“Quando i casi Aldrovandi si moltiplicano, non si tratta più solo della sorte di singole famiglie: è in gioco la democrazia”.
Queste le parole con cui si è aperta la prima inchiesta della nuova serie di Presa diretta: un'inchiesta sulle vittime della violenza delle forze dell'ordine. Non una puntata contro, ma a favore di chi indossa con onore la propria divisa, rispettando la Costituzione: un lavoro oggi ancora più difficile, poiché spesso la polizia è il muro su cui si scontra la rabbia della gente contro la cattiva politica.
Ecco allora che è giusto ricordare ancora questi casi, di ragazzi con problemi sociali, di tossicodipendenza, che una volta finiti nelle mani dello stato, hanno subito violenza.
Federico Aldrovandi
Riccardo Rasman
Giuseppe Uva
Paolo Scaroni
Stefano Gugliotta
Luca Morneghini
Michele Ferrulli
Tommaso De Michiel
Stefano Cucchi
Tutte storie con diversi tratti in comune, come il fatto che le vittime erano persone deboli, che lo stato dovrebbe proteggere di più.
Ma c'è di peggio: i poliziotti o i carabinieri che hanno compiuto quei gesti non hanno quasi mai pagato. E' difficile portare avanti questi processi per violenza, perché ci si scontra coi depistaggi, compiuti dalla stessa polizia difesa di se stessa. Della reticenza, dei non so e non ricordo. Della mancanza di collaborazione. I familiari delle vittime lasciati soli, testimoni che si mettono paura, di dover puntare il dito contro le divise.
A vedere morire Aldrovandi sono stati in tanti, ma al processo ha testimoniato solo una ragazza extracomunitaria (nonostante ogni anno dovesse rinnovare il permesso).
Sono processi più difficili di quelli di mafia, sostiene l'avvocato Anselmo che ha seguito diversi di questi casi: l'omertà, il muro di gomma anche la fanno da padrone.
“Quelli che dovevano indagare sulla morte di Federico sono gli stessi che hanno depistato le indagini”, ha spiegato l'avvocato. Queste storie "mettono in discussione il rapporto tra magistratura e forze dell’ordine".
E i colpevoli, anche se vengono condannati, rimangono in servizio, o vengono sospesi per pochi mesi. Come gli agenti responsabili della morte di Federico.
Come il papà dei ragazzi De Michiel, ispettore di polizia, come della polizia erano le persone che hanno picchiato i figli. Per la sua denuncia, Walter De Michiel è stato sospeso.
I casi citati hanno seguito una certa piega, a favore delle vittime (anche se non c'è stata vera giustizia) solo perché ci sono stati dei video: immagini che hanno sbugiardato la tesi difensiva delle forze dell'ordine.
Se fosse per gli agenti, per i loro dirigenti, per il corpo, si tratterebbe di autolesionismo, di comportamento impeccabile, a norma di legge.
Nonostante le perizie, le foto, le immagini.
La puntata di ieri ha parlato di un problema della nostra democrazia: come ha spiegato il senatore Manconi, priorità per uno stato democratico è avere una polizia democratica.
Iacona ha intervistato il prefetto Marangoni, sul tema della sicurezza: il prefetto sta seguendo una commissione sulle "buone pratiche" della polizia, per evitare proprio questi tragici casi.
Non è favorevole all'identificazione degli agenti, come il ministro: ma sarebbe d'accordo all'uso di telecamere, sia addosso alle persone, che nei luoghi dove avvengono i fermi e le identificazioni.
Il prefetto ha fatto un buon auspicio, per la polizia democratica che dovrà essere: "vogliamo che la nostra casa, sia la casa di cristallo".
Speriamo che la volontà politica sia proprio questa: anziché investire in braccialetti, nella formazione degli agenti, nelle cura del loro disagio, nell'ascolto dei loro problemi, affinché non esplodano contro persone in stato di fermo.
Il link alla scheda della puntata
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