Come la cupola della finanza mondiale decide il destino dei
governi e delle popolazioni.
Ecco un utile saggio che spiega come funziona la finanza mondiale,
indicando con tanto di nome e cognome la “cupola” della
finanza, composta da circa 147 multinazionali che da sole controllano
almeno il 40% del mercato, per lo più banche (le famose banche
“troppo grandi per poter fallire”, TBTF, di
cui fanno parte anche per l'Italia Unicredit e Intesa Sanpaolo)
ed assicurazioni.
“Il cervello, o cuore, del capitalismo
contemporaneo risiede in 1318 aziende, in tutto il mondo, che hanno
assetti azionari incrociati. Meno dell’1 per cento delle
multinazionali guida il 40 per cento del totale.”
James B.
Glattfelder, Politecnico federale di Zurigo.
Sono loro le
responsabili della crisi finanziaria del 2008 che ha portato prima
gli Stati Uniti e poi l'Europa ad un passo dal baratro.
Una crisi nata dalla fame di profitti dei manager di queste banche
e società finanziarie, che l'autore definisce bankster: “Chi
guida i giochi nelle banche centrali e nei grandi istituti
commerciali sono gli innominati che qui chiamiamo bankster,
neologismo in Italia tabù – nato dalla fusione di banker e
gangster.”
Sono coloro che hanno prima causato la bolla
speculativa del mercato immobiliare, intossicato il sistema con lo
strumento dei derivati, per poi, quando il castello di carte è
crollato (per i mutui concessi con troppa allegria non sono più
rientrati), sono andati a piangere dal pubblico, ottenendo
dall'amministrazione Obama centinaia di miliardi per il loro
salvataggio.
In Europa è stato lo stesso: da una parte la BCE che pompa denaro
(pubblico) verso le banche in crisi di liquidità, dall'altra governi
che per fronteggiare la crisi devono tagliare le spese, l'assistenza
ai malati, i servizi per le fasce deboli.
Nemmeno Obama è riuscito a mettere un vero freno al potere dei
bankster, ed è difficile oggi pensare ad un ritorno al Glass
Steagall Act (ovvero la separazione tra banche commerciali e
banche d'affari), per il grande potere di influenza che banche,
assicurazioni, hedge fund hanno sulla politica americana (e lo stesso
vale per l'Europa).
Le regole di Basilea 3, che le stesse banche hanno accettato con
riluttanza, non sono sufficienti a garantirci nei confronti di una
futura crisi nel settore finanziario.
Crisi che non è improbabile che ritorni: l'Europa, specie nei
paesi del sud (come l'Italia), è oggi in una situazione difficile.
Bassa crescita, alta disoccupazione, i governi per abbattere il
debito hanno dovuto alzare le tasse e ciò ha depresso i consumi.
Tutto questo accade mentre gli stessi istituti salvati dal
pubblico (come MPS, nel cui casse sono confluiti 3 miliardi di Monti
bond, come prestito) hanno chiuso i rubinetti del credito.
Lo stato mette le sue coperture sui crediti degli istituti
bancari, e questi strozzano l'economia.
In America la situazione è solo leggermente migliorata, si vede
all'orizzonte un piccola crescita.
Ma nonostante questo, a Wall street, non hanno imparato la
lezione: la fame di facili guadagni a breve termine ancora non è
stata saziata: non è stato regolamentato il sistema bancario ombra
(quello che viaggia in parallelo al sistema ufficiale, ad alta
liquidità e altamente speculativo), non sono stati vietati gli
strumenti derivati e la vendita di mutui subprime. È estremamente
difficile portare alle sbarre i bankster per le loro attività di
riciclaggio del denaro sporco per la criminalità organizzata (HSBC,
che ha aiutato a ripulire il denaro dei narcos colombiani per 91
miliardi, se l'è cavata con un patteggiamento da 1,9 milioni di
dollari), e per la mafia in Italia.
È grazie a banche compiacenti che gli evasori riescono a
nascondere i loro patrimoni ai propri paesi, per evitare di dover
pagare tasse (e lo stesso vale per la criminalità organizzata, per
le grandi società del mondo del sw come Apple e Amazon).
Tutto questo per dire che bisognerebbe iniziare una crociata
contro certi istituti finanziari, come nel passato è stato fatto
contro le industrie del tabacco: anche le banche, in fondo, nuocciono
alla salute.
La questione dei paradisi fiscali, dentro cui si nascondono tanti
miliardi che potrebbero essere usati per risanare le economie in
crisi, per risolvere il problema della fame del mondo, dovrebbe
essere affrontata a livello Nato, per espropriare i forzieri in nero.
Non possiamo lasciare che l'economia di nazioni che si dicono
democrazie, sia lasciata in mano a banchieri e finanzieri i quali,
non solo non hanno previsto la crisi mondiale, ma nemmeno hanno
pagato il conto per i loro errori.
Non si può proprio accettare che da una parte ci siano
popolazione soggette alla cura dell'austerity, dall'altra istituti i
cui crediti sono tutelati dal pubblico. Quello che è successo è
stata la collettivizzazione delle perdite (dopo i fallimenti di
Lehmann Brothers, della Parmalat, della Enron), soldi drenati dalle
casse pubbliche e che potrebbero essere usati per lo stimolo
all'economia reale (Main street e non Wall Street), per l'istruzione,
la ricerca.
