09 settembre 2007

Infiltrato – la mia vita in Al Qaeda di Omar Nasiri

Omar Nasiri è il nome di comodo scelto dall'autore del libro per raccontare le sue memorie di infiltrato nella rete terroristica conosciuta come Al Qaeda.
Il libro è una sorta di viaggio, da parte di Omar, verso le due origini. Dai primi contatti con i terroristi del GIA in Belgio, nei primi anni 90, quando in Algeria scoppiò la guerra civile in seguito all'annullamento delle elezioni vinte dal FIS, da parte del governo. La casa della madre in Belgio era il centro operativo dove venivano stampate copie di “Al Ansar”. Sebbene non fosse spinto inizialmente da spinto ideologiche, Omar divenne una spia più per opportunismo che non per una scelta morale. Per un furto di soldi ai “fratelli”, per sfuggire alla vendetta e alla morte, si offrì al servizio segreto francese d'oltremare, la DGSE.

La Francia lavorava assieme al Belgio per contrastare il terrorismo, che veniva percepito solo come una minaccia nazionale, senza comprenderne la nascente struttura internazionale, cui la rivista Al Ansar fu pioniera nell'unificare le reti militanti nei vari paesi: Francia, Belgio, Algeria, Bosnia, Cecenia.
Furono gli attentati alla metropolitana del 1995, il dirottamento dell'Air France nel dicembre 1994 (forse per un attacco alla Tour Eiffel), che le autorità belghe e francesi effettuarono una serie di arresti.

Dopo i raid, Omar non potè rimanere in Belgio, qualcuna delle persone che avevano frequentate la sua casa poteva riconoscerlo e considerarlo un traditore. Gilles, il suo manovratore del DGSE lo portò al reclutamento nei campi in Afghanistan per diventare un mujahidin.

La parte centrale del libro riguarda il periodo tra il 1995, 1996, nei campi di Khaldan e Darunta. Omar entra in contatto con il palestinese Abu Zubayda, ritenuto il reclutatore di Al Qaeda e custode di un certo numero di campi afgani.
I campi giocarono un ruolo fondamentale nella transizione dal jihad formativo con base in Afghanistan (Omar imparò l'uso delle armi, la fabbricazione e la manipolazione di esplosivi) degli anni ottanta, al jihad multinazionale degli anni novanta, fino alla nascita del jihad globale sotto Al Qaeda.
L'autore racconta della sua scoperta di essere sempre stato un musulmano vero, di voler combattere come i mujahidin che lo hanno affascinato nei film di propaganda antisovietica.

Ma anche, d'altro canto, la consapevolezza di non essere in grado di oltrepassare una certa linea che separa i combattenti, dai fanatici sanguinari, che uccidono donne anziani e bambini.
Negli occhi dei giovani combattenti che arrivavano ai campi vedeva l'odio che originava dall'aver assistito alla violenza della guerra portata avanti dalle nazioni occidentali contro il popolo musulmano. E la religione musulmana prevedeva che quando un musulmano è minacciato, tutti devono combattere per la sua salvezza. È la umma.

Emerge anche un'altra considerazione dalle memorie (le uniche che ci sono arrivate) dai campi: la diffidenza dei mujahidin nei confronti degli afgani (per la paura delle spie); quella nei confronti dei talebani, sospettati di voler chiudere i campi e di voler sequestrare le armi. Erano anche considerati come pericolosi innovatori religiosi, al pari degli sciiti. Mentre i sostenitori della jihad mondiale “Nell'Islam non esiste innovazione. Esiste solo il Corano, la Sunna”.
La situazione in Afghanistan era molto caotica: solo l'ascesa dei talebani dopo il 1996, l'accordo tra il mullah Omar e Bin Laden, mediato dai servizi segreti pakistani (ISI), portò a questa alleanza di convenienza.
Anche rapporto di Bin Laden e di Al Qaeda coi mujahidin viene chiariti: il campo di Khaldan era gestito dall'emiro Ibn al-Sheikh al-Libi, un combattente della guerra contro i russi. Questi riceveva finanziamenti dagli arabi, ma era considerato un operatore indipendente: solo dopo il 96, quando Bin Laden tornò in Afghanistan, operò sotto il vessillo di Al Qaeda.
Dopo la sua cattura da parte della CIA, Omar Nasiri sostiene che al-Libi sotto tortura rivelò che l'Iraq aveva addestrato Al Qaeda all'uso delle armi di distruzione di massa. Confessione che fu poi citata dal vicepresidente Colin Powell alle Nazioni Unite.

Quante persone passarono per i campi afgani, addestrati al terrorismo? Secondo alcune stime si parla da dieci a ventimila individui. Forse addirittura centomila. Quando gli americani si resero conto che tutte le strade del terrorismo di matrice islamica portavano all'Afghanistan, iniziò a circolare il nome di Bin Laden. Mancavano ancora 4 anni all'undici settembre.

Dopo il suo ritorno in Europa, Omar fu spedito a Londra. Qui sperimentò l'amarezza nel constatare l'impreparazione e la sottovalutazione da parte dei servizi europei del pericolo dell'estremismo islamico, che si andava man mano organizzando (grazie ai finanziamenti di Bin Laden) e si preparava a combattere la sua jihad mondiale per la riconquista del califfato.
In particolar modo gli inglesi che, dietro il diritto alla libertà di espressione, si preoccupavano di potenziali attentanti in territorio inglese, che non dei discorsi grondanti odio nelle moschee di Londra da parte di fanatici religiosi come Abu Qatada e Abu Hamza.
Londra veniva chiamata dai servizi francesi “Londonistan”, per la tolleranza con cui trattava predicatori e terroristi, bloccandone l'estradizione verso paesi esteri, come nel caso di Rachid Ramda. Anche lui collabroatore di Al Ansar e coinvolto negli attentati alla metropolitana di Parigi. Cospirare in Inghilterra per commettere azioni terroristiche all'estero non era reato. Per questo gruppi come il GIA, le Tigri del Tamil, Hamas usarono Londra come centro. Fino all'11 settembre 2001.

La minaccia di Al Qaeda fu presa in maggiore considerazione anche dopo la Fatwa lanciata nel 1998 da Osama Bin Laden contro gli ebrei e i crociati: “uccidere gli americani e i loro alleati è un dovere individuale di ogni musulmano”. Poco dopo avvennero gli attentanti alle ambasciate in Tanzania e Kenya.

La carriera di Omar termina col suo trasferimento in Germania, con la sua decisione di abbandonare questo lavoro, la spia e di sposarsi con la donna che amava, Fatima. Abbandonato dai servizi europei che lo avevano pilotato e che non usarono al meglio le sue informazioni, perchè fallirono nel comprendere quanto stava avvenendo, decise di scrivere le sue memorie nel luglio 2005. Dopo gli attentanti a Londra.
Gli agenti dei servizi tedeschi, che contattò dopo gli attentati alle Torri Gemelle nel 2001, respinsero il suo aiuto.

Un libro indispensabile per comprendere il terrorismo islamico, le sue radici ideologiche, la sua crescita, il suo radicamento in quei paesi che hanno subito la violenza occidentale (come la Cecenia). Chiunque ha a che fare con la lotta al terrorismo dovrebbe leggere le memorie di Omar Nasiri: la sua testimonianza di musulmano e il suo disgusto nel vede l'islam usare le stesse armi e le stesse tattiche del nemico.
“Se noi in quanto musulmani ci permettiamo di diventare come loro, vale a dire come voi, allora non resterà più nulla per cui combattere. Questo è il mio jihad”.

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