Mentre il covid guadagnava le prime pagine sui giornali nel mondo
c’era un’altra pandemia che causava 1,2 ml di morti e che si
espandeva in modo silenzioso. Pandemia silenziosa che poi si è
combinata col covid.
Poi un servizio sulle auto che si guidano
da sole.
Nell’anteprima un servizio sul gas, sugli aumenti
causati dalla guerra e dalla speculazione, di chi non riesce a pagare
le bollette e delle forme di solidarietà
LA GUERRA DEL GAS di Edoardo Garibaldi e Walter Molino, con la collaborazione Goffredo De Pascale
Il
gas costa e così le persone portano i cibi da cuocere nel forno del
signor Claudio, perché tanto è sempre accesso ed è a disposizione
di tutti.
Il costo della guerra in Ucraina lo stiamo pagando
anche noi, privati e aziende: così le persone si aiutano l’un
contro l’altro come a Bracciano, la solidarietà aiuta a combattere
il caso gas.
Le grandi aziende oggi temono che le persone non
possano più pagare le bollette e così chiedono ai fornitori di
pagare prima. E se uno non riesce a pagare? Si rischia di finire
sulle rete di emergenza.
La guerra in Ucraina è passata anche
attraverso il sabotaggio del North Stream II, un attacco ventilato da
Biden a febbraio, un episodio su cui oggi c’è un rimpallo di
responsabilità. La Germania oggi dipende dal gas liquefatto fornito
anche dagli Stati Uniti.
La crisi del ga è iniziata prima della
guerra, racconta Matteo Villa dell’Ispi: Gazprom prima
dell’invasione ha ridotto i volumi per far crescere il prezzo.
Solo
dopo la guerra abbiamo diversificato le fonti del gas, eravamo
arrivati a dipendere dalla Russia per quei 30 miliardi di gas (oggi
siamo a 8 miliardi di metri cubi): una dipendenza causata dalle
scelte dei governi passati tra cui quelli Berlusconi.
Rischiamo
poi che il gas che arriva ancora venga bloccato alla frontiera
dall’Austria ad esempio.
L’Europa rischia il caos: al
Tarvisio deve continuare ad arrivare il gas russo per evitare altri
problemi ma al momento il primo effetto è l’aumento delle
bollette.
“Prima
della guerra noi avevamo una morosità media del 15%, al 20% massima”
racconta a Report Francesco Burrelli – presidente nazionale
dell’associazione amministratori di condominio “oggi con la % di
morosità siamo intorno al 60-70%”.
Ma
non è solo Milano, oggi il mercato è strano, prima consumo e poi
pago, dunque il prezzo di quanto ho consumato lo saprò solo alla
fine.
Report
è andata a Milano, perché anche nella capitale economica chi
amministra i condomini con centinaia di famiglie è in trincea fin
dalla scorsa estate: “la situazione a Milano è drammatica”
racconta un’amministratrice al giornalista “e secondo me i
condomini non hanno ancora la percezione di quello che sarà un lungo
inverno. Io ho avuto gestioni 2020/21 in cui si spendevano 25mila
euro di gas e mi hanno preventivato per la stagione 2022/23 112mila
euro. Soltanto a me, alla fine del mese di agosto hanno chiuso un
paio di contatori di acqua calda centralizzata .. un condominio da 70
famiglie, un altro condominio da 30 famiglie, bambini piccoli,
persone anziane.”
Anche nel cuore di Milano, nel quadrilatero
della moda ci sono situazioni di morosità: “è un problema che
riguarda tutti, chi ha fatto un investimento, acquisiscono diversi
immobili per poi metterli a reddito ..”
All’amministratrice arrivano messaggi di gente arrabbiata che nel 2022 ha dovuto spendere 500 euro in più di gas per il riscaldamento.
A
Nettuno, provincia di Roma in una palazzina di edilizia popolare
l’Eni ha staccato la luce negli spazi comuni: l’Ater non ha
pagato la bolletta e così è stata staccata la luce nelle
scale.
