Sono sei i racconti che compongono questa raccolta del mai compianto
abbastanza maestro Andrea Camilleri: alcuni sono stati pubblicati a
puntate su giornali, uno era presente in una precedente raccolta di
Sellerio, due sono proprio inediti. Ma tutti quanti sono l’ennesimo
regalo che lo scrittore siciliano ci lascia e che raccontano della
vita, nei tempi moderni e passati, la vita piena di (tante) amarezze
e meschinità ma che sa dare anche momenti di gioia.
La vita
che, senza un lavoro a dare dignità alla persona, ci trasforma in
esseri sempre meno umani e sempre più simili alle bestie.
La
vita ai tempi del fascismo, in Sicilia, che Camilleri sa raccontare
in tutti i suoi aspetti più grotteschi. E la vita negli anni duri
dell’unità di Italia dove ogni anelito di libertà, di richiesta
di diritti veniva scambiata, volutamente dal potere come un atto
sovversivo, come un cancro da estirpare.
La vita che ti mette
di fronte a delle scelte precise, come quelle del giovane Camilleri e
i soprusi del regime contro gli ebrei, nel racconto che da il titolo
alla raccolta.
Infine la vita di un povero pescatore, povero ma
ricco allo stesso tempo, perché conosce un segreto che gli consente
di dominare le forze della natura e perché ha accanto persone che
gli vogliono bene. Tutto ruota attorno a Vigata, paese inventato
nella Sicilia più reale.
Grazie maestro.
La prova
Nenè Scozzari, abitanno a Vigàta, per annare al liceo che c’era sulo a Montelusa, doviva pigliari la correra che sinni partiva alle setti del matino e tornarisinni con quella delle dù di doppopranzo.Una storia d’amore nata sui banchi del liceo ma finita presto e un’amicizia con una futura sposa che diventa altro. Il primo racconto della raccolta, ambientato nella Vigata nei mesi dello sbarco americano dell’estate del 43, parla di amore, quello della gioventù che sembra non conoscere ostacoli, e di una prova. Una prova, nella Sicilia dove l’emancipazione femminile era un concetto molto lontano, che lo zito deve superare per dimostrare di essere degno della futura sposa.
L’uomo è forte
Che la flabbica prima o po’ chiuiva, era ’na voci che corriva da qualichi misata. Si diciva che dall’estiro da tempo non erano arrivate cchiù né gari d’appalto né ordinazioni private.
Una fabbrica che chiude, colpa della crisi: ordini che non arrivano
più, le spese che non riescono ad essere coperte dai ricavi e così
basta. Tutti a casa. Quante volte abbiamo letto storie come queste,
di aziende che fino a ieri lavoravano a pieno ritmo, anche
straordinari e poi basta, stop. La chiusura. Ma cosa vuol dire
rimanere senza lavoro, per una persona di quasi cinquant’anni,
senza tanti risparmi alle spalle, senza nemmeno il sostegno dei
figli?
Ve lo siete mai chiesto? La storia di Gaetano, ‘zu
Tano, è una di queste. Ci si può arrangiare, si può accettare
anche che la moglie vada a lavorare a casa di estranei, cosa
difficile da accettare per la mentalità patriarcale ancora in voga.
Certo che lei è contenta, quelli sunno i primi soldi che guadagna e accussì può aiutari la famiglia. Ma però non si renni conto che a fari quel gesto, per trent’anni filati, è stato lui. E ora Tano si senti tanticchia umiliato
Rinunciamo al lusso, si dice il protagonista, ma forse l’unico
lusso che potrebbe concedersi è finire malato. Perché a questi ex
operai costretti ora ad arrangiarsi, non è concesso nemmeno il lusso
di trovare qualcuno a cui esporre i propri problemi, nemmeno i
sindacati per cui sono solo delle pratiche da sbrigare.
Ma poi?
Fino a quale scalino si può scendere, pur di guadagnare qualche cosa
e continuare a mangiare?
Lo scopriremo nel finale, con la trasformazione finale dell’uomo e
con l’ironia amara della moglie, l’anello forte della coppia
.. vidi a sò marito, ’n mezzo allo spiazzo, mittuto a quattro zampi, che abbaia alla luna. Come un cani. “Sfogati, marito mè, sfogati” pensa.
La targa
La sira dell’unnici di jugno del milli e novicento e quaranta, vali a diri il jorno appresso alla trasuta ’n guerra dell’Italia allato all’alliata Germania, nel circolo Fascio & Famiglia di Vigàta comparse ’mproviso Micheli Ragusano.
Il
giorno dopo l’ingresso nella seconda guerra mondiale dell’Italia,
quello in cui “mi bastano poche migliaia di morti per sedere al
tavolo dei vincitori”, un “noto” sovversivo rientra in
paese a Vigata dopo anni di confino.
