Incipit
Vagamente preoccupato, e allo stesso tempo incuriosito, il commissario capo del Porta Venezia, Mario Arrigoni, in una mattina di inizio ottobre del 1953 si preparava a incontrare il questore di fresca nomina dottor Respighi. Per tutto il tragitto in tram da corso Buenos Aires a piazza Cavour si era domandato quale fosse il motivo della convocazione. Non che avesse alcunché da temere, ma doveva esserci qualcosa sotto, visto che il suo rapporto con il vicequestore Respighi si era prevalentemente limitato a conversazioni telefoniche, e la sua ultima visita in Questura risaliva alla notte dei tempi.
L’unico motivo che riusciva a immaginare riguardava il suo ruolo nella polizia: più volte il Respighi aveva tentato di fargli lasciare il Porta Venezia proponendogli una promozione. “Se mi offre di diventare vicequestore, o qualcosa del genere, gli dirò un’altra volta di no, non ho nessuna voglia di abbandonare il mio commissariato, e lui lo sa benissimo” pensava avvicinandosi all’ingresso di via Fatebenefratelli.
Arrigoni non voleva assolutamente cambiare sede: lui e i suoi collaboratori erano molto affiatati, con loro aveva condiviso una lunga serie di successi investigativi, e in alcuni casi alla stima professionale si univano simpatia e affetto. Infine, il commissariato che dirigeva da anni era vicinissimo, circa dieci minuti in tram, alla sua abitazione di piazza San Materno, dove viveva con le sue adorate donne, la moglie Lucia e la figlia Claudia, ormai quattordicenne, studentessa del liceo Carducci.
Un buon investigatore, come il
commissario Mario Arrigoni, è capace di fare il suo mestiere anche
fuori dal suo habitat, fuori dal suo territorio che, nel caso di
Arrigoni, è la città di Milano nei primi anni 50.
La città che conosce come le sue
tasche e da cui si sposta molto malvolentieri: per questo quando il
questore Respighi gli propone un nuovo incarico in trasferta, viene
accolta malvolentieri.
Si tratta di andare a seguire casi di
delitti avvenuti fuori città, nelle province di Como e Varese, dove
il presidio dei carabinieri è insufficiente a seguire anche questi
casi.
«La decisione» continuò il questore «è stata questa: dare vita a un’unità speciale, quella che gli anglosassoni chiamerebbero task force, costituita da funzionari esperti e in possesso di capacità investigative di prim’ordine, che avrà il compito di intervenire in queste località qualora venga commesso un omicidio, assumendo la direzione delle indagini, naturalmente con il supporto dei carabinieri del posto.»
«Molto interessante, ma ancora non vedo che cosa c’entro io in questa faccenda» commentò Arrigoni, fingendo di non capire.
«Arrigoni, non faccia il finto tonto, non è da lei,» riprese il Respighi «ma non voglio tirarla troppo per le lunghe. Al sottoscritto è stato delegato l’onore e l’onere di creare questa unità e di controllarla da lontano, mentre agisce sul campo. In questa prima fase sperimentale, la squadra, limitata al minimo indispensabile nel numero dei componenti, sarà operativa soltanto nelle province di Como e Varese, in seguito si vedrà. E veniamo a lei, caro commissario. Alla domanda se avessi in mente qualcuno in grado di gestire questo progetto, senza pensarci un attimo ho fatto il suo nome. La sua fama di investigatore ha avuto l’effetto immediato di mettere a tacere tutti, anche i rappresentanti dei carabinieri. Immagino che la cosa le faccia piacere.»
Nonostante la diffidenza iniziale, il
commissario si lascia convincere ad accettare la proposta, anche dopo
un colloquio con le donne della sua famiglia, Lucia e la figlia
Claudia.
Si tratta pur sempre di un
riconoscimento oltreché economico, anche del suo valore e poi, in
queste trasferte potrà portarsi dietro il neo brigadiere Ciro Di
Pasquale con cui ha ormai stabilito un buon rapporto non solo di
lavoro.
