Siamo arrivati alla seconda ondata del Covid, non per caso, non per un capriccio di un Dio a noi ostile.
Ci siamo arrivati perché passato lo spavento della prima ondata non abbiamo più seguito la ragione, non abbiamo voluto mettere in pratica la lezione imparata.
Tracciamento, medicina sul territorio, rinforzare le strutture ospedaliere, rendere veloci i tamponi, potenziare il trasporto pubblico.
Pensare all'autunno che sarebbe arrivato, con l'influenza stagionale a complicare le cose per cui nemmeno abbiamo il vaccino, nemmeno per le persone a rischio (così dicono i medici) qui in Lombardia.
Forse per questo Report dà così fastidio: perché come il grillo parlante di Pinocchio ci dice quello che sappiamo essere la cosa giusta da fare, ma che non vogliamo fare.
Da fastidio quando parla dei 49 ml spariti dalle casse della Lega ma dava fastidio quando parlava dei conti offshore di Berlusconi, delle relazioni tra Renzi, il costruttore Pessina e l'Unità.
Da fastidio quando parla del governatore leghista Fontana e di quello piddino De Luca.
Due le principali inchieste di questa puntata: la app Immuni, scaricata da 8ml di italiani e che tra mancati avvisi e notifiche errate, fa nasce forti sospetti sua sua affidabilità nel tracciare il virus. Alcune regioni si sono fatte la loro app, ma funzionano?
E poi gli errori commessi in Lombardia: 16mila decessi su una popolazione di 10 ml di abitanti, la Lombardia è una delle regioni al mondo dove il virus ha ucciso di più.
Report ha ricostruito la lunga catena di errori ed eventi a livello globale e locale che l'ha portata ad essere la regione maggiormente colpita in Europa.
Il vandalismo sulle bici
Ci sono due sistemi di bike sharing, quello con le rastrelliere e quello di tipo free-floating, dove lasci la bici dove vuoi segnalandone la posizione via app.
E' questo il sistema più colpito dal vandalismo – racconta il servizio: bici che finiscono nel Tevere o, a Milano, sul fondo dei Navigli, dove ne sono state raccolte almeno 600 racconta Simone Lunghi dell'associazione gli Angeli dei Navigli.
Le bici recuperate si cerca di ripararle, il costo incide per circa un 10%,
La scheda del servizio: Bike shaming di Max Brod
Il vandalismo è da sempre nemico del bike sharing e, a differenza di quanto si può pensare, non è un problema solo italiano, ma globale. Nel nostro paese, nonostante questo ostacolo, in molte città il servizio funziona. A Roma il bike sharing è presente, ma non è mai veramente decollato e la Capitale rimane agli ultimi posti nella classifica per numero di bici in rapporto alla popolazione. Eppure una riforma che prevede il finanziamento delle biciclette condivise è in vigore dal 2014. Prevederebbe sia il finanziamento del bike sharing sia il riordino dei cartelloni pubblicitari. A distanza di sei anni, però, non è ancora diventata effettiva e a mettersi di traverso potrebbero essere state, con i loro ricorsi, proprio le ditte di pubblicitari. Intanto nella giungla della cartellonistica si infilano gli abusivi, che con i loro impianti non autorizzati riescono a fare business senza paura di multe o rimozioni.
Gli errori fatti in Italia
La Lombardia, assieme al Piemonte e alla Calabria dell'imbarazzante commissario Cotticelli (non sapeva che doveva fare il piano, non sapeva quanti posti in terapia intensiva..) è nella zona rossa.
Siamo passati dal riaprire gli stadi, il voler riaprire il Gran Premio di Monza, la Lombardia non si ferma, alla Lombardia in un nuovo lockdown.
I numeri di oggi seguono un trend in crescita che parte da lontano, da questa estate, l'estate in cui abbiamo dimenticato la lezione di questa primavera.
Ve la ricordate questa estate? Quella delle spiagge col distanziamento (ma non ovunque), delle discoteche da aprire per non fermare l'economia?
Emanuele Bellano è partito dalla Sardegna, da quanto successo ad agosto quando si accedeva alle spiagge con tutte le precauzioni per contenere il coronavirus, ma qualcosa inizia ad andare storto e i contagi in Costa Smeralda iniziano a salire.
