Inpicit
Un lenzuolo steso fra i tetti e le cimase, puntellato dai colmi, dalle canne fumarie, dai merli ghibellini, gonfio, pesante, pallido, striato di fuliggine, opprimente, un panno sporco, caliginoso, pronto a cedere, a rovinare sulle teste dei passanti, un sudario infetto, estenuante, che batteva nelle tempie, tagliava il fiato, escludeva l’orizzonte.Questa fu la prima sensazione di Sasà, appena fuori dal portone. Il cielo come una copertura, un soffitto, sulla piazza Filangieri. E poi il cantiere della nuova metropolitana, a pochi metri dal carcere. La città che cambia, che sale, che scava, che costruisce, che non si ferma mai. Quattro anni di galera e va a finire che non riesco neppure ad orientarmi.
Dentro quest'ultimo libro, Il sapore
del sangue, c'è dentro tutto il Biondillo che abbiamo conosciuto e
amato nei suoi precedenti romanzi.
Le periferie e il centro della
sua Milano: le prime che forse abbandonate no, ma un po' dimenticate,
troppo lontane dalle luci delle vetrine e dei palazzi che svettano
verso il cielo.
Milano che non è solo il Duomo, i grattacieli (quelli di Citylife, dove abita uno dei protagonisti) e le vetrine delle vie dello Shopping.
Milano che è una città dinamica, multietnica, dalle mille facce, con mille dialetti e mille voci. E con ancora troppi problemi da risolvere.
Come la criminalità (non solo la criminalità da strada) che viene
raccontata dal di dentro, non riportando un modo pedissequo le
cronache dei giornali.
C'è il racconto di come ha fatto un
ragazzo svogliato a passare dall'ultimo banco della scuola, a
diventare prima un cavallo della droga per conto della Camorra, e poi
un feroce criminale per conto della Locale milanese.
Una storia criminale che scopriremo un
pezzo per volta, grazie a tanti piccoli flash back indietro nel
tempo.
Il racconto delle mafie a Milano e
delle loro dinamiche dall'interno: i loro rapporti nei confronti
della politica, della borghesia imprenditoriale, quella che Milano è
la locomotiva del paese, che se potessimo starcene da soli..
E poi quegli splendidi personaggi
raccontati con la solita ironia, tagliente e onesta, uomini e donne
alle prese con la vita. Che scorre e va anche per l'ispettore
Michele Ferraro, antieore, pigro e un po' indolente, non un
gourmet, non un tombeur de femmes: uomo e padre con molti difetti,
separato da una moglie a cui è ancora legato e con una figlia
diventata grande oramai.
Incontriamo l'ispettore Michele
Ferraro del commissariato di Quarto Oggiaro dopo una notte diturno alle prese con le denunce dei milanesi brava gente, quelli che
io mi alzo presto, che ci vorrebbe una guerra per quelli (come se una
guerra sistemasse mai le cose), che sono stati gli zingari, no gli
alieni, come gli racconta il "pancotto paranoico", l'ultimo
cittadino che sporge denuncia all'apposito ufficio.
Ferraro, negli anni, aveva chiuso ogni account a suo nome in rete. Niente pagine sui social, niente blog, niente di niente.Non guardava neppure i commenti agli articoli sui quotidiani on line. Era una forma di igiene mentale. Non ce la faceva più leggere sul divano di casa quel ciarpame da leoni da tastiera per poi risentirlo identicamente rabbioso, da vivo, ad ogni denuncia in commissariato. Era come si fosse rotta ogni diga.Non c'era più differenza tra il virtuale e il reale. Nessun pudore, nessuna remora, nessun codice di civile convivenza. Non era vero che la rete imitava in sedicesimo la realtà Era la realtà che era diventata una copia ipertrofica della rete.
Il sapore del sangue è
un romanzo che si gioca tutto nell'arco di 48 ore, in una Milano
fredda e sommersa dalla neve (vi ricordate quella nevicata del 1985?
Ecco, proprio quella..), dove la vita dei protagonisti di questa
storia subisce una brusca accelerazione per il succedersi di una
serie di eventi inattesi.
Un detenuto, Sasà Procopio, che
esce da San Vittore in una fredda mattina di gennaio, respirando dopo
quattro anni di carcere l'aria della libertà. Come ha fatto ad
uscire dal carcere, visto che rischiava una pena da 30 anni per i
reati fatti? Che cosa ha intenzione di fare, quali i suoi progetti in
questa Milano che stenta quasi a riconoscere?
... Aveva le orecchie ghiacciate. La destra e ciò che restava della sinistra. Tirò su il cappuccio della felpa, troppo leggera, primaverile. Il tempo di farsi portare un giaccone pesante non c’era stato. Meglio così, nessuno deve sapere che sto respirando da uomo libero. Finché mi credono al gabbio ho tutto il tempo che voglio, si tratta solo di usarlo bene. Niente cazzate, si diceva. Aveva un piano, l’aveva studiato nelle notti insonni, nelle mattinate in cella al quarto raggio, nelle ore d’aria. Niente cazzate e tutto andrà come deve andare.
Il giovane rampollo della famiglia che
controlla la locale ndranghetista di Milano: giovane e
rampante, a capo di una piccola gang che dovrebbe occuparsi della
raccolta del racket (ma la mafia a Milano c'è ancora?) e che si fa
prendere la mano quando incontra quel signore anziano col cappuccio
calato in testa per coprirsi dal freddo.
