Di che si occuperà questa sera Report? Della situazione della sanità in particolare, coi servizio di Claudia Di Pasquale sulla sanità territoriale e di Chiara De Luca sulla situazione dei pronto soccorso in Piemonte.
Infine Bernardo Iovene ritornerà su un’inchiesta relativa a dei container di rifiuti spedici dalla Campania alla Tunisia e tornati indietro.
La sanità
dei tagli di nastro
Cosa
ci hanno insegnato due anni di pandemia? Che dobbiamo potenziare la
sanità sul territorio, con maggiori ambulatori, presidi dove le
persone possono andare per visite ed esami senza dover saturare gli
ospedali e i pronto soccorsi? Al fatto che il medico di base, a
differenza di quello che pensava un eminente esponente del governo
Draghi (e anche Meloni), serve ancora?
Niente di tutto questo.
Finite le ondate della pandemia la politica si era resa conto che la
sanità territoriale andava rafforzata: 3 miliardi del PNRR verranno
investiti in 1350 case della comunità e in 400 ospedali di comunità.
Ma chi ci sarà dentro questi ospedali? Lo racconta
il servizio di Claudia di Pasquale che parte con uno dei tanti
tagli di nastro della giunta (ex) Moratti Fontana qui in Lombardia,
felici di inaugurare nuove strutture, con tanto di foto da usare per
la campagna elettorale per la presidenza della regione. A Bergamo
città lo scorso febbraio Letizia Moratti e Attilio Fontana hanno
inaugurato una casa della comunità a Borgo Palazzo, un luogo dove
avviene “la presa in carico della persona prima ancora che del
malato ..” racconta estasiato il presidente. E la Moratti,
assessora al Welfare aggiunge “c’è
un’equipe composta da medici, infermieri e assistenti sociali che
accolgono le persone..”
Ma
ci sono dei medici di famiglia all’interno di queste case di
comunità inaugurate in provincia di Bergamo? Non ce ne sono, ha
risposto un medico della provincia, perché “manca ancora l’accordo
collettivo coi medici di famiglia in cui viene normata la loro
presenza all’interno delle case di comunità. Quindi le case di
comunità inaugurate, dove sono stati tagliati i nastri, in realtà
stanno andando avanti a fare quello che prima veniva fatto anche
prima quando venivano chiamate in altro modo.”
Che senso hanno
queste inaugurazioni, se non solo per fare propaganda coi soldi del
contribuente? Si dovrà votare a febbraio del 2023 e l’attuale
giunta deve far dimenticare lo scandalo dei camici (a prescindere del
risvolto penale), la mala gestione della prima ondata, la scelta dei
malati covid nelle RSA, la scelta di tener aperto l’ospedale di
Alzano nonostante il focolaio. E poi la mancanza di medici di base,
le liste di attesa lunghe, una struttura sanitaria che è
ospedalo-centrica.
A Milano lo scorso 21 dicembre 2021 è stata
inaugurata la prima casa della comunità lombarda in via Rugabella,
una struttura che, secondo Fontana, è una novità assoluta, dove si
incontreranno medici di base, specialisti.
Di fronte alle
telecamere l’assessora elencava i numeri “sono
già presenti 5 medici di medicina generale, pediatri di libera
scelta, 40 medici specialisti, 10 infermieri, sarà aperta 7 giorni
su 7, 24 ore al giorno..”.
Ma
in realtà, ha scoperto la giornalista, il medico della continuità
assistenziale a mezzanotte chiude la struttura e se ne va via, altro
che casa della comunità aperta h24, come scritto sul sito della
regione.
Report
ha cercato una intervista all’assessora, invano. E anche col
presidente, l’ufficio stampa di Fontana ha stoppato ogni domanda.
Perché rendere conto al cittadino del loro lavoro, in effetti?
La
giornalista è stata anche accusata di fare teatro. Ma il teatro fino
ad oggi è solo quello dei politici al taglio dei nastri.
