01 luglio 2014

Una mutevole verità, di Gianrico Carofiglio

La cosa più vicina ad un poliziesco classico che abbia mai scritto” dice Gianrico Carofiglio nella quarta di copertina, ed è sicuramente vero: abbandonato per il momento l'avvocato Guerrieri (che pure in questa storia fa una breve apparizione in un quasi cameo di passaggio), Carofiglio crea un nuovo personaggio, protagonista di questo noir ambientato nella Bari di fine anni '80.
Si chiama Fenoglio il maresciallo dei carabinieri che conosciamo in queste pagine; Fenoglio come lo scrittore: in realtà lui aveva pure iniziato gli studi in lettere, ma poi il destino e l'ostinazione paterna affinché seguisse le orme del padre, hanno preso il sopravvento.
Ma, nonostante i gradi sulle spalline, si capisce che qualcosa deve essere rimasto degli umanisti, dentro questo maresciallo dei carabinieri così riflessivo, pacato, che disprezza la violenza anche se sa che fa parte del suo lavoro.
"Fenoglio rimase in silenzio. Era l'indagine dei sogni. Tutto perfetto, tutto che si incastrava come in un rompicapo risolto. E allora perché quel disagio. Perché quella sensazione indistinta? Come una parola che hai sulla punta della lingua. Come un odore lieve, sospeso nell'aria, a cui non sei capace di dare un nome".
Pietro Fenoglio è più Maigret che uomo d'azione: lo si capisce dal modo con cui parla con le persone con cui ha a che fare per il suo lavoro. Che siano i suoi collaboratori, imputati, delinquenti, confidenti o assassini rei confessi. La stessa umanità, lo stesso rispetto.
La stessa capacità di intuire i pensieri della persona che ti trovi di fronte da uno sguardo, un'espressione, una battuta.

Ma ha anche un'altra dote, che lo rende unico e prezioso nell'universo degli investigatori (di carta si intende): il maresciallo dei carabinieri Fenoglio è una persona capace di osservare le note dissonanti.
Anche nei casi apparentemente più fortunati. Come quello che gli capita tra le mani.
Un signore di mezza età ucciso con una coltellata nel suo appartamento.
Un caso che è il sogno di ogni poliziotto o carabiniere: l'assassino che lascia delle tracce da cui ricavare delle impronte. Una testimone un po' pazza che ha incrociato l'assassino, saprebbe riconoscerlo e ha pure preso il numero della targa.
Cosa volere di più?
Ottimo, quando un'indagine prende un'accelerazione cosí immediata e rapida. Però il rischio, in questi casi, è di mettere a fuoco una cosa soltanto, e di tralasciare ogni altro dettaglio, che magari è importante o addirittura decisivo. E lí c'era qualcosa fuori posto, che non era riuscito a identificare. Un'incoerenza, un elemento dissonante. La dote fondamentale dello sbirro è proprio questa, Fenoglio lo aveva sempre pensato. Andare alla ricerca delle discontinuità, delle note dissonanti
Percepire quello che agli altri sfugge: i piccoli oggetti mancanti, le posture innaturali, i gesti forzati, i lievi affanni, i rossori, gli sguardi che sfuggono o indugiano troppo. Chi c'è e invece non dovrebbe esserci; chi va piano e invece dovrebbe andar veloce o chi va veloce e invece dovrebbe andar piano; chi si guarda attorno o chi sembra non guardare nulla; la loquacità eccessiva oppure il mutismo. Le regolarità alterate oppure esasperate. Le presenze o le assenze, come nel suo racconto preferito di Sherlock Holmes, silver Blaze”.
Il morto si chiamava Fraddosio e, grazie alla testimonianza della vedova Cassano in Lattarulo, i carabinieri arrivano ad arrestare Nicola Fornelli, figlio di un commerciante: era lui la persona che è salita in macchina dopo aver incrociato la testimone, con uno strano sacchetto in mano.
Tutto semplice, forse anche troppo: ma allora perché quella sensazione che ci sia qualcosa di stonato in tutta la storia?
"Fenoglio rimase in silenzio. Era l'indagine dei sogni. Tutto perfetto, tutto che si incastrava come in un rompicapo risolto. E allora perché quel disagio. Perché quella sensazione indistinta? Come una parola che hai sulla punta della lingua. Come un odore lieve, sospeso nell'aria, a cui non sei capace di dare un nome".
Ecco, è proprio questa sensazione che spinge il maresciallo, e i suoi collaboratori, ad andare avanti con le indagini. Perché c'è qualcosa che non ritorna in questa soluzione. Perché il ragazzo avrebbe dovuto uccidere Fraddosio che, si scopre poi, faceva pure prestiti a strozzo?
Perché il ragazzo si rifiuta di rispondere alle domande, trincerandosi in un silenzio, come se volesse proteggere qualcuno?
È qui che il nostro protagonista dimostra le sue doti di investigatore: la capacità di dubitare e di non affezionarsi ad un'ipotesi. E il saper guardare le cose da un punto di vista diverso.
- Per cercare di ricostruire cosa è successo nel passato dobbiamo immaginarci una sequenza di fatti. Cioè, appunto, una storia. In altri termini: come potrebbero essere andati i fatti. Una storia plausibile deve includere gli elementi che abbiamo già e deve essere verificata attraverso le ricerche di nuovi elementi. [..]
- C'era un magistrato con cui ho collaborato per anni. Mi ha insegnato un sacco di cose, ma due in particolare hanno cambiato il mio modo di fare il lavoro.
- Quali?
- Una è quella che ti ho appena detto. Per risolvere i casi complicati bisogna essere capaci di ricostruire una storia, partendo dagli indizi disponibili, che contenga una spiegazione plausibile di tutti gli elementi che abbiamo. Ci vuole una certa dose di fantasia ed è un lavoro simile a quello di uno scrittore. Una volta costruita questa storia, che è, in sostanza, un'ipotesi su come potrebbero essersi svolti i fatti. Bisogna andare alla ricerca delle conferme. [..]
La cosa peggiore che può fare un investigatore è innamorarsi della propria ipotesi, ignorandone le debolezze ed evitando deliberatamente di vedere gli elementi che la contraddicono”.
Sentiremo ancora parlare del maresciallo Fenoglio, magari in una nuova indagine a fianco dell'avvocato Guerrieri.

La scheda del libro sul sito di Einaudi.
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