20 luglio 2021

Genova venti anni dopo

 

Immagine presa da Varese news

Venti anni fa a Genova sono state sospese le garanzie costituzionali dei cittadini italiani, la più grave violazione dei diritti umani avvenuta in Italia dal dopoguerra, la definì Amnesty.

Venti anni fa cittadini che manifestavano per le strade di Genova sono stati picchiati, torturati, insultati, privati della libertà senza che avessero commesso reati.

E tutto questo è stato fatto dalle forze dell'ordine di uno stato democratico.

La cronaca dei tre giorni di Genova, in quell'inutile G8 dove i grandi della terra si arrogavano di decidere per tutto il mondo su commercio, immigrazione, mercati, è stata già raccontata da tanti. Da Carlo Lucarelli in una puntata di Blu Notte (dove si parla di reflusso della strategia della tensione), al libro di Gianni Agnoletto “L'eclisse della democrazia - Feltrinelli”, fino al racconta fatto da un agente della Digos che era in piazza proprio in quei giorni, “Genova G8 2001– cronaca di un disastro annunciato di Gianluca Prestigiacomo Chiarelettere”.

Il clima di tensione creato da veline dei servizi (quali saranno state le fonti), la gestione della piazza lasciata a poliziotti che avevano poca esperienza di manifestazioni, i black bloc lasciati arrivare, sfilare, devastare la città per poi sparire all'arrivo dei reparti.

Le manganellate col tonfa, indiscriminatamente a tutti, i gas lacrimogeni (urticanti e anche pericolosi), i proiettili sparati, la carica inutile e scellerata contro il corteo delle tute bianche, la reazione dei manifestanti, il fuggi fuggi, l'aggressione al defender dei carabinieri e quel colpo di pistola al volto di un ragazzo, colpevole di voler lanciare un idrante vuoto ad una jeep da una distanza di 4 metri.

Ancora oggi si parla della teoria strampalata del sasso che ha deviato il colpo di pistola, la tesi con cui un giudice della procura di Genova ha archiviato tutto. Nessun processo.

Me la ricordo ancora quella sceneggiata del vicequestore contro uno dei manifestanti: “bastardo, sei stato tu, col tuo sasso...”

E poi l'assalto alla Diaz. La notte cilena su Genova: non deve succedere mai, in una democrazia che si ritiene tale, che le persone debbano temere l'arrivo della polizia, che debbano avere paura per la loro incolumità.

Non deve succedere che le persone siano picchiate, insultate, umiliate, torturate, una volta che sono nelle mani dello stato, come le persone finite nel carcere di Bolzaneto.

No, la democrazia non c'era in quei giorni a Genova. Non c'era quando la polizia non ha collaborato con le indagini della procura. Non c'era quando la politica, il governo, i vertiti della polizia hanno scelto di non vedere.

Non sono poche mele marce, non è stato solo il comportamento di pochi agenti e funzionari.

Come ha raccontato il pm Zucca (che ha seguito le indagini sui fatti della Diaz) nell'intervista a Il Manifesto, non ci si improvvisa torturatori, non si imparano certe cose in un giorno.

Il filo rosso delle varie condanne della Corte di Strasburgo negli ultimi 20 anni dimostra che quando la tortura emerge è solo apparentemente sporadica. Si ha infatti paura di riconoscere che la tortura è per sua natura “istituzionale”, perché ha necessità di tecniche, addestramento e pratica: non esiste neppure nella fiction il “torturatore solitario”. Già dai tempi del G8 il fenomeno doveva essere affrontato come tale. Non si tortura alla Diaz e a Bolzaneto se non si è già capaci e pronti a farlo. Con Genova 2001 appare chiara un’altra cosa: i diritti garantiti dalla democrazia e scritti nelle carte fondamentali non lo sono tuttavia per sempre e ad ogni costo, come il modello presuppone. I fatti del G8 hanno mostrato ciò che sarebbe poi successo in questi due ultimi decenni durante i quali si è praticata la tortura non più nel segreto ma cercandone, dopo secoli, una qualche giustificazione legale.

E secondo lei perché questo avviene?

Io credo che questo avvenga quando una democrazia ha paura del conflitto e, quindi, muta la sua stessa caratteristica. Sono d’accordo con chi sostiene che il modo migliore per difendere la democrazia sia quello di attaccarla con le critiche, la protesta e il dissenso. Così la si rafforza non la si indebolisce.

C'è qualcosa di sbagliato dentro le forze dell'ordine, che si sono opposte ad una legge sulla tortura (spalleggiati dai partiti di quella destra non democratica sempre difesa dai giornali governativi), ad un numero di identificazione sulle divise.

E c'è qualcosa di sbagliato nelle nostre istituzioni se hanno paura delle critiche, dei movimenti, delle piazze, del dissenso. E questo valeva venti anni fa e vale ancora oggi, dove dobbiamo aspettarci mesi di forte tensione per il Covid e per la crisi innescata dalle ristrutturazioni industriali (anche qui, senza regole, senza una visione, senza che lo stato possa dire qualcosa).

Tutto questo è successo a Genova in quei giorni in cui in piazza c'era una moltitudine di persone, da tutto il paese, da tante associazioni diverse, non solo le “zecche comuniste” (definizione che identifica come FASCISTA chiunque la pronunci), che chiedevano un mondo diverso da quello che avevano in mente i grandi della terra davanti alla tavola apparecchiata da Berlusconi.

Avevano ragione quelle persone: la critica ad una globalizzazione senza regole, ad un mercato senza regole, la questione ambientale e sugli immigrati.

Si è voluto criminalizzare, quell'insieme di movimenti, quelle persone e ancora oggi ne paghiamo le conseguenze.

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