27 luglio 2014

Via delle oche, di Carlo Lucarelli

Incipit
Sul muro un cosacco enorme lo guardava truce, con la stella rossa sul colbacco e una baionetta tra i denti, un occhio socchiuso deformato dalle bolle d'aria sotto la carta. Il manifesto era ancora lucido e umido di colla e quando De Luca lo aveva sfiorato, facendosi da parte per evitare buca sul marciapiede, gli aveva lasciato sulla manica del soprabito una striscia argentata, appiccicosa, come la traccia di una lumaca. 
«E' LUI CHE ASPETTATE?» diceva la scritta in un corsivo appuntito, da pennello grosso e De Luca che era sceso dal marciapiede per metterla a fuoco in tutta la sua lunghezza si strinse nel soprabito, infilandosi le mani in tasca.
Via delle Oche è il terzo racconto (o quarto se vogliamo considerare “Indagine non autorizzata”) di Carlo Lucarelli con protagonista il commissario Achille De Luca: questa trilogia ne costituisce una sorta di biografia. L'abbiamo visto indagare ai tempi di Salò e sfuggire nel 1945 alla cattura dei partigiani a Bologna. Per non essere arrestato come criminale di guerra (era un funzionario della polizia investigativa della Muti), De Luca era stato costretto a scappare. Il processo di epurazione gli ha permesso di essere reintegrato nella polizia: assegnato alla buoncostume, ritrova a Bologna il suo aiutante, il maresciallo Pugliese.
Lo ritroviamo qui a Bologna, nell'aprile del 1948, a tre giorni dalle elezioni politiche che porteranno l'Italia a scegliere la Democrazia Cristiana


Via delle Oche era famosa per le case chiuse, prima che la legge Merlin ne stabilisse la chiusura: in una di queste, al civico numero 23, viene trovato impiccato Ermes Ricciotti, il “serafino” (il ragazzo tuttofare) della Tripolina alla casa al numero 16. I primi ad arrivare sul posto sono il maresciallo Pugliese e il vicecommissario Achille De Luca.

Sebbene, per colpa del sua passato “fascista” sia stato degradato e mandato alla Buoncostume, De Luca è rimasto un poliziotto capace di osservare i dettagli, le cose che stonano: come il fatto che le gambe del morto non arrivano a toccare lo sgabello su cui sarebbe salito.
Qualcuno l'ha ammazzato.

Ma in Questura, dove i vertici sono più preoccupati delle imminenti elezioni e della gestione dell'ordine pubblico (le manifestazioni, i funerali dell'onorevole “Casa e chiesa” Orlandelli), non hanno interesse ad aprire un caso, che viene derubricato subito a suicidio. Forse con troppa fretta, da parte del Vicario del Questore, il dottor D'Ambrogio, che lo invita ad occuparsi solo delle prostitute.

Ma De Luca è un poliziotto curioso di natura: uno di quelli che finché tutte le tessere del puzzle non si incastrano, non ha pace:
«Pugliese io sono curioso di natura e i misteri non mi piacciono. Non so a lei, ma a me questo signore che fa le acrobazie per infilzare la testa in una corda mi dà un fastidio quasi fisico e lo so che poi non ci dormo la notte. Dica un po', Pugliese .. secondo lei sarebbe una pazzia andare da questa Tripolina e farle un paio di domande sul Ricciotti?»
Viene trovato un altro morto alla Montagnola, un fotografo di nome Piras: De Luca, pensando che l'omicida non abbia trovato quello che cercava sul morto si precipita al suo indirizzi. Intuizione felice: l'assassino è andato proprio a cercare qualcosa che Piras non aveva addosso: dopo una sparatoria e un tentativo di fuga sui tetti, costui precipita e muore.
Due omicidi e tre morti, sono un po' troppo per essere un caso. L'ultimo morto, l'uomo caduto dal tetto, era un picchiatore fascista e anche un galloppino di un uomo politico, l'Abatino, il pupillo dell'onorevole Orlandelli.
De Luca prosegue nelle indagini: il capo di gabinetto del Questore, dottor Sala, della fede politica comunista, lo sprona a proseguire.
«Non me ne frega niente se mi usano! Io sono un poliziotto, Pugliese, faccio il poliziotto e sto con chi mi permette di fare il mio mestiere!»
In via delle Oche, nella casa, conosce la maitres, la Tripolina. Con questa, il commissario ha una breve parentesi d'amore.
Seguendo il suo intuito e disapplicando gli ordini del vicario D'Ambrogio, De Luca arriva alla verità del delitto (e delle morti successive): è solo un attimo di luce prima che la ragione di stato e ordini superiori, mettano tutto a tacere. Ripristinando un ordine democratico alle cose.

Più che per l'indagine e gli aspetti da libro giallo, questo è un bel libro perché cerca di spiegare le atmosfere di quei giorni: le elezioni, l'attentato a Togliatti, gli scontri di piazza, le false epurazioni e le amnistie che avevano permesso ai criminali fascisti di non finire sotto processo. Le due correnti politiche (o geopolitiche) in Questura: i democristiani che ora sperano nella vittoria e dall'altra parte la corrente comunista, che aveva sperato nella rivoluzione per cambiare l'Italia. 
Sala, ll capo di Gabinetto, commenta così
- Sa qual è il nostro difetto commissario? Che vorremmo vincere ma abbiamo paura di vincere troppo... e così perdiamo sempre. Quando dico noi intendo dire noi comunisti.
Ma il cambiamento, la rivoluzione non possono arrivare, come gli spiega il vicario D'Ambrogio:
«Sa di cosa ha bisogno questo paese?» disse, come se parlasse tra sé, come se canticchiasse, quasi. «Di stabilità. Questo paese ha bisogno di ricostruire e non di distruggere. L'hanno capito anche gli altri. Ha bisogni di rispettabilità, di considerazione internazionale, di investimenti, dei dollari del generale Marshall, del patto atlantico ...Di ordine». 
«Di legge» 
«E' la stessa cosa». 
«Per me no, io sono un poliziotto». 
D'Ambrogio voltò la testa sulla spalla lanciò un'occhiata a De Luca. 
«Anche io» disse «e come poliziotto sono al servizio del governo. Di interessi superiori, vicecommissario aggiunto, interessi superiori».
Peccato che Lucarelli abbia interrotto la serie di De Luca, sebbene il libro abbia in finale aperto. Chissà come avrebbe visto il dopoguerra, il boom, un poliziotto come De Luca. Con la sue nevrosi, le sue tensioni, la sua capacità di far bene il suo lavoro di investigatore. A metà strada tra Maigret e Ingravallo, il personaggio inventato da Gadda e portato sullo schermo da Pietro Germi ne “Un maledetto imbroglio”. Che come lui, ripete “Non sono dottore, non sono dottore”.
«Non sono dottore, non sono dottore .. »
Scala gli era arrivato alle spalle, senza che se ne accorgesse, «ho conosciuto un altro che lo diceva sempre .. come si chiamava .. Germi, no, Ingravallo .. il commissario Ingravallo, lo conosce?»
 
«L'ho incrociato una volta .. a Roma».
La scheda del libro sul sito di Sellerio e il blog di Carlo Lucarelli.
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