L'uomo di fiducia della stessa
famiglia, quello che tiene i rapporti con la politica e con
l'imprenditoria, chiamato "Ciccio pasticcio" (ma non
davanti a lui): è così spaventato dalla scoperta che Sasà è
uscito dal carcere da sudare freddo. Com'è possibile aver paura di
qualcuno, se sei dentro una famiglia che controlla diversi business
nel cuore di Milano, che ha le spalle coperte per le potenti amicizie
con la politica regionale (quella di casa e famiglia, dei valori
tradizionali di giorno, ma delle cene eleganti a base di sesso e coca
di notte)?
Se don Pietro fosse venuto a conoscenza dell'oro, per Greco sarebbe stata la fine, la goccia che avrebbe fatto traboccare il suo fragile vaso.Non si fanno affari fuori dalla famiglia. Non si mette la famiglia in difficoltà. Non si fanno gesti eclatanti. Lasciamo che si ammazzino in Aspromonte, in Sila. I giornali non ci fanno caso, sono morti di serie B. Ma nella capitale economica non si muore. Meglio evitare. I milanesi ammazzano al sabato perché il resto della settimana sono occupati a gonfiare il fatturato.
Infine tre donne, anche loro legate a
quell'uomo appena uscito da San Vittore e la cui vita è stata
condizionata da quella persona. La sorella Nunzia, Anna la giovane
moglie e Chiara la figlia.
Anche loro hanno pagato il prezzo
del sangue per quel fratello che non aveva lavoro ma che faceva
regali costosi ai genitori e al nipote. Per quel marito che riceveva
nel suo bar persone che nemmeno si potevano nominare. Per quel padre
che hai visto per anni dietro le sbarre.
No, signori. Non chiamiamolo solo
romanzo di genere, questo non è solo un giallo.
E' un racconto della Milano che è,
delle classi sociali che non esistono più o che stanno scomparendo.
Delle periferie che cambiano nome per
darsi un tono internazionale
Poi, senza rendersene conto, un po' alla volta, come un farmaco inoculato goccia a goccia aveva, cambiato quartiere. Senza mai trasferirsi. Non abitava più in una ex portineria in zona via Padova. Ora alloggiava in un loft di Nolo. Che era sempre la ex portineria ma detto in modo più figo. Ed era sempre nella stessa traversa della via principale dello stesso quartiere, ma chiamato con un altro nome. Perché qualcuno, pare un gruppo di giovani designer, aveva deciso per gioco di rinominare così tutta la zona nord di Piazzale Loreto. Nord Loreto. Nolo.
Di persone sempre più incazzate,
impaurite, esasperate.
Scese le scale che portavano in metropolitana. Restava l'opzione più ragionevole, il traffico automobilistico era un vero delirio. Una volta non sarebbe stato così semplice, pensò. Quando doveva andare in centro da Quarto era un viaggio degno di Chatwin.Ora fra metropolitane, passanti, ferrovie ci si muoveva in fretta. Era come se avessero avvicinato i quartieri tra di loro, come se la città borghese non fosse così lontana. Ma persino la categoria gli sembrava poco convincente. Città borghese e periferie operaie. Aveva ancora senso? Non c'erano più fabbriche a Milano, non c'erano più operai, case del popolo, sezioni di partito, feste dell'Unità. Non c'erano più comunisti a Milano. Gli ultimi che vedeva vagare per le strade sembravano perduti nel tempo e nello spazio. Che fine aveva fatto la classe operaia, che ne era dei suoi ideali? Eppure le persone erano le stesse. Invecchiate, spaventate, incattivite.[..]Ma a voler essere obiettivi c'erano stati periodi peggiori, molto più difficili, molto più pericolosi di ora. Eppure la gente si lamentava, viveva nel sospetto, nella paura.Alla fermata di Porta Garibaldi il vagone si svuotò. Ferraro seguì l'onda. Avevano perso la speranza, ecco cos'era cambiato. Quelle persone, i suoi vicini di casa, i suoi amici di cortile, i suoi compagni di classe, erano prontissimi a vivere in un posto di merda, ad ammazzarsi di lavoro, a ingoiare rospi ogni giorno se questo significava offrire una vita migliore ai loro figli.L'alba luminosa li aveva illusi, il sol dell'avvenire a conti fatti si era dimostrato un semplice tramonto. Da qui la frustrazione incontenibile.
E poi, signori, tanto di cappello per
il meccanismo perfetto messo in atto dal Gianni Biondillo: un
meccanismo preciso dove ogni ingranaggio funziona alla precisione,
dove tutto sembra collegato e dove un'azione irrilevante può avere
poi conseguenze devastanti per l'effetto "farfalla".
Poco alla volta, andando a scoprire un
pezzo alla volta del suo passato, scopriremo la storia di questo
criminale, Sasà, della sua ascesa dentro la locale, della sua
ferocia, e della sua dipendenza dal sapore del sangue.
PS: in questo romanzo c'è un grande
ritorno, l'ex ispettore Lanza che torna al suo commissariato col
ruolo di dirigente.
E poi c'è una scena, esilarante, di
Ferraro alla ricerca del cellulare perduto, che viene rintracciato
grazie al movimento della scarpa destra...
Nessun commento:
Posta un commento