11 novembre 2013

Report: brevetti, dismissioni, cave e made in Italy

Sono diversi gli argomenti affrontati nei servizi che andranno in onda questa sera a Report.

Si inizia con la questione dei brevetti sui semi delle piante (mais, colza,..): oggi le prime tre multinazionali del seme detengono il 53% del mercato mondiale di semenze, col risultato di controllare la produzione degli agricoltori. E che nessuno si azzardi a piantare da sé semi nei propri campi: possono arrivare i controllori di queste grosse multinazionali a chiederti di pagare il brevetto.
L'insostenibile brevetto, di Piero Riccardi
...Per fare un tavolo ci vuole un albero, ...per fare un fiore ci vuole un seme”, così cantava Sergio Endrigo, riprendendo una filastrocca di Gianni Rodari. Era il 1973. Un anno dopo due ricercatori americani, Watson e Crick, presentavano al mondo l’elica del Dna. Così, se Endrigo quella filastrocca la cantasse oggi, dovrebbe dire che per fare un seme ci vuole un brevetto.Un viaggio inchiesta nell’intreccio che lega industria chimica e semi coperti da copyright. Secondo uno studio della Fao, negli anni ‘70, c’erano 7000 compagnie sementiere e nessuna superava l’1% del mercato mondiale. Oggi, le prime tre compagnie detengono il 53%, le prime dieci il 76% e tra queste sei coprono ben il 75% del mercato planetario dei pesticidi. Numeri che rivelano già l’intreccio indissolubile tra chi produce semi e chi produce i veleni per le erbe indesiderate. Ma tutto questo è sostenibile? E fino a quando? E soprattutto ci sono alternative?
L'anteprima su Reportime:



