02 luglio 2021

Tutti si muore soli di Diego Lama

 


Napoli, sabato 28 luglio 1883. Ore 5.

«Avete fatto?» chiese la bambina con rispetto. «Fate, che è tardi...» Nella camera buia c’erano un tavolo, tre sedie impagliate, una cucina a carbone, tre cesti, un cumulo di stracci e una vecchia cassettiera. Sulla cassettiera c'era una bambola con la testa di porcellana e un vestitino di nastrini colorati..

La giornata più lunga e faticosa per il commissario della Polizia del Regno Veneruso: in sole 24 ore, in questo 28 luglio del 1883, dopo una settimana di febbre che lo ha tenuto a letto, deve affrontare ben tre casi di omicidi.

La morte della baronessa Salomè, avvenuta proprio nei giorni in cui era chiuso nella sua casa ai Quartieri Spagnoli, gli viene raccontata pezzo dopo pezzo, dalle persone che incontra appena uscito per strada.

Gli agenti erano venuti per avvertirlo del delitto, ma lui niente, nemmeno li aveva fatti entrare.

Il commissario Veneruso non era più un ragazzino, non era più tanto magro, non era neanche tanto alto e neanche era tanto tonico. Non era tanto niente, a dire la verità,

Così ora gli tocca scoprire di questa morte, delle indagini in corso, dei possibili moventi e di potrebbe avere ucciso questa nobile dall'animo caritatevole, da una prostituta incontrata per strada, da un artigiano, da un barista del bar Caflish dove voleva fare colazione. Perfino il parroco del paese “un misto tra anziano catuoio e vecchio bizzuoco” gli vuole raccontare a tutti i costi la sua opinione su quel delitto che sta facendo così rumore

«La baronessa Salomè era una gran benefattrice: da anni aiutava la parrocchia cercando di recuperare le giovinette che si erano perse lunga la strada..».

Perfino un mendicante per strada, pure lui ha una sua teoria sul delitto. E invece Veneruso non ne sa niente, proprio lui il commissario capo.

Ma non fa in tempo ad arrivare in ufficio per essere accolto dai suoi agenti, che ecco che la soluzione del caso gli viene regalata e non dal caso: è la moglie dell'assassino, nonché anche amante del barone, a sua volta cornuto in una giravolta di relazioni fedifraghe da far girare la testa, che gli dà il nome dell'assassino.

«È stata uccisa dal marito dell’amante del marito dell’amante del marito dell’amante di suo marito. Più o meno. Se ho capito bene la sequenza...»

Un primo caso risolto, una bella soddisfazione per Veneruso, uno che ama dimostrare le sue doti investigative di fronte ai suoi agenti: intendiamoci indagini fatte alla vecchia maniera, interrogando le persone, andando ad ascoltare i testimoni, gli informatori.

Nulla a che vedere con quelle scemenze che stanno anche prendendo piede, in quegli ultimi anni di fine ottocento. La scienza applicata alla criminologia? “come se le indagini poliziesche potessero risolversi con la raffinatezza della ragione” - questo pensa Veneruso.

Poliziotto all'antica, irascibile, sempre pronto ad arrabbiarsi coi suoi, a cui però vuole anche un po' bene.

Ma questo è solo il primo caso di una giornata in cui lo seguiremo, ora dopo ora, passo per passo, passi doloranti per quelle nuove scarpe di vitello.

Perché di delitto ne arriva subito un altro: un uomo è stato ammazzato proprio all'interno della Biblioteca Nazionale, vicino a piazza del Plebiscito.

Anche coi libri, e pure con chi passa il tempo a studiarli, Veneruso non ha un buon rapporto: in questa sua seconda indagine avrà come testimoni del delitto niente meno che i giornalisti Matilde Serao e Scarfoglio Edoardo, il futuro filosofo e storico Benedetto Croce, il poeta Salvatore di Giacomo e dallo scrittore Mastriani Francesco (autore di uno dei primi noir della storia del giallo italiano).

