Il crollo del ponte Morandi a Genova,
in una mattina di agosto: 43 morti, tante speculazioni politiche, tra
quanti dicono “io l'avevo detto”, “i controlli erano a norma”,
“solo colpa vostra”.
E poi la scomparsa delle edicole e
degli edicolanti, stretti in mezzo agli accordi con gli editori e ai
lettori di giornali che scarseggiano.
Ma prima dei due servizi principali, un
approfondimento sul verde pubblico
SIAMO AL VERDE di Alessandra Borella
Abbiamo visto tutti le immagini degli
alberi caduti in mezzo alle strade, schiacciando auto e a volte anche
causando delle vittime.
E' successo per colpa di un evento
eccezionale (e se così fosse, ce ne saranno altri nel futuro di
eventi eccezionali?) oppure anche queste cadute sono colpa della
cattiva manutenzione del bene pubblico?
A Milano esiste un archivio digitale
delle migliaia di alberi di proprietà del comune: ma qual è la
situazione in altri comuni, per esempio nella capitale Roma che
possiede 330mila alberi e dove ne sono caduti in centinaio?
Siamo in grado di conoscerne il numero,
lo stato di salute, la dislocazione nelle aree?
Una
legge del 1992 imporrebbe che per ogni neonato se ne debba re
impiantarne un altro: viene rispettata?
Ma che senso ha impiantare un albero se
poi non vengono tenuti bene?
Da nord a sud è emergenza maltempo. Alluvioni, frane, crolli in tutta Italia. Sono centinaia gli alberi caduti, e l’asfalto è divelto dalle radici. Ma avevano le dimensioni adeguate e proporzionate a garantirne la stabilità? Qual era lo stato di salute di queste piante? Basta da solo il maltempo a spiegare l’emergenza o la manutenzione non è all’altezza del nostro patrimonio arboreo? L’analisi della sua stabilità e le cure adeguate possono evitare i disastri degli ultimi giorni e la riforestazione urbana dovrebbe coinvolgere tutte le nostre città. C’è una legge nazionale che impone di piantare un albero per ogni bambino che nasce, ma è caduta nel dimenticatoio. A Pisa la rispettano, e l’amministrazione ha scelto di mettere il verde pubblico al centro della sua agenda, con una riqualificazione che le ha fatto vincere un premio internazionale. Ci sono comuni che promuovono modelli virtuosi, come quello di Alghero, che ha coinvolto la cittadinanza nel baratto amministrativo: un risparmio per il comune e anche per i volontari che si occupano del verde e ricevono in cambio uno sconto sulla tassa dei rifiuti. Ma che succede nelle altre città, a partire dalla capitale?
Perché quel
ponte è crollato.
L'ultima notizia sul crollo del ponte riguarda un tondino d'acciaio
che sarebbe caduto da un tir, che in quel momento passava sul ponte
Morandi.
All'inizio si diceva che era colpa di un fulmine, addirittura c'era
chi parlava di un attentato.
Ancora oggi esistono tante ipotesi sul crollo del ponte Morandi a
Genova, quel 14 agosto scorso, ma nessuna causa certa del cedimento
degli stralli.
Ci sono volute settimane per quel decreto Genova, da parte del
governo del Cambiamento, quello che via social aveva subito puntato
il dito sulla concessionaria Aspi. Ma ancora oggi non si conoscono i
tempi per la sua ricostruzione né chi la eseguirà.
Vedremo se Aspi rimarrà fuori.
L'unica
cosa certa è che il ponte Morandi è crollato, uccidendo 43 persone:
nel servizio di Giovanna Boursier sentiremo l'intervista al ministro
Toninelli, ad un ingegnere di Autostrade per l'Italia e
al presidente della Liguria Giovanni Toti.
Il concessionario, ASPI, per legge, aveva l'obbligo di provvedere ai
controlli e alla manutenzione, utilizzando i proventi dei pedaggi:
manutenzione che, se anche c'è stata, non ha impedito il crollo.
IL
perito di ASPI racconta alla giornalista la sua ipotesi sul
crollo: la prima causa non è da imputare al cedimento dello strallo,
né il sovraccarico e nemmeno il brutto tempo.
Sono intervenute più cause, di natura eccezionale, che non si
potevano prevenire, perché “noi progettisti non possiamo garantire
la sicurezza assoluta”.
Il crollo è cominciato dalla “campatina” centrale: gli stralli
sono rimasti su, se si guardano i filmati – prosegue l'ingegnere –
si vede che la campata non c'è più.
Giovanna Boursier ha chiesto anche dei sensori: se ci fossero stati,
il crollo si sarebbe potuto prevenire?
No, nemmeno coi sensori.
E allora perché stiamo installando 300 sensori sulla parte rimanente
del ponte, per monitorarlo e per consentire agli sfollati di
rientrare nelle case per riprendersi i loro beni?
“Stanno misurando i movimenti del ponte” la risposta del perito.
Un ponte che nel 1993 ha subito un primo intervento di riparazione
sul primo strallo, poi per 25 anni non si fa più niente: nel 2015 si
decide di fare dei monitoraggi ma Autostrade non monitora, perché
considera inutile l'uso dei sensori.
“Qui il problema è un evento accidentale che è intervenuto in una
certa condizione”: la tesi difensiva di ASPI è questa, anche coi
sensori non si sarebbe potuto fare niente.
