La settimana scorsa c'è stato un grave incidente sulla linea per Bergamo delle Trenord: una ambulanza è stata investita da un treno locale, mentre attraversava i binari. Le sbarre si erano alzate nel momento sbagliato: colpa di un errore umano, hanno anticipato i telegiornali.
Nella Lombardia del 2013, è possibile che non ci siano automatismi, controlli e che sia tutto affidato all'uomo (sempre che sia vera l'ipotesi della responsabilità umana).
Ancora una volta dobbiamo sperare che sia un'inchiesta della magistratura a fare luce su eventuali malfunzionamenti o inefficienze delle nostre linee ferroviarie, quelle dove si spostano ogni giorno migliaia di persone (e che anche incrociano anche le strade degli automobilisti).
Nel passato ci sono stati altri episodi di problemi ai passaggi a livello, anche su altre linee di Trenord: problemi che hanno costretto i convogli a viaggiare a vista, quando passavano nelle città, con la conseguenza di accumulare ritardi.
Perché anche questo è nella vita del pendolare: sapere a che ora parti alla mattina ma non sapere quando si arriverà al lavoro, o a casa la sera.
Oggi sul FQ c'è un articolo proprio sui pendolari e sulle loro esperienze di viaggio
Pendolari KO: meno linee, più soldidi Vincenzo Iurillo, Roberto Morini, Tommaso Rodano, Francesco Tamburini, Giulia Zaccariello
Sono almeno 2 milioni e 903 mila (secondo il rapporto Pendolaria di Legambiente). Sono i pendolari italiani. Quanti gli abitanti di una metropoli. Ma loro passano buona parte delle loro giornate sui treni, pullman, bus. Non per sfizio, ma per andare a lavorare. Intanto a causa della crisi e della cattiva politica si registrano tagli del 10-15 per cento ai servizi. E corrispondenti aumenti a botte del 10-20 per cento l’anno (l’ultimo è stato annunciato da Trenitalia proprio nei giorni scorsi). Ma dimenticare i pendolari non significa soltanto spreco di denaro e ricadute enormi sull’inquinamento e il traffico delle città. Significa “rubare” a donne, uomini e molti giovani fino a mille ore l’anno. Cinquanta giorni trascorsi su treni e pullman, talvolta indecenti. Tempo sottratto alla vita. Ecco come vivono i pendolari italiani sulle linee più famigerate.
1. Milano-Novara, impresa salireMilano, stazione di Piazza Repubblica. Chi sceglie di pagare il biglietto con la carta di credito si mette in coda, perché solo una delle quattro macchinette presenti accetta le carte magnetiche. "Sono rotte da una vita”, dice uno dei ragazzi in fila. Ecco il biglietto da visita. Sono passate da poco le 18 e sta per arrivare, con cinque minuti di consueto ritardo, il treno della linea suburbana S6, l'incubo di tutti i pendolari che vivono sul tragitto che va da Milano a Novara e lavorano nel capoluogo lombardo. Ancora prima che il convoglio si fermi, la folla si è già divisa in gruppetti in corrispondenza delle porte, con la speranza di ottenere un posto a sedere oppure, più realisticamente, almeno di riuscire a salire. "Cinque minuti di ritardo non è niente, siamo abituati a ben peggio, come le cancellazioni", spiega Patrizia, impiegata di Magenta. Saliti a bordo, i pendolari tirano un sospiro di sollievo. Ma è ancora presto per rilassarsi. Tutti i posti a sedere sono occupati dai primi fortunati e la gente si ammucchia vicino alle porte e sugli scalini bloccando il passaggio. Basta il minimo imprevisto per fare scatenare litigi. A ogni fermata, intanto, i passeggeri sono sempre più numerosi. E ai pendolari che lavorano a Milano si aggiunge, alla fermata Villapizzone, un fiume di studenti universitari del Politecnico. A un tratto buio: si spengono le luci del vagone. Qualcuno è stupito, ma la maggior parte dei passeggeri non batte ciglio. L’importante è arrivare. Vivi.
2. Milano linea 91, il lusso di respirareLunedì mattina, ore 8.00. Ventidue persone alla banchina tra Viale Romagna e Piazzale Susa aspettano la 91, l'autobus che attraversa Milano passando attorno al centro, lungo la circonvallazione esterna. Il bus arriva puntuale, ma prima di partire è già pieno. Al punto che buona parte dei presenti non riesce a salire. Peggio della metro di Tokyo. C'è anche una ragazza con un figlio neonato. Rinuncia. Piazza Piola, scende un gruppo di studenti universitari del Politecnico e si torna a respirare. Ma la tregua non dura molto. L’autobus inizia a percorrere la circonvallazione e comincia a riempirsi di nuovo: salgono uomini in giacca e cravatta, ma anche studenti e molti stranieri. Tra questi c’è una donna indiana che aiuta il figlio a ripassare l’ultima lezione di inglese. Fino a quando il mezzo è talmente affollato da non riuscire a tenere aperto il quaderno. E scatta il battibecco. “Può spostare il braccio?”, dice rivolgendosi a un signore, che risponde visibilmente infastidito: “Non è colpa mia, mi spingono per provare a salire”. Ordinaria amministrazione sulla linea 90-91.Da qui in poi è sempre peggio. Piazzale Lugano: una ragazza prova comunque a salire con un passeggino. Inizia così un vero lavoro di squadra per aiutarla, con due giovani che prendono le ruote davanti e un altro che fa spazio. Altre fermate, ma decine di persone guardano sconsolate il bus passare, restano sul marciapiedi. Arriveranno tardi.Le altre storie le potete trovare sull'articolo del Fatto Quotidiano.
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