Tempo dieci giorni, è l'occasione per
un'indagine fuori città arriva: nei boschi sopra il paese di
Arbizzone Varesino, un paesino sul lago Maggiore a due ore da Milano,
è stato ritrovato il cadavere di un uomo da un cercatore di funghi,
un fungiatt.
Il tempo di preparare le valigie e
salutare la famiglia e si parte per questo paesino che si presenta
come i tanti paesini a mezza costa sul lago: l'edificio del comune in
stile anni 30, la farmacia, il caffè sport, la farmacia e la locanda
osteria di Celestina dove i due poliziotti si appoggeranno per
dormire.
Ad accoglierli in paese, il maresciallo
Partanna che, come si può intuire dal cognome, è pure lui uno
“straniero”, arrivando dalla provincia di Trapani.
A differenza da quanto temevano, i
carabinieri non vedono nell'arrivo del famoso commissario Arrigoni
(le cui indagini hanno avuto una eco anche da quelle parti)
un'invasione di campo, anzi, è un modo per imparare un metodo nuovo
di indagine. Che non può cominciare dall'analisi della scena del
delitto.
Il morto, Arnaldo Castagna, è stato
ucciso con un colpo alla testa, probabilmente una pietra. Dato il
poco sangue, potrebbe anche essere stato ucciso altrove e poi
spostato nel bosco nel tentativo di ritardare la scoperta.
Come procedere allora?
Il metodo Arrigoni si basa sulla teoria
dei “cerchi concentrici”: si parte dal morto, che è imprenditore
edile molto chiacchierato in paese, e si indaga sulla sua famiglia,
la giovane e bella moglie.
Poi dalle persone con cui aveva
rapporti stretti e con cui era in affari.
Infine si cercano possibili testimoni
tra le persone che vivono in quella zona del paese, vicino al bosco.
Non è un'indagine facile, nessun caso
di omicidio è facile all'inizio.
Ma in questo caso le difficoltà
nascono dal fatto che la gente del paese è chiusa, ai limiti
dell'omertà: riportano al commissario tante malignità, ma nessuno
sembra avere visto o sentito niente.
Il morto era sì un costruttore, ma era
anche dedito al contrabbando con la Svizzera ed era sempre riuscito a
scamparla dalle indagini del tenente della Finanza con cui Arrigoni
parla.
Non solo, oltre al contrabbando, era
pure dedito all'usura, prestiti a strozzo a persone in difficoltà a
cui chiedeva poi alti interessi.
Si deve partire da qui per cercare il
movente del delitto? Qualche membro della sua banda di spalloni che
gli ha “fatto le scarpe” per scalzarlo dal comando?
Oppure una persona a cui aveva prestato
del denaro e che esasperato dalle richieste lo ha ucciso?
Oppure c'entra qualcosa la moglie, di
cui si insinua una relazione con un'altra persona alle spalle del
marito, molto più vecchio?
“..la brutta figura la stiamo rischiando davvero. Il fatto è che questa è una strana indagine: la vittima aveva tutte le caratteristiche per attirarsi, come minimo, antipatie, invidie e recriminazioni, ma ciononostante abbiamo scoperto ben poco di concreto. E non c'è traccia di un testimone, non ci sono vicini di casa, portinaie, solo un paese silenzioso, cioè vale a dire nessuno, diamine! ..”
Arrigoni, assieme al bravo Di Pasquale,
che anche in questa indagine avrà modo di fare colpo nei confronti
della bella locandiera, si daranno un bel da fare per trovare le
cause del delitto e risalire all'assassino.
Questo “Arrigoni e l'omicidio nel
bosco” risulta meno riuscito, rispetto ai precedenti romanzi, non
solo perché manca il racconto della Milano di un tempo, ma anche per
l'impressione che la storia sia tirata un po' per le lunghe, almeno
nella parte centrale del racconto, quando i due investigatori si
trovano a “brancolare nel buio” e la storia si perde tra
questione gastronomiche e l'arte di seduzione del giovane Di
Pasquale.
Spero che Arrigoni torni nella sua
Milano con una storia con dentro un po' più di giallo.
La scheda del libro sul sito di
SEM Libri
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