03 novembre 2018

La paura nell'anima, di Valerio Varesi



Incipit
C'è anche chi non sopporta il canto dei grilli. Quell'unica nota di solfeggio che accompagna i tormenti degli insonni, ricordando loro come un palpito diffuso il mondo là fuori e gli incubi che aspettano ingigantiti dalla notte. E' il battito cardiaco che sale dalla terra a interrompere la quiete, con il suono stridulo della lima da ferro.

Ancora una volta Valerio Varesi ha fatto centro, con questo romanzo che usa a pretesto i meccanismo del giallo, per raccontarci delle nostre inquietudini, delle paure che si sono radicate dentro la nostra anima e che hanno cambiato il nostro modo di vivere.
Anche sulle colline dell'Appennino, dove il commissario Soneri decide di trascorrere le sue vacanze, al riparto dall'afa cittadina.
Nel precedente romanzo, “Ilcommissario Soneri e la legge del Corano” si parlava di periferie abbandonare, della convivenza tra culture diverse e di una politica che non ha saputo gestire l'integrazione lasciando spazio alle destre xenofobe della giustizia fai da te.
In questo romanzo ci troviamo ad Altipiano, piccolo borgo dove ci si conosce tutti, il sindaco, il fornaio, il postino, il proprietario della locanda e la moglie.
Il maresciallo della stazione in paese, che è il maresciallo che immaginiamo in un posto come quello, uno che viene da fuori, quasi un estraneo, uno che se può, cerca di non vedere tutte le rogne del paese.
Ma d'altronde che cosa può succedere un posto come questo, dove le persone sono dedite alla caccia o alla ricerca dei tartufi da vendere al mercato?

Succede che c'è il suono dei grilli, che inquieta per chi è abituato al frastuono delle città.
E poi un grido, che arriva dai monti, nemmeno troppo lontano, che risveglia Soneri e Angela, la sua compagna e poi tutto il paese:

Una nota vibrante d'angoscia come un belato. Era quella imprecisata lontananza ad impaurire, come una voce disumana scaturita da una fenditura della terra. A quel punto non c'erano più dubbi.
«E' qualcuno nel bosco», sentenziò Angela.Soneri continuava a rimanere in silenzio..
 
«Vai a vedere?», gli suggerì Angela.«Hai paura?» chiese il commissario. Gli era uscita quella domanda quasi involontariamente.

Arriva la paura. Già nelle prime pagine Varesi, fa uso di questa parola in situazioni diverse, la paura che nasce da quel grido, di cui non ci conosce la provenienze né tanto meno di chi sia la voce.

La paura atavica della natura, per i lupi che popolano quelle montagne e i cui ululati riempiono il silenzio della notte, rivendicando il possesso di quei territori in cui l'uomo si sente non più cacciatore ma preda:

«Ci avranno assaggiati e non gli siamo piaciuti. Si fa poi presto a spargere la voce», scherzò Soneri. 
«Vale la stessa legge per gli uomini: se avranno paura ci gireranno alla larga, se capiranno quanto ci siamo rammolliti cominceranno a sbranarci uno di qua, uno di là, tanto per farci capire chi comanda». 
«La paura … Cos'è il mondo? Una caserma?» 
«Non so», disse il maresciallo mentre viaggiavano verso il paese. «Però sono sicuro che quando la gente ha paura, il mondo funziona meglio». 
«Paura o rispetto?» 
«Oh, faccia lei..»

E, infine, la paura dell'ignoto, quella di cui non ci conosce l'origine, perché non nasce da un pericolo reale, il leone che cerca la sua preda nella Savana. Ma è la paura dell'imprevisto, di quello che non riesci a dominare.
La paura peggiore:

Il commissario si voltò, fissandola. «E' molto strano», disse. 
«Cosa?» 
«Che non tolleri il canto dei grilli o il silenzio.» 
«Abbiamo tutti un po' paura a restare soli con noi stessi.» 
«Angela, tu sai cos'è la paura? L'hai capito?» 
«Un uccello che svolazza e non trova mai dove posarsi.» 
«Come il pipistrello.» 
«Si. Come lui, cambia direzione all'improvviso, non è mai prevedibile e per questo risulta sconcertante.»

Ecco, Valerio Varesi ci porta a conoscere, a scoprire questa paura: la paura dell'imprevedibile, del soprannaturale, di un fantasma. Come Vladimir il russo, un criminale scappato di prigione nonostante la condanna per delle rapine (in cui è anche scappato il morto) e che sarebbe stato avvistato da quelle parti.
E' lui che ha ferito Brunetti, l'uomo del grido, che viene portato giù in paese da Tilò a dorso del suo mulo, Teresa?