Marcello Acciaro, dell'unità di crisi regionale: “abbiamo iniziato a vedere tantissime positività, c'era stato un contagio all'interno dei locali.”
Si tratta del focolaio scoppiato il 31 luglio dentro una discoteca a Carloforte, con 21 infetti accertati e 130 persone in isolamento, numeri che in Sardegna erano quelli di aprile, in piena emergenza.
Per questo la regione decide di chiudere le discoteche il 9 agosto: il sindaco di Arzachena racconta però come non ci sia stata una direzione univoca da parte dei gestori delle discoteche e quindi qualcuno ha chiuso e qualcuno è rimasto aperto, c'era una forte aspettativa per una proroga da parte della regione.
Un'aspettativa che si basava sul fatto che il presidente Solinas era intenzionato a prorogare.
Il giorno 11 agosto l'apertura delle discoteche è al centro di un infuocato consiglio regionale: Solinas di fronte alla giunta spiega di essere in contatto col CTS, “che sta valutando con estrema attenzione, visto quello che è successo anche a Carloforte dove purtroppo i contagi si sono realizzati all'interno di una struttura .. in maniera tale da non pregiudicare tutti gli investimento fatti in queste zone”.
Così con una ordinanza ad hoc, il presidente Solinas riapre le discoteche, nelle motivazioni viene citato il parere del comitato tecnico scientifico regionale.
Un parere di cui i consiglieri regionali si sono fidati, almeno a sentire la testimonianza del consigliere Dario Giagoni della Lega.
Massimo Zedda, consigliere di Sardegna Progressisti, chiede però come mai non sia possibile renderlo pubblico, “inizio a dubitare che esista il parere o che, addirittura, sia negativo”.
Come è stata invece gestita in Germania la pandemia durante la prima ondata? Il primo caso è stato di un dipendente della Webasto, azienda che produce componenti per auto alle porte di Monaco.
Il 27 gennaio un suo dipendente contatta il centro per malattie tropicali, ha avuto sintomi non gravi e raffreddore, ma è stato in contatto con una manager cinese risultata positiva al coronavirus.
Come ha spiegato al giornalista il dottor Gunther Froschl, del centro malattie infettive di Monaco, è risultato positivo dopo il tampone, questo è stato il primo caso in Germania.
Qui ci sono stati 580mila casi di positivi: i tamponi molecolari sulla popolazione sono fatti attraverso gli studi di alcuni medici di base, selezionati.
In questi studi si fanno anche due, tre tamponi alla settimana, dove i pazienti si prenotano online, usando una mail, seguendo un protocollo che non mette in contatto i pazienti che devono essere testati con tutti gli altri pazienti che devono accedere allo studio.
La Baviera è stata la regione più colpita in Germania e il governo ha deciso di garantire tamponi per tutti, quelli che ne fanno richiesta, gratis, è lo stato a coprire la spesa.
“Durante la prima ondata di covid, tra marzo e aprile, i medici di base hanno avuto un ruolo fondamentale” - racconta un medico di famiglia - “l'80% dei positivi sono stati individuati negli studi dei medici di base, così abbiamo evitato che finissero dentro gli ospedali”.
In Italia i medici di base non hanno mai eseguito tamponi e i pronto soccorso e i reparti degli ospedali sono stati inondati da pazienti positivi che hanno contagiato medici, infermieri e altri pazienti ricoverati.
Thomas Benzing è un medico che insegna all'università di Colonia: “il segreto per affrontare il covid è il testing, devi testare in anticipo, quelli che testi oggi tra un paio di giorni potrebbero essere ricoverati ed occupare le terapie intensive, devo monitorare continuamente il territorio.”
Nella prima fase sono stati fatti 500mila tamponi alla settimana, spiega il presidente dell'ordine dei medici al giornalista, per arrivare fino ad 1 ml alla settimana.
In Italia nel primo mese di pandemia abbiamo fatto in tutto 230mila tamponi, tanti quanti la Germania ne faceva in tre giorni: alla fine della prima ondata la Germania conta 9400 morti, l'Italia 36000.