Secondo il presidente dell’associazione degli
amministratori almeno il 20% delle palazzine potrebbe subire
distacchi: il mercato oggi pretende forti garanzie dai fornitori,
gli importatori richiedono ai resellers verso gli utenti finali una
fideiussione per garantire un eventuale aumento dei prezzi.
A
Civita Castellana, nel distretto della ceramica sanitaria, una
cinquantina di aziende stanno stringendo i denti per andare avanti,
le bollette sono salite da 20mila a 110mila euro (il fornitore era
Eni, che aveva chiesto una fideiussione per poter continuare
l’erogazione del servizio).
Cosa succede se un fornitore non
riesce a pagare Eni o Snam? Si rischia di finire nel sistema del
fornitore di ultima istanza – FUI, un ente che ha preso il posto
dello Stato con la liberalizzazione del mercato.
Oggi il FUI,
una rete di emergenza, non è in grado di garantire un servizio a
tutti, ma a che prezzo?
Arera, l’ente regolatore, potrebbe
regolare il mercato? Il direttore Massimo Ricci ha spiegato che oggi
le bollette arrivano ogni mese per essere consapevole dei
consumi.
Solo oggi l’Europa (dopo 9 mesi) ha trovato un
accordo sul price cap, che scatta dopo tre giorni di tetto massimo
nel TTF di Amsterdam.
Ma come siamo messi sullo stoccaggio del
gas? Potremmo dover intaccare le nostre riserve, per la prima
volta.
Le
grandi compagnie continuano a staccare dividendi, mentre a noi
aumentano le bollette.
Il problema è che noi abbiamo venduto
il gas in eccesso verso la Germania che ce lo pagava bene e ne aveva
bisogno: sono le stesse aziende del gas che continuano a fare
profitti, senza preoccuparsi dei problemi degli Stati.
Gli utili
record delle compagnie energetiche sono un dato strutturale, anche in
Italia: il gas russo importato è indicizzato al valore del petrolio,
una scommessa che ha fatto fare extraprofitti alle aziende.
I
bilanci delle compagnie italiane, da Hera a Eni sono cresciuti ma non
siamo riusciti a tassare i loro extra profitti, ai tempi del governo
Draghi per un problema della legge.
Le imprese si sono rivolte
al TAR per non pagare, ma gli è andata male: vedremo se oggi il
governo Meloni riuscirà a prendere altri soldi da queste aziende, al
momento hanno versato allo stato solo 2 ml di euro, in Italia, mentre
hanno guadagnato 200 miliardi di euro.
LA PANDEMIA SILENZIOSA di Giulio Valesini e Cataldo Ciccolella, con la collaborazione di Norma Ferrara
Mentre la pandemia del covid riempiva la pagine dei giornali, un’altra uccideva 1,2 ml di persona: era la pandemia dei batteri antibiotico-resistenti che, ad un certo punto, si è incrociata col covid.
Il servizio di Valesini e Ciccolella comincia con la vicenda dell’ex carabiniere Pasquale Letizia, ricoverato per Covid nell’ospedale di Camposampiero nel novembre 2020: viene “sovrainfettato” da sei- sette batteri, in un mese di ricovero nel reparto di ospedale dove era ricoverato , che lo portano alla morte. Morto per covid per una polmonite, sta scritto nel referto, e anche per shock settico: ma trovare le cause è complicato, nelle 400 e passa pagine lasciate al figlio dalla struttura ospedaliera. Nella pagine del referto lasciato dall’ospedale è presente anche un tampone negativo, dunque il covid era l’ultimo dei problemi, lo ha indebolito a tal punto che poi i batteri hanno fatto il resto. Il signor Letizia è morto per covid, così dice il rapporto dell’ospedale all’Istat, ma il dubbio, che nasce da questa storia, è che se abbiamo avuto numeri così alti per il covid è perché la pandemia si è incrociata con i superbatteri.