Le
case di comunità non hanno medici, sono scatole vuote: lo
aveva già detto un servizio andato
in onda
ad ottobre
da
Presadiretta,
inutile inaugurare strutture (già esistenti a cui solo si è
cambiato il nome) se poi mancano medici.
Il
servizio di Claudia Di Pasquale si occuperà anche della situazione
in Veneto, dove opera la cooperativa CMP, una cooperativa che
fornisce personale medico alle strutture pubbliche e che è presente
in ben 14 ospedali, tra questi il San Luca di Trecenta a Rovigo,
inaugurato nel 1997 dall’allora presidente Scalfaro. Il San Luca
aveva una capacità di 250 posti letto che potenzialmente potevano
salire a 350. Ma immediatamente dopo sono iniziati i tagli –
racconta a Report Pietro Tosarello del comitato Salviamo l’ospedale
di San Luca – fino a ridurre un ospedale che aveva più di 250
posti, a ridurne a 130: “abbiamo perso il punto nascite, abbiamo
perso ostetricia e ginecologia; non abbiamo più nemmeno il pronto
soccorso da quando è iniziata l’epidemia di covid. C’è solo un
punto di primo soccorso il cui compito è sostanzialmente dirottare i
pazienti sull’ospedale di Rovigo.”
Al punto di primo
intervento lavorano due medici, uno interno fino alle ore 16 e
l’altro della cooperativa CMP che deve però occuparsi anche del
118.
Quindi il turno h24 al San Luca è coperto dalla
cooperativa, dopo le 16: ma se il medico è fuori per una urgenza, e
le urgenze possono durare a lungo perché il territorio è vasto,
rimangono solo gli infermieri.
E
pensare che l’ospedale di Trecenta era nato per sostituire 4
ospedali dell’alto Polesine, tre sono stati poi riconvertiti in
presidi territoriali, mentre l’ex ospedale Casa Rossi, nel centro
storico di Trecenta, è ridotto all’abbandono, con tanto di
cartello con scritto “pericolo di crollo”. Un altro ospedale è
stato dismesso a Badia Polesine: ma qui coi soldi del PNRR sarà
realizzata una casa di comunità.
L’assessore alla sanità
del Veneto Manuela Lanzarin, ha spiegato usando il burocratese che
“Trecenta ha oggi una sua programmazione e risponde ad un bisogno
individuato da parte dell’azienda in quella zona ..”.
Una
risposta che non spiega, in quella zona c’è un medico solo e poi
la cooperativa con un altro medico che fa anche il servizio di
soccorso: “è chiaro che per garantire i servizi, fatti i bandi,
fatti i concorsi andati deserti, non riuscendo a recuperare nessun
tipo di personale, l’ultima spiaggia è quella delle cooperative”.
La scheda del servizio: SANITÀ TERRITORIALE di Claudia Di Pasquale
Collaborazione Cecilia Bacci - Eleonora Zocca
Negli ultimi anni abbiamo assistito a tagli ingenti del sistema sanitario, è crollato il numero dei posti letto, sono stati chiusi i pronto soccorso, sono stati smantellati interi reparti. Ora però a risollevare le sorti della sanità arriveranno i soldi del Pnrr. Circa due miliardi saranno investiti per realizzare 1350 case di comunità, mentre 1 miliardo servirà per aprire 400 ospedali di comunità. Che cosa sono esattamente? E quali servizi dovrebbero offrire? Nelle case di comunità un ruolo centrale dovrebbero averlo i medici di base, che però sono in grave sofferenza numerica, così come c'è una carenza ormai cronica di personale medico ospedaliero. E quindi chi andrà a lavorare dentro le strutture finanziate coi soldi del Pnrr?
Lo scandalo dei
rifiuti inviati in Tunisia
Report ritorna
sullo scandalo dei 282 container di rifiuti che dalla Campania
furono mandati in Tunisia per essere smaltiti e che da lì sono
tornati indietro perché il loro governo stabilì che erano illegali,
perché le strutture locali non erano in grado di gestirli: oggi chi
pagherà per questo?