Numeri difficili da spiegare, tanto che sulla stampa si parlava di dati tedeschi falsati: in Germania tutti i pazienti che entrano in ospedale sono sottoposti al tampone, quelli che muoiono e che risultano positivi, sono conteggiati come morti di covid.
Christian Karagiannidis (presidente della divisione delle terapie intensive) ha mostrato a Emanuele Bellano la mappa delle terapie intensive in Europa: la Germania è completamente verde, ha il maggior numero di posti per numero di abitanti, all'inizio della pandemia ne avevano a disposizione circa 28mila, ma erano in grado di aumentarne il numero in una settimana fino a 40mila posti.
In Italia quando esplode l'epidemia le terapie intensive sono circa 5000 (e perfino nel nord Italia ci sono zone con pochi posti di TI).
“Noi avevamo sempre almeno 10mila posti liberi in TI, voi avete deciso chi curare e chi no e questa secondo me è una delle ragioni per cui in Germania il tasso di mortalità è più basso.”
Per aiutare gli ospedali, in Germania sono stati adottati dei provvedimenti innovativi sul triage, strumenti che valutano il rischio reale di morire o di finire in TI, sulla base di un indice di fragilità.
Un indice che è stato spiegato dalla dottoressa Maria Cristina Polidori, dell'università di Colonia, “questo indice controlla lo stato cognitivo, da dove viene il paziente, il grado di funzioni che aveva prima di essere colpito dal covid.”
Questa ricostruzione viene fatta sentendo il paziente e i familiari, con domande, test cognitivi, funzionali, test di performance (per capire quanto sono forti i muscoli delle braccia e delle gambe).
Questo percorso porta alla definizione di un indice da 0 a 1, sul rischio di essere ospedalizzato, ricoverato in terapia intensiva o addirittura di morire.
Cosa è successo allora in questa seconda ondata, dove la Germania ha quasi ventimila casi, mentre l'Italia è arrivata a quota 37mila casi al giorno?
Ma questo succedeva in Germania: in Italia la pandemia si è sviluppata anche grazie ad eventi come la partita di calcio Atalanta Valencia il 19/02. Da una analisi di Report con In_Twig, uno su cinque dei tifosi ha avuto sintomi riconducibili al Covid (febbre, assenza di gusto), il virus in Italia circolava già da settimana e quell'assembramento nello stadio e anche fuori, ha amplificato i contagi.
Perché molti dei tifosi provenivano dalle zone dove poi il Covid ha fatto più vittime. Pochi giorni dopo scoppiò il caso di Codogno.
Sempre a proposito della prima ondata a Bergamo: Report è venuta in possesso di mail inviate da dirigenti delle ASST di Bergamo alla centrale acquisti della regione Lombardia ARIA: chiedevano dispositivi e tamponi per i propri medici mentre l'unità di crisi mandava il materiale in zone della Lombardia dove non c'era l'emergenza.
“Lo facevano per consuetudine, perché la burocrazia è come il mulo, quando gli imponi di cambiare strada ha un po' di difficoltà.”
In una di queste mail c'è un ordine di caschi per l'ossigeno, del 14 marzo, da un dirigente dell'ASST di Bergamo est, dove questi caschi mancavano: dopo due giorni i caschi non arrivano e il dirigente scrive alla ditta che li produce a Modena e questa gli risponde dicendo che l'ordine per Bergamo non era mai arrivato.
“Alla fine della giostra” spiegava ieri sera Ranucci a Che tempo che fa davanti ad uno sbigottito e imbarazzato Gori, “emerge che si erano dimenticati di fare l'ordine”.
La scheda del servizio: Cosa abbiamo sbagliato? di Emanuele Bellano in collaborazione di Greta Orsi e Eleonora Zocca
Con oltre 17.000 decessi su una popolazione di 10 milioni di abitanti la Lombardia è una delle aree del mondo in cui il nuovo coronavirus ha ucciso di più. Anche a causa di questo triste primato l'Italia rimane ancora oggi uno dei paesi d'Europa con più morti in relazione al numero di abitanti. Abbiamo ricostruito con dati e documenti inediti la catena di eventi ed errori che hanno contribuito a generare questa situazione. Oggi nel pieno della seconda ondata di Covid19, possiamo chiederci se abbiamo imparato da quanto accaduto a febbraio e marzo scorsi. La Sardegna ad agosto è stata al centro di un ampio dibattito politico dopo che il presidente Solinas aveva chiuso e poi riaperto le discoteche in seguito a un’impennata di contagi provenienti dai locali notturni. Report ha ricostruito le pressioni e i condizionamenti che hanno agito sottotraccia e che hanno indotto la politica a correre seri rischi nella gestione dei contagi. E infine, come si sono comportati i paesi d'Europa in cui i contagi e i decessi si sono mantenuti bassi durante la prima ondata di Coronavirus?