Che poi, Vladimir il Russo nemmeno esiste, il vero nome di questo criminale dai mille volti e Vuikocic ed è originario dalla Serbia:

Era un trasformista, ora impiegato con gli occhiali di metallo, ora in tuta e cappellino, ora incravattato con la valigetta, ora con la camicia sbottonata e gli occhiali a specchio. Solo la statura rimaneva costante e una certa postura trattenuta suggeriva un'idea di timidezza, l'ideale per passare inosservato. Era un personaggio inquietante, con un curriculum criminale alquanto bizzarro.

Non c'è solo il ferimento di Brunetti su un montagna. C'è anche la sparizione di un ragazzo, Maurizio Martelli: un ragazzo un po' strano, uno che andava in giro di notte da solo, niente moglie né fidanzata, uno che aveva detto ai genitori di essersi laureato ma non era vero.
Si fa in fretta a far girare le voci nel paese, specie se sono voci che parlano di delitti, di qualcuno che ti può entrare in casa e minacciarti con la pistola o spararti mentre sei in giro nei boschi.

Ci vuole poco a creare il caso, la paura che inizia a serpeggiare nel paese fa da combustibile: così in paese arriva l'esercito, anzi, un reparto di carabinieri in assetto da guerra, col compito di snidare questo “Vuikovic il serbo”.
E Soneri si trova anche lui dentro questa storia, anzi, c'era già dentro senza essersene accorto fin da quando aveva cominciato a fare le prime domande.
Su richiesta del pm, si occuperà lui della scomparsa del ragazzo, lasciando ai carabinieri il compito della caccia all'uomo. Scomparsa che diventa un caso di omicidio, quando il ragazzo viene trovato morto, sempre in quei boschi oscuri, per una fucilata in faccia con un fucile da caccia.
Anche questo è un delitto di Vuikovic? E per quale ragione? E perché avrebbe spostato il cadavere, visto che, per il poco sangue ritrovato, il ragazzo non è stato ucciso nel bosco?

«.. Non so dove sia nata l'insicurezza, forse è solo suggestione. La tua compagnia di assicurazione ti propone una polizza contro gli atti vandalici, nella posta trovi un'offerta per la porta blindata, un tuo collega mette le inferriate. Poi esce una legge che ti obbliga a installare un sistema d'allarme, i faretti e la videosorveglianza. E non vuoi stipulare un contratto con il metronotte che passa due volte? Ci abbiamo pensato a lungo io e mio marito e ogni volta che dicevamo no ci prendeva uno strano senso di colpa, una sensazione di incoscienza di fronte al pericolo.»«Credo che non ci sia alcun pericolo», disse Soneri, scuotendo la testa.«Non è necessario che ci sia per davvero. E' più insidioso ciò che sta dentro di noi di quello che c'è fuori. Anche se adesso con quel tizio …»

Mentre il paese diventa il set di una potente (ma alla fine inutile) caccia all'uomo, la presenza del serbo scatena tra le persone una serie di reazioni a catena dalle conseguenze drammatiche.
Non è solo la paura, a spingere le persone a diffidare di chiunque, di chiunque sia estraneo.
La badante ucraina che forse è in contatto con quel criminale, perché è dell'est anche lei.
Quel tizio che è andato in farmacia e ha ordinato dei medicinali ma in una quantità sospetta.
Il fornaio che accusa quel signore che compra troppo pane, come se non fosse solo per lui.
Perfino Tilò, il montanaro che ama la montagna e la sua mula, che anche quando è sbronzo non farebbe del male, anche lui viene accusato di essere in combutta col serbo, per quel suo andare su e giù dai monti.
Il commissario cominciava ad indispettirsi. Ne aveva abbastanza di ambiguità. Il paese pareva sospeso su una nube, congelato in quel momentaneo equilibrio in cui cessa la spinta verso l'alto e non è ancora cominciata la spinta verso il basso. Un alone di mistero lo avvolgeva.