Questa lobby ha imposto a governi autonomi governi tecnici, il
pareggio di bilancio (che in Italia è stato messo in Costituzione
nel luglio 2012 da una maggioranza blindata senza alcuna discussione
pubblica), il fiscal compact con dei piani di rientro dal debito ben
precisi, i vincoli di spesa pubblica.
E, viceversa, cosa è stato imposto alle banche e agli istituti
finanziari? La bomba dei cds è ancora lì pronta a scoppiare, gli
stress test delle banche italiane hanno indicato la necessità di una
loro ricapitalizzazione, l'accordo interbancario è ancora sulla
carta (così come l'Europa è ancora purtroppo solo un'unione
monetaria). I soldi della BCE (al tasso dell'1%) sono stati investiti
dalle nostre banche in BTP, che garantivano un rendimento a breve più
alto, per migliorare i loro conti. Ma quanti dei 250 miliardi sono
andati all'economia reale?
Se dovesse scoppiare un altro focolaio di crisi, per esempio per
una banca in Italia, assisteremo ad un altra Cipro, col prelievo dei
soldi dai correntisti?
Mentre i dati del paese reale dicono nero, la politica si dice
ottimista. Forse è per non spaventare la gente e non spingerla verso
una corsa al ritiro del contante.
Si parla di una luce in fondo al tunnel, di una possibile ripresa
che quest'anno, potrebbe essere a portata di mano.
Ma nell'attesa, non possiamo continuare con questo sistema: la
proposta dell'autore, che è stata partorita da diversi economisti
Ben Dyson e Andrew Jackson, si chiama “positive money” (e
potete trovare altre informazioni al sito www.positivemoney.org
):
“Esiste una soluzione per risolvere i guai delle società e
delle economie occidentali... Non esiste alcuna giustificazione per
non perseguire le riforme e i cambiamenti proposti da Positive Money,
che costituiscono un beneficio per la maggior parte dei cittadini e
provocano conseguenze negative soltanto a una minuscola élite di
potere: quella che oggi è padrona del mondo.”
Quale è il fulcro di questa riforma?
“Il capitalismo finanziario non funziona perché i governi
hanno ceduto la responsabilità della creazione di moneta alle
banche. E non a quelle centrali, ma agli istituti di credito privati,
le grandi Tbtf.”
Si tratta di togliere alla banche la
possibilità di creare denaro: oggi questo avviene a seguito di
un prestito e questo genera le varie ondate di boom dei prestiti cui
seguono i periodi di crisi, perché chi presta denaro ha dimostrato
di avere solo l'interesse dei guadagni a breve, non di creare una
economia solida a lungo termine.
“Il cambiamento più radicale sarebbe allocare nuovo denaro
non dove fa più comodo e produce più profitti per le banche, ma
laddove è in grado di produrre maggiori benefici per la popolazione
e per la società nel suo complesso. Come? Concedendo prestiti a
piccole imprese e medie aziende e quondi all'economia reale;
salvaguardando il potere d'acquisto degli stipendi dei dipendenti
pubblici; ..”
Il denaro verrebbe creato da una
entità terza, slegata dai governi, che immetterebbe denaro
nell'economia (su input dei governi) per fare investimenti pubblici o
per abbassare le tasse.
Le banche tornerebbero al loro antico
mestiere: quello di fare prestiti e di gestire i depositi dei loro
clienti.
Queste toglierebbe loro l'alibi
di essere “too big to fail”:
la loro crisi non metterebbe a rischio l'intera economia, perché
alla fine le grandi banche verrebbero smembrate, perdendo tutti i
loro poteri ricattatori; si metterebbe fine all'instabilità e ai
cicli boom-crisi, provocati dall'esagerata estensione del credito.
La scheda del libro:
“Perché mai, noi cittadini che lottiamo per sopravvivere, dobbiamo essere condizionati da debiti creati da una élite al potere che li ha contratti a nostre spese?”Murray Newton Rothbard, economista, storico, filosofo dell’anarcocapitalismo
Un club esclusivo di poche migliaia di persone, non elette democraticamente, che decide i destini di intere popolazioni, in grado di manipolare i mercati finanziari e di imporsi sulla politica e sugli Stati. Chi sono, come agiscono e quali obiettivi hanno i banchieri - i famigerati bankster - che guidano i giochi delle banche centrali e vivono sulle spalle della classe media e dei ceti più poveri?Il libro di Ciarrocca riesce a mappare il genoma della finanza mondiale attraverso la rete di società finanziarie e industriali che di fatto controllano l’economia mondiale, e ne denuncia la pericolosità. Ecco come i grandi istituti commerciali azionisti delle banche centrali, innanzitutto la Federal Reserve e la Bce, riescono a veicolare le informazioni e a tirare le fila del capitalismo mondiale. Il prezzo di materie prime, azioni, obbligazioni, valute, non è frutto di una contrattazione libera, quella è solo una messa in scena. La realtà è ben diversa: sono i bankster a condurre il gregge dei piccoli risparmiatori e dei contribuenti, complici le agenzie specializzate come Moody’s e Standard & Poor’s e i governi loro alleati, pronti a scaricare sulla collettività il peso delle crisi e l’onere di generare nuovo cash. Come uscirne? La proposta c’è, e l’autore ce la illustra. I cittadini sarebbero finalmente svincolati dai diktat della finanza, e i governi non dovrebbero più cedere il potere di creare moneta alle grandi banche commerciali, la cui influenza sarebbe ampiamente ridimensionata. Una rivoluzione dalla parte della gente che lavora e dell’economia reale.
Questa la presentazione del libro su youtube:
La
scheda del libro su Chiarelettere
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