Cosa non ha funzionato di Immuni (e quello che servirebbe ai medici)
Sarebbe tanti i casi di falsi negativi di Immuni, casi in cui l'app non segnala all'utente di essere stato in contatto con una persona risultata positiva: lo racconta intervistato da Lucina Paternesi Federico Cabitza ricercatore dell'Università degli Studi di Milano Bicocca.
E' quanto successo a Brescia, come ha scritto la giornalista Francesca Renica: due amiche che escono a cena fuori, i loro cellulari sui tavoli del ristorante. Il giorno dopo una delle due risulta positiva al Covid, ha l'app Immuni sul cellulare e chiede che le sue chiavi siano caricate sul server. Ma all'altra amica la notifica non arriverà mai.
Da Roma la giornalista viene contatta da un funzionario del ministero per la digitalizzazione che cercava di capire quale fosse il bug: le ha chiesto se i cellulari fossero stati vicini abbastanza, mettendo in dubbio la ricostruzione fatta dalla giornalista.
Ma una delle amiche della storia era proprio lei: il telefono era aggiornato e l'app era funzionante così il ministero avvia le sue verifiche. Con la sua autorizzazione hanno ricostruito tutto l'iter e così hanno scoperto che dal sistema sono partite tre notifiche ma nessuna è arrivata al suo cellulare.
“I telefoni non scansionavano gli altri cellulari con cui erano in contatto di conseguenza era come non avere l'app sul telefono.”
Il ministero ha confermato questa teoria e anche l'esistenza del bug, che in seguito è stato risolto con un aggiornamento dell'app, avvenuto però dopo 3 mesi e mezzo dal lancio. Quanti scambi ci siamo persi in questo lasso di tempo?
Secondo il ricercatore della Bicocca, la prima anomalia italiana è che a fronte di tanti positivi, pochi hanno attivato la procedura di sblocco e, una volta che questi la attivano, sono pochi quelli poi contattati.
In Veneto, per esempio, nessuna Asl ha caricato i dati di Immuni. A Roma invece la signora Simonetta ha trascorso intere giornate della sua quarantena al telefono: “ufficialmente sono positiva al covid dal 7 ottobre” - racconta dal balcone alla giornalista - “già il giorno dopo mi contattavano a scaricare Lazio per Covid, che è una app che ha permesso di farmi recapitare sia un apparecchio telefonico che uno strumento che messo al dito, comunica al telefono il flusso di ossigeno e le mie pulsazioni.”
Su immuni, la Asl non le da alcuna indicazione:
“Dopo il primo momento di choc, sono andata sull'app e ho scoperto che alla voce 'segnala che sei positivo' c'è scritto che devi essere guidato dall'operatore che ti ha segnalato la positività e alla mia domanda su come fare, non ne sapevano assolutamente nulla.”
Dopo vari tentativi a vuoto, la signora Simonetta ha deciso di riprovare e caricare i suoi codici sul server, ma all'ASL le rispondono sempre che usano l'altra applicazione, della regione Lazio.
Contattato il call center di Immuni, per segnalare la sua positività: “gli operator che possono inserire la positività sono gli operatori sanitari dell'ASL”. Comma 22.
La ASL le dice di chiamare il call center di Salute Lazio, che le dice di chiamare il servizio clienti Immuni che dice di chiamare l'ASL. Un vero e proprio rimpallo senza via d'uscita. E dopo un'ora al telefono la signora ha gettato la spugna.
Il servizio si occupa anche dell'infrastruttura tecnologica costruita da Google e Apple per consentire l'invio delle notifiche di esposizione, ci siamo fidati due due colossi del web.