Il commissario affianca il maresciallo Gualtieri nell'indagine dentro il paese, ma è come se facesse fare tutto da solo, perché Gualtieri non è uno di quelli capaci di prendersi delle iniziative anzi, è uno che si nasconde dietro le pieghe delle procedure.
Le domande del commissario portano a scoprire tante storie, tra gli abitanti del borgo: piccole menzogne, brutte dicerie alle spalle delle persone, che finiscono marchiate a vita. E anche tanti piccoli ricatti e omertà che fino all'arrivo del serbo erano rimasti a covare in silenzio, come il fuoco sotto la cenere.
Ma ora esplodono, in tutta la loro drammaticità.
Nulla sarà come prima, nel paese, dove si sono rotti tutti gli equilibri che tenevano assieme la comunità (anche se nella menzogna, anche se nella finzione), e anche per Soneri.
Che osserva quei luoghi, dove aveva passato momenti felici, e che ora non riconosce più:
Mai quei monti gli erano apparsi così ostili. Era come non riconoscere un amico. Scoprire improvvisamente che ti incute timore.

Posti che non si riconoscono perché sono cambiati. Non perché è arrivato lo spirito maligno delle credenze popolari, Il Baffardello, o Vuikovic il serbo che attraversa la storia come un fantasma: ma perché la bramosia dell'uomo ha trasformato in una industria per fare soldi. Come la caccia a frodo di cinghiali e di caprioli da vendere poi come carne biologica …

«Mi chiedo da dove nascano l'inquietudine e il timore. Non può essere solo un pazzo che minaccia.» 
«Dall'assenza di prospettiva. Siamo soli con il nostro destino che ci intimidisce. Ci fa paura il mondo e questo ci rende aggressivi. E il punto di vista del criminale che dovresti conoscere. L'individuo e il suo tornaconto, nient'altro. ..»

La paura, quella di cui abbiamo letto nelle prima pagine, attraversa tutto il libro. La paura per un nemico che non si vede, un fantasma appunto.
La paura che avvelena i rapporti tra le persone, che ti entra dentro fino a far uccidere.
C'è un delitto nella storia e ci sarà anche una soluzione, parziale, a fine racconto.
Soneri capì che non avrebbe mai saputo. Ogni delitto aveva un lato oscuro ma a volte decisivo. Un ipogeo magmatico e inestricabile per densità. E quel lato era spesso sconosciuto anche agli stessi assassini. In un certo senso non si è mai soli quando si uccide, pensò il commissario. C'è sempre un complice senza volto che ci accompagna.

Ma il delitto principale è quello causato dalla paura esistenziale in cui viviamo tutti, oggi: per questo racconto Valerio Varesi si è ispirato alla storia di Igor il russo, che non si chiamava Igor e non era nemmeno russo, per messo sfuggito ai rastrellamenti delle forze dell'ordine tra Ferrara e Bologna.
Dall'intervista dell'autore a Panorama

Come nella realtà, anche ne La paura nell’anima, il criminale protagonista che tutti cercano sembra esistere quasi più sui social network che nella realtà “fisica”. Hai voluto in questo modo affrontare il tema, sempre più attuale, del rapporto tra la nostra dimensione virtuale e quella fisica? 
In questo senso Igor è il modello del criminale moderno. Trasformista, mimetico, capace di presentarsi sotto varie forme, intelligente e abile nella dialettica. E’ riuscito a essere tragicamente reale uccidendo cinque persone, ma la tempo stesso virtuale presentandosi impalpabile sui social per poi scomparire. Per la gente d’Emilia che lo temeva era una presenza/assenza, qualcosa di inafferrabile e ubiqua dunque più temibile. Nell’immaginario del mio romanzo, che trasferisce lo scenario dalla Bassa tra Bologna e il delta del Po all’alto appennino, i montanari rivivono le presenze arcaiche e mitologiche del folletto e del baffardello, dei luoghi in cui si vedono strane luci e si sentono voci. In questo senso Igor è moderno, ma risveglia qualcosa di molto antico.

Si può dire che il tema di fondo del romanzo sia, come suggerisce il titolo, il diffondersi di un sentimento di paura nella coscienza collettiva e individuale sempre più pervasivo e profondo. Che opinione hai delle risposte che la politica sta dando a questo stato d’animo collettivo?
 
Sì, è così e la politica ne approfitta. È la paura che nasce dall’assenza di speranza, dalla mancanza di senso collettivo dopo la fine delle grandi narrazioni della storia entro le quali gli individui potevano incamminarsi. In una società tecnocratica con leggi solo economiche, le persone si sentono gettate nel mondo e il loro orizzonte è chiuso. La politica approfitta dello stato di paura per fornire facili soluzioni con propositi ridotti a slogan salvifici. Con questo ottiene consenso ma lentamente corrode la democrazia verso svolte autoritarie.

L'intervista a Panorama completa
La presentazione del libro a La passione per il delitto ad Erba

La scheda del libro sul sito dell'editore Frassinelli
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