A seguito di un alterco
con un fascista della prima ora che successivamente ha un malore per
un attacco di cuore, Michele Ragusano, il sovversivo, l’antifascista,
finisce in carcere accusato di omicidio. Parte da questo l’intera
vicenda che racconta di una targa, destinata a questo fascista nato e
morto con la camicia nera. E alla sua dolce moglie, meritevole di
tanta consolazione di una pensione.
Ma
era veramente un fascista o un impostore?
… i vigatisi potirono leggiri la nova targa: «Via Emanuele Persico – Provvisoriamente caduto per la causa fascista».
Si ride, amaro ma si ride, in questa vicenda che racconta la vera natura, meschina e menzognera, del fascismo.
La guerra privata di Samuele detto Leli
È difficili assà che un omo che ha fatto le scoli fino al liceo si possa scordari dei nomi dei sò compagni di classe pirchì ogni matina il profissori, arripitenno la litania dell’appello, quei nomi te li stampava a forza nel ciriveddro.Se prima abbiamo riso, per un racconto ambientato nei mesi di inizio guerra, in questo racconto autobiografico, si arriva quasi alle lacrime. Per un racconto che parla di una ragazzo colpevole solo di essere ebreo, colpa gravissima negli anni in cui nell’Italia fascista si parla di purezza della razza e di come questa possa essere messa in pericolo dagli ebrei. I nemici di una nazione che devono essere allontanati dalla gestione della cosa pubblica. E poi umiliati nelle classi delle scuole del regno.
«Di Porto Samuele». «Presente!». E Leli fici per assittarisi. «No, resta in piedi». Si misi fisso a taliarlo. Po’ spiò: «Tu sei ebreo?».
Ma Samuele Lo Porto, questo il nome del ragazzo, è uno che non si da per vinto. E poi ha un amico che lo aiuterà nella sua guerra personale. Un amico che si chiama Nenè, Andrea Camilleri.
La tripla vita di Michele Saracino
Michele Sparacino vinni alla luci alla mezzannotti spaccata tra il tri e il quattro di ghinnaro del milli e ottocento e novantotto.
Vinniri alla luci, nel caso spicifico, è un modo di diri pirchì, a parti che era notti fitta, dintra all’unnica cammira nella quali abitava la famiglia Sparacino, la sola cosa che dava uno splapito lucore era ‘na cannila addrumata..
La vita di Michele Sparacino era già segnata sin dall’inizio: quella nascita in uno stanzone senza luce e proprio a mezzanotte, cosa che ne rese difficile persino la registrazione all’anagrafe.
Ma
Michele Sparacino ha anche una doppia vita: la sua seconda vita è
quella inventata, romanzata ad arte da giornalisti senza troppi
problemi di coscienza che addossano ad un fantomatico Michele
Sparacino tutte le proteste sull’isola. Proteste contro i soprusi,
contro un potere che dava addosso ai poveri, colpevoli solo di essere
poveri.
Il solito giornalista palermitano arrivò, si fici contare le cose, non ci capì nenti e scrissi un articolo che s’intitolava: «Ulteriori guasti sociali provocati a Vigàta dal noto agitatore Michele Sparacino».Come Sparacino, che mandato al fronte assieme ad altri ragazzi della generazione sfortunata che ha fatto la prima guerra mondiale, finì schedato come sovversivo e meritevole solo di morire.
Una storia tragica come tante, come ha raccontato Francesco Rosi nel film “Uomini contro”.
Ma il destino è maligno assai, come anche l’immaginazione di Camilleri è alta, e destinerà al povero Michele Sparacino un finale glorioso.
I quattro Natali di Tridicino
Tridicino era stato accussì chiamato di nomi pirchì era il tridicisimo figlio di Tano Sghembari e di Tana Pillitteri.
Ed era figlio unico, in qanto non aviva cchiù frati né soro essenno che tutti l’autri dudici erano morti uno appresso all’autro..
Si può essere poveri e avere tutto. Si può essere solo pescatori e avere una fortuna. Se si conosce il mare, le correnti, i venti, quando si deve uscire in barca e quando è meglio lasciare la barca a riva. E quando, come succede a Tridicino, viene insegnato il dono di controllare la “dragunara”, un nome da animale mitologico per la tromba marina, terrore di tutti i marinai di un tempo.
Era come ’na vestia sarbaggia, ’na mala vestia potenti e scantusa, che s’avvintava verso di loro volanno e minazzannoli con una speci di scotimento di l’aria…
Attraverso suoi quattro diversi Natali, vedremo Tridicino crescere, maritarsi, rendere felice la moglie e decidere che il suo dono deve essere tramandato in modo da non essere perso con lui. Il ciclo della vita delle persone:
.. pinsava a quante cose aviva ancora da fari. La prima di tutte, ’mparari a Stefano come si faciva a tagliari la dragunara.
La scheda del libro sul sito di Sellerio
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