Ad indagare su questo aspetto ci hanno pensato i ricercatori del Trinity College di Dublino: hanno guardato da vicino tutte le app europee per scoprire dettagli inquietanti.
“Il sistema prevede che ogni cellulare invii un codice univoco e registri i codici degli altri utenti che incontra” - spiega Stephen Farrell del Trinity College - “poi sono stati aggiunti degli aspetti volti a salvaguardare la privacy e un algoritmo che fa scattare la notifica in base alla distanza e al tempo di esposizione. Questo era l'obiettivo. L'invio delle notifiche di esposizione è del tutto casuale, abbiamo condotto dei test su alcuni tipi di telefoni e i risultati sono stati deludenti. La potenza del segnale bluetooth dipende da vari fattori, la rotazione del telefono, l'angolazione, se lo tieni in tasca o nella borsa. Lo abbiamo testato dentro un tram ed è come lanciare una monetina in aria, c'è il 50% di possibilità che la notifica arrivi o non arrivi. Non è colpa di nessuno, semplicemente è la fisica.”
Esiste una terza via al contact tracing, alternativa ai monopoli Google e Apple e ad Immuni, centralizzata e ancora più rispettosa della privacy.
Dal governo federale non è mai arrivato l'ok alla sperimentazione e così i governi nazionali hanno ceduto il ruolo di controllore ai due colossi.
Michele Mezza è un giornalista e analista di sistemi digitali: “nella più grande depressione economica nel mondo quel cluster di aziende, quella tipologia di gruppi e imprese hanno accumulato delle ricchezze inverosimili, gli stati hanno abdicato, i sistemi sanitari si sono rinchiusi in una marginalità assoluta e i centri di monopolio del controllo dei nostri dati e delle nostre informazioni sulle funzioni vitali e ne hanno approfittato.”
E' il contagio dell'algoritmo, secondo il giornalista, che è anche il titolo del suo libro: combinando le tracce che ogni giorno lasciamo sul web, le chiavi di ricerca, le informazioni raccolto dall'uso dei loro dispositivi, oggi Google e Facebook riescono a predire un focolaio pandemico con la stessa precisione con cui si predice un temporale.
A parlare è sempre il giornalista: “ultimamente sono apparse mappe, siti web dove sono stati catalogati dei servizi georeferenziati, un comune fino a 10mila abitanti, una comunità fino a 30mila, può chiedere ai avere la proiezione dei dati epidemiologici intrecciati coi dati di rete riferiti al proprio territorio pagando per tanti abitanti. Questa è l'offerta che è stata fatta dai colossi della rete: ora la domanda è se questo sia un bene comune o no.”
Sono i nostri dati, noi glieli abbiamo dati, Google e Facebook se li sono presi e ora ce li stanno rivendendo: “noi li paghiamo per farci comprare da loro”.
La scheda del servizio: Il cavallo di Troia di Lucina Paternesi incollaborazione di Alessia Marzi
Alla vigilia di un nuovo lockdown, l’Italia si scopre impreparata ad affrontare la seconda ondata della pandemia da Covid-19. Che fine ha fatto l’app di contact tracing voluta dal Governo e che avrebbe dovuto aiutarci a monitorare la diffusione del virus? A cinque mesi dalla sua adozione è stata scaricata da quasi 10 milioni di italiani, ma ha effettivamente funzionato? Dalle mani degli sviluppatori di Bending Spoons oggi l’app è passata in quelle dei tecnici del ministero dell’Innovazione e della Salute e di Sogei e PagoPA. Tra notifiche mancate, chiavi mai inserite nei server e lunghe attese telefoniche per capire che fare dopo l’arrivo dell’alert, a oggi soltanto poco più di duemila utenti hanno deciso di sbloccare il meccanismo. All’estero, nonostante i download siano stati maggiori, come in Germania, l’app è stata più utile? E perché Google e Apple stanno lavorando in autonomia affinché non servano più le interfacce nazionali e possano gestire da soli il sistema di notifiche di esposizione? Quali sono i veri dati che servirebbero ai nostri medici ed epidemiologi per bloccare sul nascere un focolaio e predire, con maggiore precisione, l’insorgere del virus in una determinata zona?
Nessun commento:
Posta un commento