13 luglio 2021

G8. Genova 2001 – storia di un disastro annunciato di Gianluca Prestigiacomo

 


Annus horribilis 2001

Tornare ai fatti di Genova vent'anni dopo, per raccontarli dal punto di vista umano e professionale di un operatore della Digos che li ha vissuti in prima persona, come si suol dire, sul campo.

Ecco il senso di questo libro. Non avrei mai immaginato di trovarmi in un contesto come quello del G8, in cui lo Stato, attraverso i suoi rappresentanti, fece l'esatto contrario di quello che, con gli istruttori, insegnava durante i corsi di aggiornamento o di formazione professionale.

Quello che è successo nei tre giorni del G8 di Genova, venti anni fa, è stato immortalato in tanti scatti, in migliaia di video che hanno mostrato gli scontri, le manganellate, le devastazioni fatte da parte dei black bloc, il sangue e il fumo.

Mancava, fino ad oggi, il racconto da parte di un agente di polizia che era per strada e che ha visto tutto e che ha cercato di ricordare tutto.

Ci sono state, al processo per le violenze alla Diaz, le testimonianze di Michelangelo Fournier, il funzionario del settimo reparto Mobile che si rese responsabile della mattanza nella scuola.

Ma gli errori, fatti in modo consapevole, le scelte di come gestire la piazza, visti dalla parte di chi indossa la divisa e dunque rappresenta lo Stato, quello mancava ancora.

Per questo il lavoro che l'ex agente della Digos di Venezia, Gianluca Prestigiacomo, è così importante: perché smonta, una per una, tutte le giustificazioni sentite in questi anni da parte dei vertici della polizia. Il “non si poteva fare diversamente”, “avevamo ricevuto dai servizi notizie allarmanti” ..

A Genova, in quei giorni di fine luglio 2001, le cose avrebbero potuto andare diversamente, ci dice l'autore, anche lui chiamato assieme ai colleghi delle altre Digos a gestire la piazza, a cercare una mediazione coi manifestanti, a far si che fossero rispettati i diritti di tutti. Il diritto alla sicurezza, da parte dei cittadini genovese e anche il diritto a manifestare.

Altrimenti non si chiama più democrazia. Altrimenti crolla tutto come un castello di carte: non tutti i poliziotti e i carabinieri che sono stati a Genova in quei giorni si sono macchiati dei reati e degli errori commessi, ci sono stati uomini in divisa come Prestigiacomo.

Ma l'atteggiamento tenuto dai vertici della polizia, dagli uomini a capo di quel governo (dal presidente Berlusconi al ministro Scajola) e dalle opposizioni (tentennanti sulla commissione di inchiesta) fa venire cattivi pensieri, sulla tenuta democratica di questo paese.

Il 2001 fu l’anno dello «spartiacque». Fu la fine del terrorismo che avevamo conosciuto a partire dagli anni Settanta, la fine delle strategie militari mirate – a modo loro – a mantenere la pace nel mondo. Basti pensare ai rapporti tra Russia e America: tensioni che avevano solo scopi politici, più che militari.

In quell'anno ci fu il cambio di governo, l'attacco alle Torri Gemelle, la scoperta di quanto fossimo vulnerabili al terrorismo islamico, in Occidente. Erano anni in cui il mondo si apriva in modo sconsiderato al mercato, alla globalizzazione senza regole, senza tener conto delle disuguaglianze, dove i grandi della terra si riunivano attorno ad un tavolo a parlare di commercio (anche delle armi) tenendo fuori i paesi poveri. Ancora oggi paghiamo il prezzo di quella mancanza di visione, chi era in piazza a Genova (e prima ancora a Seattle), stava dalla parte della ragione

Le violenze e le devastazioni del blocco nero, del cui arrivo a Genova si sapeva, nulla inficiano di quella manifestazione oceanica, dove dentro trovavi persone così diverse ma unite nel chiedere un mondo diverso.

Sotto i colpi della violenza, il dissenso venne fatto passare per un atto da condannare. Al contrario, il vero obiettivo di quel vertice fu nascondere con finte teorie ciò che stava accadendo.

