08 novembre 2013

La disfatta del Piemonte

Ultima parte del saggio di Filippo Astone “La disfatta del nord”: la disfatta del Piemonte e dell'Italia abbandonata dall'auto.

Si parla dell'abbandono dell'Italia da parte della Fiat e degli Agnelli, gli imprenditori che pur essendo stati generosamente aiutati dal nostro paese, stanno abbandonandolo in favore dell'impegno in Chrysler.
Le immagini di Presa diretta hanno raccontato del deserto industriale attorno Torino, la città del nord più povera che rischia di diventare solo un enorme città dormitorio.
Tutto questo a causa del calo di produzione della Fiat che ha messo in crisi l'intero indotto.


Tutto è diventato chiaro nel settembre 2012 quando Fiat annunciò l'abbandono del piano
“Fabbrica Italia” (quei 20 miliardi che forse esistevano solo sulla carta) perché la crisi aveva peggiorato le previsioni del mercato in Italia.
Una separazione uni-consensuale, che è figlia anche del calo di produzione del gruppo Fiat nel nostro paese, che dal 2007 si è dimezzato, facendo cadere l'Italia al 22 esimo posto come produttore d'auto (nel 2004 eravamo al 11 esimo posto).
Ma se si esclude l'Italia, la quota Fiat in Europa è del solo 3%.

La testa del gruppo è ora in America dove si sta negoziando il prezzo per rilevare le azioni restanti di Chrysler (contrattazione col sindacato Veba).

Dobbiamo immaginare uno scenario dove in Italia rimarranno solo metà dipendenti su due o tre stabilimenti, per produrre solo modelli di lusso.

La testa, comunque, sarà fuori dall'Italia: come la chimica, l'elettronica, la metallurgia, il tessile, abbiamo perso anche il settore dell'auto.
A Marchionne scade il mandato da AD nel 2014 e, guarda caso, ha chiesto due anni di cassa integrazione per i suoi stabilimenti a gennaio: per questo può dire che non intende chiudere nessuno stabilimento, in Italia. Perché ci pensa la cassa integrazione, ovvero L'INPS, a tenerli in vita.

Alla sorte di questi ci penserà chi arriverà dopo, nel 2014.

Questa decisione nasce dal “Contrattone”, il contratto firmato il 10 giugno 2009 con Chrysler e i governi di USA e Canada: un contratto di acquisizione da parte di Fiat ma dove, a veder bene, è Chrysler che compra (i motori, il know how ..).

La Fiat non se ne va dall'Italia, diminuendo produzione e utili, per colpa dell'articolo 18, di confindustria, dei sindacati come la Fiom poco flessibili (o poco propensi a bersi tutte le promesse). Non è nemmeno colpa della crisi, ma è tutto dentro le clausole del contrattone. Ci sono delle clausole precise: Chrysler viene ceduta se Fiat apre la rete commerciale in Brasile (dove le vendite sono buone) ai suoi veicoli, a discapito di quelli Fiat.
Una clausola dice che Fiat deve dare massima garanzia di occupazione in America, non in Italia.
Infine il prezzo d'acquisto è inversamente proporzionale alle auto prodotte in Italia e direttamente a quelle prodotte oltreoceano.

Ecco perché dal 2009 non escono nuovi modelli, se non restyling.
Tutta l'operazione di acquisizione costerà, stima l'autore, circa 2 miliardi, per una azienda che vale circa 15 miliardi di euro: quando verrà quotata in borsa le azioni comprare verranno anche rivalutate.

Gli Agnelli saranno l'unica dinastia dell'auto a non investire nel proprio prodotto e a perdere il controllo del proprio brand.
Già nel passato, comunque, gli Agnelli avevano deciso di diversificare i propri investimenti in energia, creando holding diversificate.
Ma questo abbandono risulta tanto più grave se si pensa ai soldi sottratti al fisco proprio mentre chiedevano aiuti allo stato (come ha rivelato Margherita durante la querelle sull'eredità): secondo la procura di Milano si parla di 1 miliardo di euro.

Il Contrattone è consultabile al link del sito internet del tesoro USA “Amended and restated limited liability company operating agreement pf Chrysler group llc” (lo trovate qui e qui).

Il piano Fabbrica Italia, dicono un molti, è stato un'enorme arma di distrazione di massa: anziché della clausole di questo si è preferito parlare, inutilmente di articolo 18, dei 20 miliardi, della produttività in Italia.
Tutti soggiogati dallo spot di Tognazzi.
La politica e i sindacati non hanno fatto nulla per chiedere spiegazioni a Marchionne, chiedere conto delle promesse.

Monti ha partecipato alla grande kermesse mediatica durante la sua campagna elettorale: il piano dai cuori forti.
Letta, assente ingiustificato, come del resto anche Passera e via discorrendo.