La storia di Percy Schmeiser è ancora attuale per i temi che sollevò per prima. Soprattutto perché in qualche modo la disputa legale tra la multinazionale del seme brevettato Monsanto e l’agricoltore di colza del Saskachewan, Canada, alla fine terminò alla pari.La colza trovata nei campi di Schmeiser era la colza brevettata da Monsanto, quella che era stata modificata geneticamente per renderla resistente all’erbicida comunemente conosciuto come glifosate. Poco importava il fatto che Schmeiser dichiarasse che lui i semi se li era sempre rifatti da solo, e che probabilmente la sua colza era stata semplicemente impollinata da quella dei campi vicini: al secondo grado di giudizio i giudici dissero che Schmeiser doveva sapere che quella nel suo campo era la colza brevettata dalla multinazionale e lo condannarono a pagare sia i danni richiesti da Monsanto sia le spese legali.Schmeiser però è uno tosto e si appellò alla Corte Suprema del Canada, che accolse parzialmente il suo ricorso perché riconobbe che non avendo utilizzato il glifosate, Schmeiser non aveva tratto alcun vantaggio nell’aver utilizzato la colza Monsanto, e decise così che nulla era dovuto da parte dell'agricoltore a Monsanto.Tuttavia la sentenza confermò anche la validità di Monsanto a far valere i suoi diritti sull’utilizzo della sua colza attraverso i Technology Use Agreements: contratti per cui gli agricoltori non possono conservare il seme per una risemina l’anno dopo; che permettono a Monsanto (o ad altre aziende) di inviare i suoi ispettori a controllare campi e magazzini della fattoria per i tre anni successivi alla coltivazione della sua colza, o mais, o soia, o cotone con il gene modificato e brevettato; nonché stabiliscono sanzioni, penali e danni salatissimi se l’agricoltore non rispettasse il contratto.Controllare le piante, metterci sopra un brevetto o renderne i semi sterili e riattivabili con chiavi chimiche, i cosiddetti semi zombi, è un potere enorme, che le grandi compagnie farmaceutiche e chimiche hanno colto al volo, a partire dal 1974, anno di nascita delle biotecnologie.Monsanto, Bayer, DuPont, Syngenta, a partire degli anni 80 iniziano a fare incetta di società sementiere. Pat Mooney, fondatore dell’Etc Group, che studia le concentrazioni economiche nelle corporations agro-industriali ci dice: «Secondo uno studio della Fao, negli anni 70, c’erano 7000 compagnie sementiere e nessuna superava l’1% del mercato mondiale. Oggi, le prime 3 compagnie detengono il 53% del mercato dei semi , le prime 10 il 76% e tra queste, 6 coprono il 75% del mercato mondiale dei pesticidi».Concentrazioni e conflitti di interesse senza limiti, ma quali sono le conseguenze economiche all’introduzione dei diritti proprietari sulle sementi? “Limita l’utilizzazione della semente” ci dice Maria Fonte, economista alla Federico II° di Napoli che su questa tema ha scritto un libro Organismi geneticamente modificati. “Restringe le varietà che si possono produrre e in qualche modo il brevetto sui semi ottiene l’effetto contrario di quello che dovrebbe essere il presupposto iniziale: incentivare l’innovazione. È assurdo che all’interno di un’organizzazione mondiale che vuole promuovere il libero commercio, poi si negozia e si firma un accordo per la protezione dei mercati, formalmente il mercato, ma quello che si sta difendendo non è il mercato ma il monopolio.”
Di dismissioni dei nostri beni pubblici si occupa Giorgio Mottola: benvenuti nel supermercato Italia.
Perfino i giornali stranieri invitano i più facoltosi a mettere le mani su parti del patrimonio italiano, perché conviene. E così si sono organizzati: ci sono agenzie immobiliari che hanno inviato i loro manager nel Chianti per vendere casali e castelli principeschi con annesso panorama mozzafiato. A Rovigo si è addirittura costituita un’associazione per facilitare l’acquisto ai Russi di parti del nostro Paese. E così a Pisa sono arrivati decine di magnati russi per comprare il porto, una serie di Hotel e una quarantina di immobili dal valore monumentale.
Bernardo Iovene torna ad occuparsi di cave (dopo il servizio del 2011 dove si parlava tra l'altro anche di cave usate come discariche): siamo a Carrara, patria del marmo, in una storia di mancate concessioni e frodi (presunte) fiscali. L'editto di Bernardo Iovene:
Le ottanta cave di Carrara sono gestite da quasi duecento imprese, la maggior parte di queste lavora senza concessione comunale. Cioè sono autorizzate in modo provvisorio. Tutto è fermo perché nel 1751 Maria Teresa, principessa di Carrara, stabilì che chi in quel momento coltivava le cave ne diventava possessore. Questo regime è durato fino al 1994, quando il sindaco Emilia Fazzi Contigli per la prima volta istituì un regolamento che prevedeva concessioni onerose e temporanee.Ma quando fu eletto un nuovo sindaco azzerò tutto tornando al regime precedente. Oggi le cave di marmo sono autorizzate dal Comune per 29 anni rinnovabili automaticamente, e gli imprenditori pagano un prezzo stabilito in trattativa. Insomma la cittadinanza ci guadagna ben poco. E invece la legge nazionale prevede un bando di gara e il pagamento di una percentuale fissa sul prezzo di mercato. A complicare la situazione è intervenuta la Procura: sotto indagine una decina di imprenditori che avrebbero venduto i blocchi di marmo in India e Cina fatturando solo una piccola percentuale e frodando così il fisco.
Infine la crisi di una importante azienda del made in Italy in Molise. 
Taglia e cuci di Emilio Casalini:
Torniamo ad occuparci anche delle sorti dell’Ittierre, la più importante azienda del fashion italiano che è di nuovo in crisi. Da sola produceva circa il 10% del pil del Molise, era entrata in crisi nel 2009, e per salvarla erano intervenuti il governo prima e la Regione poi con una fidejussione di 12 milioni. Dopo aver speso milioni di euro pubblici, dopo due anni di amministrazione straordinaria e altrettanti di gestione privata, hanno portato i libri in tribunale. Migliaia di lavoratori, alcuni altamente specializzati, rischiano di rimanere per strada. Nell’inchiesta abbiamo provato a ricostruire come mai una delle più prestigiose aziende del made in Italy è stata ridotta con le pezze sul sedere.  

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