03 novembre 2020

Gli ultimi giorni di quiete di Antonio Manzini

 


A duecentotredici chilometri orari, il Freccia Rossa incrociò l'interregionale e urlò nelle orecchie dei passeggeri. Nora si risvegliò di soprassalto con il cuore in gola. Si guardò intorno spaventata. Dal finestrino fece appena in tempo a vedere gli ultimi vagoni del bolide schizzare via. La ragazza seduta di fronte continuava a dormire con gli auricolari piantati nelle orecchie.

Antonio Manzini si conferma un grande scrittore anche quando non fa vivere e parlare il suo Rocco Schiavone: lo avevo già scritto dopo aver letto Orfani bianchi, una storia di bambini allontanati dalle loro madri, donne dell'est che qui in Italia svolgono i lavori più umili. Lo confermo adesso con questa storia cattiva, che parla di dolore e di odio, di un dolore che non passa e che, come una goccia che cade sulla rocca, scava un solco che non può più essere riempito.

Forse è azzardato, ma a me viene in mente il grande Simenon, grande nei suoi gialli col commissario Maigret e grande anche nei suoi romanzi dove portava il lettore dietro la cortina delle belle famiglie nella provincia francese, raccontando delle tragedie di personaggi inchiodati al loro destino, incapaci di sfuggire ai propri demoni.

Qualcosa di simile a quello che è accaduto ai due protagonisti principali di questo racconto che, lo dice Manzini nella terza di copertina, gli girava in mente da tempo.

Sono Nora e Pasquale, una coppia come tante, se non fosse che la loro vita si è fermata di colpo sei anni prima. E dopo è rimasta imprigionata dentro il bozzolo del dolore per la perdita del figlio, morto appena ventenne durante un tentativo in quel maledetto marzo del 2010. Sei anni fa la loro vita è finita.

La fine del sogno di essere una famiglie felice, come le altre, di vedere il figlio laurearsi in legge come il nonno. La fine di vederlo sposato con la sua fidanzata, di avere dei nipoti, di crescerli come loro avevano cresciuto quel figlio che un rapinatore ha ucciso, in quel maledetto bar del padre, dietro al bancone.

Da quel giorno, è stata solo un continuo rivivere pensando al passato. Ai ricordi di quella volta in gita con Corrado, a quella volta in moto col padre. Giorgio dopo giorno, quel dolore è stato come quella goccia che imperterrita batte sulla roccia, un continuo scavare. Anziché unirli, anziché cercare conforto l'uno con l'altro, le loro strade si sono separate. Anche se vivono nello stesso tetto, anche se la notte Nora e Pasquale dormono l'uno a fianco all'altra.

Finché un giorno il destino, o il caso, decide di dare una svolta alle loro vite.

Tornando a casa, dopo aver trascorso dei giorni dalla sorella, Nora rivede sul treno quel volto che non aveva mai dimenticato. Quegli occhi scuri, quasi bovini nel suo ricordo. Si tratta di Paolo Dainese. L'assassino del figlio.

Fu allora che Nora lo vide e sotto il sedile si aprì come una voragine buia che la inghiottì. Cadde per cento, duecento metri, lo stomaco risalì fino alla gola e unna mano di ferro le strizzò il cuore. Gocce di sudore sulla fronte, le tremava la mandibola, per tenerla ferma dovette stringere i denti, dilaniare con un morso l'aria come fosse un boccone di cibo.

E' uscito dal carcere, dopo una condanna a dieci anni (con una condanna per omicidio preterintenzionale), dopo aver fatto il bravo in carcere. Dopo sei anni, appena sei anni, è tornato ad essere un uomo libero. A godere di quella vita che il suo Corrado non ha potuto più avere.

Una vita che nemmeno loro hanno potuto permettersi, rinfacciando anche agli altri la loro felicità, facendo crescere quei sensi di colpa che non dovrebbero esistere.

Come la sorella di Nora che ha avuto un figlio con dei problemi mentali che scoppia di salute però, e allora nasce quel pensiero così brutto, che non si dovrebbe nemmeno fare, perché mio figlio è morto e lui è ancora vivo..

Come la ex fidanzata del figlio che, dopo tanti anni, si è rifatta una vita e ora è accanto ad un altro uomo.

Saranno quelli gli ultimi giorni di quiete, per Nora e Pasquale. Anche se non lo sanno, le loro vite sono già divise, un solco profondo le divide.

Non era successo niente. Sei anni grigi e uguali, poche parole a cena, azioni inerti e senza vita. L'aveva persa già allora, lo sapeva, ma sperava sempre che il tempo avrebbe aggiustato tutto. Che invece scorreva senza scalfire il dolore, inutile, come acqua su una cerata. Nora si era rifugiata in quel dolore silenzioso, lui aveva continuato la vita pensando solo al negozio e ad aggiustare la moto.

Pasquale, in un momento di rabbia, chiede ad un amico, se riesce a procurargli una pistola e dei proiettili.

Ma tra il pensare di uccidere un uomo e lo sparargli, specie se a freddo, ce ne vuole.

Fece ruotare il tamburo, gli occhi vuoti delle camere di scoppio sembravano alveoli di denti appena estratti. Ripuntò l'arma. Fece forza sul dito indice. Troppa. Il grilletto scattò con una facilità che lo sorprese e lo spaventò.

Nora invece decide di partire, di andare a Roseto, quel paesino dell'Abruzzo, pochi chilometri da casa loro, per trovarlo, questo Paolo Dainese. Per guardarlo in faccia, per capire come può oggi vivere, come può oggi avere una sua vita uno che sei anni fa l'ha tolta a suo figlio.

.. volle aspettare ancora un po', guardare quella coppia davanti a un film, con una vita regolare, pensieri normali, un futuro da progettare insieme, lo stesso futuro che quell'uomo aveva tolto a suo figlio arrogandosi un diritto che neanche una divinità può reclamare.

Cos'ha in mente Nora? Fin dove vuole arrivare? Come reagirà di fronte alla nuova vita di Paolo Dainese che, dopo il carcere, sta veramente cercando di cambiare?

Antonio Manzini ci porta dentro gli anfratti più cupi dell'animo umano, con un romanzo duro e cattivo, come quella cattiveria che, accumulata dentro l'anima dei personaggi, sommerge le loro vite e quelle delle persone accanto con ferocia.

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