuoto, ma il camion viaggia con una carta che dice che ci sarebbe il vino (Toscano) dentro. Il documento coi finti quantitativi consente al commerciante di mascherare la provenienza del vino da altre regioni. Si può acquistare vino da tavola da altre regioni a basso prezzo, ma anche del vino schifoso, “perché tanto lo rilavorano” e poi mettono su questo vino l’etichetta del Chianti, lo fanno passare come 200 ettolitri di Chianti.
Questa imprenditrice ha ammesso di aver venduto con il meccanismo della “carta” del vino a Borghi: è un meccanismo diffuso in regione, ha deciso di raccontarlo ora a Report “perché sarebbe ora di farla finita”.

Eppure il Chianti e il Chianti classico dovrebbero essere prodotti da uve provenienti da una zona specifica in Toscana, ma stando alle fatture, Cantine Borghi compra nel 2020 vini non toscani per 3,5 ml di euro, il 25% del totale. I documenti, le bolle di accompagnamento per le altre aziende a cui vende, come la Ruffino, parlano di Chianti classico e Chianti Docg.
Tra i clienti anche la cantina di Cecchi, presidente del consorzio Vino Toscana IGT: dovrebbero produrre solo vini toscani e umbri. Cosa hanno comprato da Cantine Borghi per produrre il loro vino? “Non lo so” risponde il presidente Cecchi “bisogna andare in azienda e vedere cosa vende.. Se Borghi vende il Chianti io posso usare solo il Chianti, ma non è la mia azienda .. è una prassi comune, se poi dai documenti che lei ha risulta che Borghi vende qualcosa che non è corretto, bisogna chiederlo a Borghi”

Alla Cantina Sociale dei Colli Fiorentini arrivano le uve dei soci: qui si produce il vino del Chianti, il 20% è imbottigliato da loro e il restante ad altri imbottigliatori della Toscana o fuori della regione, coi loro marchi. I clienti sono importanti, Ruffino, Sensi, Piccini, grandi produttori di Chianti: sulle bottiglie del marchio Ruffino c’è scritto quasi sempre “imbottigliato da”, raramente è scritto “imbottigliato all’origine da..”: la differenza è sostanziale, solo nel secondo caso la cantina ha prodotto veramente il vino dalla vigna fino alla bottiglia.
Che garanzia da il fatto che un imbottigliatore sia anche produttore? Un imbottigliatore può andare sul mercato – spiega Ritano Baragli presidente della Cantina Sociale Colli Fiorentini – “e trovare un venditore con lo stesso vino uguale al mio e però io glielo vendo a cento, l’altro glielo vende ad ottanta”.

La scheda del servizio: TOP OF THE WINES

di Emanuele Bellano

Collaborazione Raffaella Notariale, Madi Ferrucci

La Toscana è l'area d'Italia da cui provengono alcuni dei vini più famosi: Bolgheri, Chianti Classico, Supertuscan. Sono marchi che hanno conquistato il mondo e arrivano a costare diverse migliaia di euro a bottiglia. Chi decide di spendere così tanto per un vino, sa che sta comprando un prodotto esclusivo, la cui produzione pregiata è resa unica dalle caratteristiche irripetibili del terreno, del clima e dell'esposizione dei vigneti dove crescono le uve e dalla sapienza decennale di chi seleziona i grappoli migliori e li fa diventare vino. Questo è quanto trasmettono ai consumatori la pubblicità, le schede tecniche e le etichette dei vini più blasonati. Grazie a una serie di documenti esclusivi, Report svela una realtà ben diversa da quella raccontata da cantine ed enologi. Alcuni nomi del vino toscano acquistano ogni anno enormi partite da commercianti di vino che, a loro volta, acquistano vino sfuso attraverso mediatori e grossisti. Il vino viene migliorato con correttivi che vanno a incidere su colore, gradazione e sapore e poi venduto ai grandissimi marchi che, così, riescono a garantirsi la materia prima per produrre il numero di bottiglie che il mercato richiede loro. Si tratterebbe di vino che, a volte, proviene anche da fuori regione e che poi, con l'aiuto di carte e documenti ad hoc, come rivelano alcuni testimoni, verrebbe trasformato in vino toscano, Chianti o Chianti Classico.

Il quarto mandato di Malagò

Entro gennaio si dovrebbe sapere se Malagò otterà o meno il quarto mandato alla presidenza del Coni. Al momento, l'interessato si dice fatalista..

La scheda del servizio: LA POLTRONA DI MALAGÒ

di Carlo Tecce e Lorenzo Vendemiale

Il futuro di Giovanni Malagò ormai è diventato un tormentone: il n.1 dello sport italiano, arrivato al termine del terzo mandato previsto dalla legge, a giugno 2025 dovrà lasciare il Comitato olimpico, ma da mesi sta cercando di ottenere una deroga dalla politica. Ma come ha gestito negli ultimi 12 anni il Coni, un ente pubblico? Attraverso storie e testimonianze inedite, Report racconta come Malagò ha costruito il suo sistema di potere e di consenso, attraverso una fitta rete di rapporti personali che si intrecciano con quelli istituzionali, sfiorando spesso il conflitto di interesse. L’inchiesta proverà a rispondere alla domanda che tutti, compreso il governo Meloni, si pongono in questi giorni: merita davvero la riconferma alla guida dello sport italiano?

Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.