Elena Tacconelli, direttrice dell’ASL Roma racconta che è calata l’attenzione alla trasmissione delle infezioni ospedaliere, “perché il medico era bardato, ma i pazienti erano confinati anche in stanze con un piccolissimo spazio l’uno dall’altro”. Si sono rafforzati solo i protocolli per la trasmissione del virus per via aerea, “ma quelli che più ci preoccupano per l’antibiotico- resistenza sono quelli da contatto”. Ogni medico avrebbe dovuto cambiare la tuta da astronauta ad ogni paziente, una cosa impensabile ad inizio pandemia.
È
la tempesta perfetta – racconta il giornalista di Report – si
sommano due pandemie, quella del covid e quella sommersa causata dai
batteri antibiotico-resistenti per la quale l’Italia detiene il
record di decessi in Europa, con 15 mila morti l’anno, secondo le
stime ufficiali, ma sono sicuramente di più.
All’ospedale di
Terni hanno messo a confronto i numeri dei batteri prima e dopo il
Covid: prima della pandemia i numeri erano del 5-6% dei
casi
l’anno (di
colonizzazione dei batteri),
col covid sono passati al 50%, perché – come ha spiegato un altro
medico della struttura di Lipsia – i pazienti col covid stavano in
ospedale più a lungo e la degenza si complica se nell’ospedale c’è
un problema di resistenza agli antibiotici.
I
medici dovevano spronare e muovere i pazienti, il paziente pronato
aveva il doppio della possibilità di colonizzare i batteri rispetto
ad un paziente non pronato.
In
Italia non si sono fatte autopsie sui morti per Covid, ora l’ha
anche confermato l’Istituto Superiore della Sanità, che ha mandato
a Report un rapporto che potrebbe riscrivere la storia della pandemia
in Italia. Su un campione di 157 pazienti morti con Covid e batteri
tra il 2020 e il 2021 ben l’88% aveva delle infezioni batteriche
dopo il ricovero in ospedale, con punte del 95% di resistenza agli
antibiotici. Erano infezioni incurabili e
adesso arrivano le prime conferme ufficiali: lo conferma Claudio
D’Amario, direttore generale della prevenzione del ministero della
salute fino al 2020.
Un alto indice di morti legato ai batteri
dunque: dovremo riscrivere la storia della pandemia, mettendo assieme
tutti i fattori, il personale non formato, pazienti lasciati a pancia
in giù e manipolati da medici che non si cambiavano i camici.
Dovremmo andare a vedere dentro ogni cartella clinica, secondo Report
il 40% dei morti per Covid potrebbe essere morto per la
proliferazione dei batteri.
Gli antibiotici hanno permesso
di curarci dalle infezioni dei batteri, ma con la proliferazione di
questi abbiamo rotto un equilibrio, anche nella natura.
Al
laboratorio di microbiologia di Rimini arrivano i campioni dei
pazienti ricoverati dell’Azienda Sanitaria Romagna, sono oltre
250mila piastrine analizzate in un anno.
Un
medico del laboratorio mostra ai giornalisti un campione contenente
una colonia di enterococco, che nel corso degli anni ha “imparato”
a diventare resistente agli antibiotici: il
direttore del laboratorio parla di una rincorsa senza fine, alla fine
vinceranno loro, i batteri, se non cambiamo modello di uso degli
antibiotici. Questi batteri che hanno imparato a resistere sono la
causa di 1,2 ml di morti l’anno, secondo lo studio guidato
dall’economista John O’Neill si stimano 10ml di morti entro il
2050.
Senza antibiotici efficaci diventano impossibili anche le
operazioni più semplici, anche un’operazione ai denti: i
dati sui batteri resistenti agli antibiotici confermano oggi questa
tendenza, siamo di fronte ad uno tsunami, potremmo arrivare ad una
situazione in cui le chemioterapie non avranno più effetto, perché
il paziente avrà debellato il tumore ma morirà post chemioterapia o
post trapianto per una infezione resistente agli antibiotici, spiega
a Giulio Valesini la direttrice del reparto malattie infettive
dell’azienda ospedaliera di Roma Evelina Tacconelli.