Testimoni di un delitto che non hanno visto, solo affermano di aver visto un uomo scappare dal salone centrale e fuggire da un balcone aperto.

Il morto si chiamava Bordò Armand, era stato mandato dal ministero di Roma per trasferire delle carte di opere di Leopardi in altri musei.

Anche l'Infinito, forse l'opera più importante del poeta di Recanati e della poesia italiana.

Che ragione c'è per uccidere una persona così, con venti coltellate sul corpo?

Era l’agente Cuomo: pallido e preoccupato. «Un delitto» disse. «Un altro?» «Sì, commissario, una cosa orribile.»

E poi il terzo delitto, quello di cui abbiamo letto nell'incipit.

Una ragazzina, poco più che bambina, Patrizia, dodici anni, uccisa in malo modo nel basso dove viveva e dove pure si prostituiva. Perché pure questo poteva succedere, se avevi fame e non avevi nessun parente perché i genitori e i figli erano morti per una malattia.

E una ragazzina può anche essere considerata un bene da affittare, per un soldo all'ora. Di quella morte Veneruso si sente responsabile: perché avrà anche tanti difetti il commissario, un carattere chiuso, duro, anche un po' omofobo.

Ma quei delitti della povera gente, colpevole della sua miseria, no, non li accetta.

Così, ora, si trova a dividersi tra i due delitti: l'uomo che stava portandosi via le opere di Leopardi e la piccola Patrizia.

Del primo delitto, lo colpisce un particolare: la perfetta sovrapposizione delle testimonianze, quando normalmente, c'è sempre qualcosa che differisce l'una dalle altre, in genere.

Quegli intellettuali, che gli stanno pure antipatici, meglio lasciarli a cuocere nel loro brodo, assieme a quel Guerrieri, il noioso direttore, appassionato nientemeno delle parole napoletane, che non devono morire solo perché ora arriva il progresso e la lingua italiana.

L'indagine sulla morte di Patrizia invece segue fin da subito una pista che porta ad un suo cliente abituale, un uomo strano, “brutto”, che la seguiva anche fuori casa.

Seguiremo l'evolvere di queste indagini ora per ora e seguiremo Veneruso anche dentro la Casina Rosa, dove può finalmente incontrare Annarella la Sorrentino, l'unico momento di allegria e, forse, anche di amore, che si concede solo una volte al mese.

Ogni delitto avrà il suo responsabile: perché pur nonostante i suoi difetti, Veneruso sa mettere assieme i pezzi, lasciarli cuocere piano piano e vedere alla fine il disegno finale e sciogliere così i fili dell'intrigo: basta una ispirazione, che a volte arriva anche nei momenti meno opportuni. Delitti che si portano appresso altre verità, perché di verità ne esiste più di una..

Veneruso è un uomo dei suoi tempi, non fa nulla per rendersi meno sgradevole, anche fisicamente, fin dall'inizio: 

Filo borbonico, aspro, diffidente con quel suo ispettore così originale, perché omosessuale (lui usa un'altra espressione). Duro anche coi suoi agenti, Russo, Cuomo e Serra, che li immagina come animali, anche Serra, il meno intelligente ma il più simpatico, se avesse avuto un figlio lo avrebbe voluto come lui. Ma se avesse avuto un figlio, non sarebbe cresciuto allegro come Serra.

Attorno a lui la Napoli di fine ottocento, piena di nobili che avrebbero potuto essere delle persone comuni, almeno all'apparenza e persone comuni forse dall'animo più nobile di conti e baroni, molto più attaccati al vil danaro che non alla nobiltà d'animo.

Con uno di questi, un vecchio anziano, sceglierà di trascorrere le ultime ore, del giorno nuovo, dopo quel lungo 28 luglio. Un anziano, morente, che non deve morire da solo

«E io sono venuto a farvi compagnia.»

«Perché?»

«Non si muore da soli.»

«Tutti si muore soli.»

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