15 dicembre 2018

Arrigoni e l'omicidio nel bosco di Dario Crapanzano



Incipit

Vagamente preoccupato, e allo stesso tempo incuriosito, il commissario capo del Porta Venezia, Mario Arrigoni, in una mattina di inizio ottobre del 1953 si preparava a incontrare il questore di fresca nomina dottor Respighi. Per tutto il tragitto in tram da corso Buenos Aires a piazza Cavour si era domandato quale fosse il motivo della convocazione. Non che avesse alcunché da temere, ma doveva esserci qualcosa sotto, visto che il suo rapporto con il vicequestore Respighi si era prevalentemente limitato a conversazioni telefoniche, e la sua ultima visita in Questura risaliva alla notte dei tempi. 
L’unico motivo che riusciva a immaginare riguardava il suo ruolo nella polizia: più volte il Respighi aveva tentato di fargli lasciare il Porta Venezia proponendogli una promozione. “Se mi offre di diventare vicequestore, o qualcosa del genere, gli dirò un’altra volta di no, non ho nessuna voglia di abbandonare il mio commissariato, e lui lo sa benissimo” pensava avvicinandosi all’ingresso di via Fatebenefratelli.
Arrigoni non voleva assolutamente cambiare sede: lui e i suoi collaboratori erano molto affiatati, con loro aveva condiviso una lunga serie di successi investigativi, e in alcuni casi alla stima professionale si univano simpatia e affetto. Infine, il commissariato che dirigeva da anni era vicinissimo, circa dieci minuti in tram, alla sua abitazione di piazza San Materno, dove viveva con le sue adorate donne, la moglie Lucia e la figlia Claudia, ormai quattordicenne, studentessa del liceo Carducci.

Un buon investigatore, come il commissario Mario Arrigoni, è capace di fare il suo mestiere anche fuori dal suo habitat, fuori dal suo territorio che, nel caso di Arrigoni, è la città di Milano nei primi anni 50.
La città che conosce come le sue tasche e da cui si sposta molto malvolentieri: per questo quando il questore Respighi gli propone un nuovo incarico in trasferta, viene accolta malvolentieri.
Si tratta di andare a seguire casi di delitti avvenuti fuori città, nelle province di Como e Varese, dove il presidio dei carabinieri è insufficiente a seguire anche questi casi.

«La decisione» continuò il questore «è stata questa: dare vita a un’unità speciale, quella che gli anglosassoni chiamerebbero task force, costituita da funzionari esperti e in possesso di capacità investigative di prim’ordine, che avrà il compito di intervenire in queste località qualora venga commesso un omicidio, assumendo la direzione delle indagini, naturalmente con il supporto dei carabinieri del posto.» 
«Molto interessante, ma ancora non vedo che cosa c’entro io in questa faccenda» commentò Arrigoni, fingendo di non capire. 
«Arrigoni, non faccia il finto tonto, non è da lei,» riprese il Respighi «ma non voglio tirarla troppo per le lunghe. Al sottoscritto è stato delegato l’onore e l’onere di creare questa unità e di controllarla da lontano, mentre agisce sul campo. In questa prima fase sperimentale, la squadra, limitata al minimo indispensabile nel numero dei componenti, sarà operativa soltanto nelle province di Como e Varese, in seguito si vedrà. E veniamo a lei, caro commissario. Alla domanda se avessi in mente qualcuno in grado di gestire questo progetto, senza pensarci un attimo ho fatto il suo nome. La sua fama di investigatore ha avuto l’effetto immediato di mettere a tacere tutti, anche i rappresentanti dei carabinieri. Immagino che la cosa le faccia piacere.»