Il ministro Toninelli ha spiegato poi il contenuto del decreto per
Genova: 72,3 ml per gli sfollati, 35ml per le imprese danneggiate e
30 ml per la cassa integrazione in deroga (per le 1700 persone tra
privato e pubblico colpite dal crollo).
Ma nel decreto ci sono anche i condoni per Ischia e l'innalzamento
della quota per i fanghi industriali.
No, non è un condono, la risposta, il condono c'era già, il governo
ha chiesto solo di dare una risposta alle famiglie che hanno chiesto
di poter condonare degli abusi.
Come lo chiamiamo, un condonino? Un condono non voluto?
Capiremo mai come è caduto il ponte? Finirà il rimpalleggio di colpe tra ministero, regione e Autostrade?
La scheda del servizio: SOTTO
IL PONTE di Giovanna Boursier in collaborazione di Eva
Georganopoulou e Greta Orsi
Il 14 agosto alle 11.36 crolla il ponte di Genova. Muoiono 43 persone, compresi quattro bambini. Il ponte era stato progettato dall’ingegnere Riccardo Morandi, la cui firma è nel calcestruzzo precompresso e nella struttura a cavalletti. La costruzione finisce nel 1967, e già dieci anni dopo cominciano i problemi, tanto che nel 1993 rifanno i quattro tiranti di un pilone. Dal 2000 l’A10 è in concessione ad Autostrade per l’Italia, a cui spettano i ricavi dei pedaggi ma anche la manutenzione. Subito dopo il crollo la procura di Genova ha aperto un’inchiesta: indagati anche l’amministratore delegato di Autostrade, Giovanni Castellucci, il direttore della Vigilanza del ministero dei Trasporti Vincenzo Cinelli e quattro ingegneri del provveditorato alle opere pubbliche, con l’accusa di omicidio colposo plurimo e disastro colposo. Il problema sembra essere la manutenzione dei tiranti, che doveva partire adesso, dopo tre anni di progettazione, nonostante solleciti a monitorare il ponte con sensori permanenti arrivati da più studi commissionati proprio da Autostrade. Ma Autostrade ci dice: “I tiranti non sono la causa del crollo e la manutenzione non era così urgente. Abbiamo fatto le nostre verifiche”. Nell’inchiesta interviste esclusive al ministro delle Infrastrutture Danilo Toninelli, a un ingegnere di Autostrade, che per la prima volta spiegherà come è crollato il ponte, e al presidente della Liguria Giovanni Toti. Quest’ultimo accusa il governo, ma la sua giunta ha controllato?
La fine delle edicole
Il reddito medio
di un edicolante, racconta il servizio di Bernardo Iovene (qui
una anticipazione su Raiplay), è di 900 euro al mese: non possono
scegliere la merce (i giornali e non solo) da vendere, prendono
profitti troppo bassi sui giornali e poi sono le prime vittime del
crollo dei lettori dei giornali.
Così, dalle
43mila edicole, siamo passati alle attuali 26mila: l'accordo
nazionale con gli editori è scaduto da 10 anni: della fine degli
edicolanti pare non interessi a nessuno.
Come anche della
crisi dei piccoli distributori, coloro che portano i giornali nelle
edicole e che poi si devono occupare di prendersi gli invenduti,
catalogarli e rispedirli all'editore.
Senza alcun
guadagno, perché prendono soldi dai giornali venduti e basta (il 5%
ai centri di distribuzione e un 18,7% lordo alle edicole): così i
distributori si rifanno sugli edicolanti, dicono i sindacati,
scaricando su di loro costi extra, con contratti che gli edicolanti
sono costretti ad accettare.
Iovene ha
intervistato anche il presidente di ADG – distribuzione stampa,
Giancarlo Menta, che ha espresso parere opposto.
In questo scontro,
migliaia di edicole stanno chiudendo: pochi lettori e molti periodici
a poco prezzo (come quelli del gruppo di Cairo ad 1 euro). Che
margine può esserci per l'edicolante?
Eppure Cairo
ritiene che il basso prezzo inviti la gente a comprare il periodico
e, magari, anche altri giornali.
Una sorta di
effetto traino.
“Colpa dei bar”
racconta invece il presidente della federazione editori Riffeser,
dove uno può leggersi gratis un giornale.
Confondendo il
leggere dallo sfogliare..
Come andrà a
finire questa guerra?
La scheda del servizio: EDICOLE
S.O.S. di Bernardo Iovene in collaborazione di Michela Mancini
Erano 43.000 fino a pochi anni fa, oggi forse sono la metà, nessuno conosce il numero esatto delle edicole esistenti, che sono fornite da distributori monopolisti: non possono scegliere la merce da vendere né stabilirne la quantità, devono pagare le riviste settimanali e mensili alla consegna, ne vendono 10 gliene arrivano 20, hanno una percentuale bassissima di guadagno e un accordo nazionale con gli editori scaduto da dieci anni. Calano le vendite, e gli editori per vendere pubblicità abbassano i prezzi dei periodici. Chi ci perde è l’ultimo anello: oggi il reddito medio di un’edicola è di 900 euro mensili. Chi se ne deve occupare? Siamo stati nei centri di stampa e distribuzione dei quotidiani, siamo andati a consegnarli insieme ai trasportatori e passato giornate intere nelle edicole italiane; abbiamo composto un quadro che speriamo possa servire a salvare questa preziosa rete che sta sparendo in silenzio.
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