E invece le cose andarono in modo diverso: è un passaggio su cui l'autore torna più volte, sul perché di quella devastazione, sul perché di certe scelte sbagliate. Come se ci fosse una volontà politica nel marchiare quel movimento politico e sociale come composto solo da violenti.

Come se ci fosse la volontà politica di nascondere le proteste e anche di nascondere quel G8, l'inutile G8 delle cui discussioni nulla è rimasto.

Il presidente del Consiglio era Silvio Berlusconi e si stava apprestando a organizzare la più grande celebrazione del nulla, il summit dei potenti, utile solo a offuscare le reali intenzioni del nuovo assetto economico internazionale.

Stava per mostrare al mondo intero che avrebbe dato una sonora bastonata alla sinistra italiana e a tutti i dissidenti, a ogni forma di contestazione. Non c'era occasione migliore per accreditarsi al cospetto delle forze economiche e politiche del momento, soprattutto agli occhi dell'amico George Bush. L'unica a non capire che cosa stesse accadendo fu forse proprio la maggioranza dei rappresentanti della cosiddetta sinistra.

A Genova è successo che la gente comune scappasse di fronte a persone in divisa. Che persone per strada siano state picchiate selvaggiamente senza alcun motivo. Che persone in divisa abbiamo fabbricato prove false per accusare delle persone di reati gravi.

Che delle persone siano state arrestate solo per risollevare l'immagine della polizia di fronte all'opinione pubblica.

Che di fronte alle domande dei PM i vertici della polizia, funzionari e agenti abbiamo tenuto un atteggiamento omertoso, impedendo l'identificazione dei responsabili della mattanza alla Diaz

.. coloro i quali crearono prove false, impedendo anche la libera contestazione, di fatto furono il braccio armato di un potere molto più ampio, che riuscì a portare il mondo intero verso la catastrofe sociale.

Dopo anni di indagini, per l'impossibilità di identificare gli agenti che hanno compiuto i reati a Bolzaneto, nella Diaz, si è arrivati alle condanne dei soli vertici della polizia, i De Gennaro boys di cui parla il giornalista Marco Preve nel suo saggio “Il partito della polizia”.

… i colpevoli sono stati condannati, ma dopo avere «pagato» il conto con la giustizia, alcuni di loro sono rientrati in servizio. Un «regalo» che permise – o sta permettendo – proprio a quei fedeli di arrivare alla pensione.

Non una parola di scuse, di rammarico da parte della politica, né quella di destra che a Genova ha voluto mostrare i muscoli, colpendo i movimenti e che poco tollera(va) il dissenso.

E nemmeno da parte del centro sinistra, che pochi mesi prima ai tempi del Forum di Napoli (dove la polizia andò a prendere i manifestanti dagli ospedali), era al governo.

Da una parte rappresentanti dello stato zelanti di fronte ad un meccanismo di potere che premia i fedeli del capo, calpestando i diritti delle persone sentendosi sicuri della loro impunità.

Dall'altra parte persone che, nello Stato, nei suoi rappresentanti in divisa ci credevano.

L'autore riporta nel libro uno spunto interessante, a proposito dei mandanti delle violenze al G8, citando un episodio legato alla carica sconsiderata fatta contro il corteo autorizzato delle tute bianche: mentre era alla testa del corteo assieme ad un altro collega della Digos, fu fatto allontanare da “strani” personaggi, armati di mazze, che si erano presentati come servizio d'ordine del corteo. Molto probabilmente erano provocatori, infiltrati nel corteo. Poco dopo il loro allontanamento, partì la carica dei carabinieri.

Tante cose non sarebbero accadute – è il rammarico che si porta dietro – se avesse fatto, se avesse potuto fare altre scelte.

Gli scontri in piazza Alimonda, magari anche la morte di Carlo Giuliani.

Sono passati vent'anni, è arrivato il momento di fare luce su tutte le zone d'ombra rimaste attorno al G8 di Genova con una vera commissione di inchiesta per arrivare ai veri mandanti: lo si deve nei confronti delle persone ferite e umiliate, lo si deve fare anche per dare credibilità a queste istituzioni che, come scrisse una volta Sciascia, se non vogliono essere vilipese devono esserci, non essere strutture vuote.

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