Nonostante la diffidenza iniziale, il commissario si lascia convincere ad accettare la proposta, anche dopo un colloquio con le donne della sua famiglia, Lucia e la figlia Claudia.
Si tratta pur sempre di un riconoscimento oltreché economico, anche del suo valore e poi, in queste trasferte potrà portarsi dietro il neo brigadiere Ciro Di Pasquale con cui ha ormai stabilito un buon rapporto non solo di lavoro.
Tempo dieci giorni, è l'occasione per un'indagine fuori città arriva: nei boschi sopra il paese di Arbizzone Varesino, un paesino sul lago Maggiore a due ore da Milano, è stato ritrovato il cadavere di un uomo da un cercatore di funghi, un fungiatt.
Il tempo di preparare le valigie e salutare la famiglia e si parte per questo paesino che si presenta come i tanti paesini a mezza costa sul lago: l'edificio del comune in stile anni 30, la farmacia, il caffè sport, la farmacia e la locanda osteria di Celestina dove i due poliziotti si appoggeranno per dormire.
Ad accoglierli in paese, il maresciallo Partanna che, come si può intuire dal cognome, è pure lui uno “straniero”, arrivando dalla provincia di Trapani.
A differenza da quanto temevano, i carabinieri non vedono nell'arrivo del famoso commissario Arrigoni (le cui indagini hanno avuto una eco anche da quelle parti) un'invasione di campo, anzi, è un modo per imparare un metodo nuovo di indagine. Che non può cominciare dall'analisi della scena del delitto.
Il morto, Arnaldo Castagna, è stato ucciso con un colpo alla testa, probabilmente una pietra. Dato il poco sangue, potrebbe anche essere stato ucciso altrove e poi spostato nel bosco nel tentativo di ritardare la scoperta.

Come procedere allora?
Il metodo Arrigoni si basa sulla teoria dei “cerchi concentrici”: si parte dal morto, che è imprenditore edile molto chiacchierato in paese, e si indaga sulla sua famiglia, la giovane e bella moglie.
Poi dalle persone con cui aveva rapporti stretti e con cui era in affari.
Infine si cercano possibili testimoni tra le persone che vivono in quella zona del paese, vicino al bosco.

Non è un'indagine facile, nessun caso di omicidio è facile all'inizio.
Ma in questo caso le difficoltà nascono dal fatto che la gente del paese è chiusa, ai limiti dell'omertà: riportano al commissario tante malignità, ma nessuno sembra avere visto o sentito niente.
Il morto era sì un costruttore, ma era anche dedito al contrabbando con la Svizzera ed era sempre riuscito a scamparla dalle indagini del tenente della Finanza con cui Arrigoni parla.
Non solo, oltre al contrabbando, era pure dedito all'usura, prestiti a strozzo a persone in difficoltà a cui chiedeva poi alti interessi.

Si deve partire da qui per cercare il movente del delitto? Qualche membro della sua banda di spalloni che gli ha “fatto le scarpe” per scalzarlo dal comando?
Oppure una persona a cui aveva prestato del denaro e che esasperato dalle richieste lo ha ucciso?
Oppure c'entra qualcosa la moglie, di cui si insinua una relazione con un'altra persona alle spalle del marito, molto più vecchio?
..la brutta figura la stiamo rischiando davvero. Il fatto è che questa è una strana indagine: la vittima aveva tutte le caratteristiche per attirarsi, come minimo, antipatie, invidie e recriminazioni, ma ciononostante abbiamo scoperto ben poco di concreto. E non c'è traccia di un testimone, non ci sono vicini di casa, portinaie, solo un paese silenzioso, cioè vale a dire nessuno, diamine! ..”

Arrigoni, assieme al bravo Di Pasquale, che anche in questa indagine avrà modo di fare colpo nei confronti della bella locandiera, si daranno un bel da fare per trovare le cause del delitto e risalire all'assassino.
Questo “Arrigoni e l'omicidio nel bosco” risulta meno riuscito, rispetto ai precedenti romanzi, non solo perché manca il racconto della Milano di un tempo, ma anche per l'impressione che la storia sia tirata un po' per le lunghe, almeno nella parte centrale del racconto, quando i due investigatori si trovano a “brancolare nel buio” e la storia si perde tra questione gastronomiche e l'arte di seduzione del giovane Di Pasquale.

Spero che Arrigoni torni nella sua Milano con una storia con dentro un po' più di giallo.

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