Un
problema globale, che in Italia è fuori controllo, secondo il
rapporto di ACDC, chiesto nel 2016 dal ministero della salute. Le
conclusioni di ACDC sull’Italia sono impietose:
la
situazione nel nostro paese rappresenta una grave minaccia alla
salute pubblica del paese e il disastro è accettato da medici e
funzionari del sistema sanitario italiano come se fosse inevitabile.
A
quei
tempi il ministro Beatrice Lorenzin aveva fatto un bel Piano
nazionale di contrasto dell’antimicrobico-resistenza (Pncar) che
prevedeva una serie di misure, dalla prescrizione più appropriata
alla diagnostica passando per monitoraggio e igiene clinica. Ma è
rimasto in un cassetto, proprio come il Piano pandemico nel 2020.
Ci
sono
regioni che non inviano i dati al ministero sulle infezioni negli
ospedali, rendendo impossibile fare uno screening delle infezioni. In
Puglia ad esempio non inviano proprio i dati, per questo hanno nella
mappa un valore basse: manca il personale, mancano
gli infettivologi.
In Sicilia il
report racconta di batteri che resistono a tutti gli antibiotici: un
salto nel passato o forse nel futuro che ci aspetta.
Si dovrebbe
fare diagnostica subito, prescrivere antibiotici in modo mirato,
controllare l’infezione negli ospedali in tempo reale, aumentare le
risorse contro questa pandemia silenziosa in modo da aumentare
l’igiene dai batteri. La regione Sicilia non ha avuto risorse in
più per il PNCAR, così come anche altre regioni.
Siamo
al rischio della fine della medicina moderna: potremmo curarci dal
tumore ma morire poi per i batteri presi nell’ospedale. Ancora oggi
ci sono regioni che non comunicano i dati, dal Molise alla Campania,
nessuno nel ministero paga per questo problema: quest’ultimo aveva
messo a bilancio 40ml per il PNCAR ma non sono mai stati erogati alla
fine. Sono rimasti bloccati all’interno del ministero della Salute,
in una guerra tra gli uffici, prevenzione e programmazione.
Da
maggio 2020 l’ex ministro Speranza ha messo a capo della
prevenzione Gianni Rezza: l’intesa tra ministero e regioni è stata
scritta male, racconta oggi Rezza, dando la colpa ai dirigenti del
ministero e alle regioni. Forse il capo di Gabinetto di Speranza
suggerisce Rezza.
A
giugno è nato
anche il piano per l’antibiotico resistenza: le regioni aspettano i
soldi, ma non sanno quanti soldi sono sul piatto e nemmeno come
verranno spesi.
Ogni ospedale dovrebbe aver un team dedicato
all’antibiotico resistenza e alle infezioni: senza investimenti (e
senza volontà politica) non si può fare nulla.
Nella ASL
Emilia Romagna hanno usato fondi regionali per fare prevenzione sulle
infezioni: all’ospedale di Rimini hanno assunto sei infermiere che
sorvegliano i reparti e sono in contatto con infettivologi per
comunicare la situazione delle infezioni, comunicano quali
dispositivi usare per l’assistenza. Sono le infermiere sentinella:
controllano anche che il personale si lavi semplicemente le mani
(cosa non scontata).
Così
oggi O’Neill lancia un nuovo appello:
“basta politici, smettere di twittare, via da Facebook, fate
qualcosa di concreto, il mio appello al governo italiano e a tutti i
membri del G20 è che è arrivato il momento di trattare questo
argomento con più serietà. Altrimenti da qui al 2050 quello che è
successo con il covid vi sembrerà una festa in giardino.”
Secondo
l’OCSE curare un paziente che
ha
contratto
batteri resistenti
costa 11 miliardi euro tra qui e il 2050, chiede ai paesi maggiore
igiene negli ospedali e l’uso più mirato di antibiotici. Con
queste misure di prevenzione eviteremmo 8-9mila morti l’anno.
Avevamo un piano per combattere i super batteri, ma non è mai stato applicato: il piano aveva dei problemi, per esempio mancavano i limiti negli scarichi dei residui degli antibiotici nei fiumi.