La bufala del costo del lavoro:
il costo del lavoro incide al 7-8% sul costo totale di un'auto. Produrre 200000 auto (utilitarie) in Polonia costa 18 ml di euro, produrre le stesse in Italia (che sono però modelli di lusso) costa 48 ml.
E sulla produttività in Italia, bassa, incide la cassa integrazione, il fatto che in Polonia si producono utilitarie.

La Fiat non crea nuovi modelli nuovi per colpa della recessione (non venderebbero dice l'AD): ma i concorrenti stanno facendo proprio il contrario. Sintomo del desiderio da parte della Fiat di ritirarsi dal nostro paese.
Spiega Luciano Gallino in un intervista riportata nel libro che, probabilmente, ad essere sacrificato a discapito dello spostamento in America, sarà lo stabilimento di Mirafiori e gli enti centrali del Lingotto.

Giulio Sapelli, intellettuale torinese, vede anche un aspetto di geopolitica dentro questa vicenda: “il declino della Fiat è un prezzo dell'allontanamento dell'Italia dagli Stati Uniti”, che ricorda anche i buoni rapporti di Gianni Agnelli con Kennedy e Kissinger.

Ora, nell'affare Chrysler Fiat, quest'ultima ci mette i suoi brevetti, i motori, la sua rete di vendita. Non è affatto un affare gratis per Marchionne, che invece dovrà rispettare delle precise condizioni.
Dopo la firma del Contrattone, Fiat fa due scelte: la promessa del piano Fabbrica Italia e conduce una campagna per rivedere i i diritti acquisiti dagli operai (e allontanare la Fiom dall'azienda).

Abbandona Confindustria, colpevole di essere un pachiderma burocratico costoso e inutile.
E così, da sola, può contrattare coi sindacati firmatari, più accomodanti, senza passare per Federmeccanica.

Agli operai Marchionne chiede, o impone, una cultura di povertà: lavorare di più, con meno pause, con più straordinari.
Dal 2004, quando ha iniziato a guidare la Fiat, Marchionne si accorge della scarsa produttività solo nel 2009, dopo che ha firmato l'accordo con Chrysler.
E pensare che nel 2006 diceva che “il costo del lavoro rappresenta solo il 7-8%” e “dunque è inutile picchiare su chi sta alla catena di montaggio”.

Si arriva al referendum: “si può votare liberamente, ma se vince il no [all'accordo] vengono chiusi gli impianti e si va tutti a casa”.
Referendum il cui si è appoggiato da quasi tutti i leader della fu sinistra.
Effetto del referendum? Nulla. Non solo, a Pomigliano, ad essere assunti nella newco (che ha preso soldi pubblici) sono operai non tesserati Fiom. E quando un giudice chiede l'assunzione di 19 tesserati Fiom la Fiat ne lascia altrettanti in mobilità. Scriverà Gad Lerner, che è come se fossero “ostaggi di una guerra”.

Il piano Fabbrica Italia era poco credibile: qualche slide su powerpoint e non un accordo con sindacati e governo. Prometteva di produrre oltre un milione e mezzo di vetture: ma quali modelli? E con quali catene di fornitura?
Nemmeno la Consob, che dovrebbe vigilare sul titolo Fiat in borsa, era riuscita ad avere maggiori dati su questo investimento.


I finanziamenti presi dalla Fiat.

Finché le cose sono andate bene, i soldi che lo stato ha dato come aiuti, alla Fiat, sono poi ritornati in termini di tasse e di benessere per il paese.
Prima del 1990 non sappiamo nulla: le stime dal 1990 al 2000 sono state fatte dal senatore Mucchetti nel libro “Licenziare i padroni”: la Fiat ha ricevuto 7,1 miliardi, dei quali cinque come aiuti di Stato. Lo Stato ha ritirato 3,2 miliardi di imposte, dunque il saldo, tolti i dividendi agli azionisti, è in negativo di 1,8 miliardi.
Calcolo che non tiene conto degli effetti benefici a cascata dell'industria.

Dal 1990 ci sono poi contratti di programma: come i 1,3 miliardi di euro per lo stabilimento di Melfi.
20 milioni per Mirafiori, 20,5 milioni per Pomigliano.

L'analista finanziario Alfonso Scarano ha analizzato il Contrattone mettendo in evidenza la correlazione tra l'andamento Fiat e la scalata in Chrysler: “tanto peggio va la Fiat (auto) e più conveniente sarà per il gruppo acquisire le quote previste nell'accordo”.
Ecco spiegato, forse, la separazione tra Fiat auto e Fiat industrial, che ha danneggiato l'auto.

“Se continua questa teatralità da parte dell'azienda e del governo ci saranno solo ristrutturazioni e piani di cassa integrazione”, conclude l'analista.

Perché i governi, questo governo, non hanno fatto nulla? Perché lasciano che Fiat abbandoni il paese in questa maniera, lasciandosi dietro enormi problemi sociali e industriali?


Altri capitoli del libro

Il falso mito dell'eccellenza lombarda
http://unoenessuno.blogspot.com/2013/11/il-fallimento-della-lega.html


La disfatta del nord, di Filippo Astone (Longanesi editore)
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