Come
lo Zitromax che
si è usato anche
per
il Covid, prescritto
per un virus: una cosa che dovrebbe scandalizzare i medici di
base.
Come dovrebbe scandalizzare la scoperta dei residui di
Zitromax nelle acque del fiume Sava, vicino ad un laboratorio di
medicine in Croazia.
Ma la stessa situazione si rileva nelle
acque del Po, dove si raccolgono gli scarichi industriali della
Lombardia, anche i residui delle aziende farmaceutiche.
L’istituto
Mario Negri ha analizzato le acque del Po: ci sono antibiotici sia da
uso umano che da veterinario, un campanello di allarme perché
significa che in queste acque si “allenano” colonie di batteri
sempre più resistenti.
È
la storia di quanto accaduto in India: le acque sversate dalle
aziende farmaceutiche hanno inquinato le acque di fiumi e laghi.
Ce
ne siamo accorti quando un turista svedese, di ritorno dall’India,
ha infettato una parte della Toscana, col batterio New Delhi.
Ma
una cosa del genere potrebbe succedere anche da noi, nelle acque del
Po e anche nelle acque del Lago Maggiore: per colpa dell’uso
improprio degli antibiotici come lo Zitromax si sono registrati un
maggior numero di casi di antibiotico
resistenza.
Perché si prescrivono così tanti
antibiotici?
Secondo
il
direttore dell’Aifa è colpa di una cattiva cultura, dando la colpa
ai medici di base: in modo preventivo danno l’antibiotico, non
sapendo se il problema ha una origine virale o batterica.
Ma
l’industria influenza la scelta dei medici, facendo pressioni o con
una cattiva formazione, come racconta Silvio Garattini dell’Istituto
Mario Negri: “L’industria è logico che abbia l’interesse ad
aumentare le sue vendite. Quello che a noi manca in Italia è
un’informazione indipendente che dovrebbe essere invocata da tutti
gli Ordini dei medici. Perché dovrebbero essere i medici a dire non
possiamo essere schiavi della informazione di parte”.
Ma
tra
le più influenti società di formazione c’è la Metis, ma è
sponsorizzata da aziende farmaceutiche, ovvero le aziende che fanno i
medicinali sponsorizzano la formazione degli stessi. La comunità
europea sta sviluppando un incentivo per sviluppare nuovi farmaci: ma
la grande industria farmaceutica non sta più sviluppando nuovi
antibiotici, così oggi sono le piccole aziende, come la Antabio, che
stanno sviluppando nuove molecole, come racconta Marco Lemonnier.
Le
aziende stanno aspettando gli incentivi dalla commissione europea, su
cui si
sta
combattendo una guerra tra aziende e governi.
Le aziende
farmaceutiche stanno aspettando la pandemia, per poterci speculare
sopra?
La
commissione europea non ha accesso ai dati reali
sui
costi per i farmaci, così
si
rischia di ripagare con extra profitti alle
aziende per antibiotici la cui efficacia
non è nota a priori.
A fare queste
trattative è Efpia
che propone un modello a voucher (un incentivo
che
consentirà
di incassare
a
prescindere
dal
tempo
in cui starà sul mercato),
con un fondo comune, Action Fund, che ha uno sponsor imporante
nell’Oms.
La
Commissione Ue ha avviato un bando per un importante e costoso studio
sull’antibiotico-resistenza e lo ha affidato a una società che fa
anche lobbying per le case farmaceutiche, PWC, ma
la società di consulenza è stata partner di Efpia, la società che
fa lobbying per le aziende farmaceutiche e consulenza per svariate
big pharma.
AUTO
CHE SI GUIDANO DA SOLE di Michele Buono, in
collaborazione con Edoardo Garibaldi
La storia di Vislab, spin off dell’Università di Parma, è una storia italiana che abbiamo perso: la società è stata acquistata dalla multinazionale americana Ambarella. In America produrranno macchine senza guidatore con l’ingegneria italiana.
Noi siamo quelli che puntano alle trivelle, al carbone, all’industria senza ricerca a basso valore.
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