Una volta che il tribunale di Salerno e
Potenza stabiliranno le responsabilità e la quantificazione del
danno, restano i danni da pagare in Tunisia. L’ambasciatore
tunisino, diversamente da quello che ha fatto la regione Campania, ci
ha messo la fascia ha avvertito il nostro paese: “noi abbiamo
subito danni. Due anni, il 20% dello spazio commerciale del porto di
Sousse è stato bloccato. E dunque è un danno finanziario, un danno
sociale, un danno ambientale. Lo Stato italiano è responsabile,
anche se sono stati dei privati che hanno fatto, ma non lasceremo
nulla di questa cosa perché vogliamo dare un esempio. Così, prima
di esportare rifiuti illegalmente, sottolineo, devono riflettere due
volte prima di farlo.”
Intanto la Tunisia insiste perché
l’Italia torni a riprendersi anche la seconda parte dei rifiuti,
cioè 69 containers rimasti nella ditta tunisina e che in parte sono
stati bruciati: lo ha sottolineato l’ambasciatore stesso
nell’intervista con Bernardo Iovene, “la priorità è il
rimpatrio dei rifiuti, la seconda parte. Poi vedremo. Sono convinto e
spero che fra poche settimane riusciremo anche a chiudere
definitivamente questa vicenda.”
Il
21 dicembre 2021 l’ex ministro degli Esteri Di Maio andò in
missione diplomatica in Tunisia dove incontro il ministro degli
Esteri, la Premier e il presidente Saied: durante quell’incontro si
parlò di migranti, stabilità interna e anche della questione dei
rifiuti arrivati dall’Italia nel luglio 2020. Fatalmente –
racconta il servizio di Iovene – dopo la visita di Di Maio i
rifiuti parcheggiati nella ditta tunisina Soreplast vanno a fuoco. Si
tratta di quasi 1900 tonnellate che sono ancora stoccati nel
capannone della società tunisina.
In Tunisia il ministro e i
funzionari che hanno seguito questa vicenda sono ancora in carcere
cautelativo dopo due anni. L’ambasciatore Moez Sinaoui spiega che
“per la prima volta nella storia tunisina un ministro è andato dal
suo ufficio alla casella prigione, come si dice.. la prima volta
perché c’era anche complicità delle autorità tunisine.”
Sono
ancora in carcere, continua, perché questo è diventato uno scandalo
politico, “in Italia non se ne è parlato, perché il danno per la
Tunisia è non solo economico, ma anche sociale, economico, politico
e ambientale.”
Così il 20 febbraio scorso, presenti le
autorità tunisine, i container lasciano il porto di Sousse e tornano
a Salerno. Ma appena sbarcati vengono sequestrati dalla procura, la
regione ordina poi di stoccarli provvisoriamente nel comprensorio
militare di Persano a Serre, in provincia di Salerno, dove già nel
2007 stoccarono, sempre temporaneamente, le ecoballe dell’emergenza
rifiuti che però sono ancora qui.
La regione non ha contattato
il sindaco su questa scelta, che hanno saputo dell’arrivo dei
container dai giornali: appena saputo dell’arrivo dei rifiuti dalla
Tunisia, sindaci ambientalisti e cittadini sono tornati a protestare
come 15 anni fa. “La cittadinanza non vuole questi rifiuti”
racconta a Report il sindaco di Serre: la scelta di stoccarli in un
sito militare è stata fatta apposta per evitare che la protesta
potesse sfociare in un blocco serio – aggiunge un membro del
comitato “Battipaglia dice no”
La scheda del servizio: IL RESO TUNISINO di Bernardo Iovene
Collaborazione Greta Orsi - Lidia Galeazzo
Nel 2021 Report aveva documentato la spedizione dal porto di Salerno di 282 container di rifiuti in Tunisia. Furono sequestrati nel porto di Sousse perché illegali per il governo tunisino, e finirono in carcere il ministro dell’ambiente e vari funzionari della dogana e dell’agenzia nazionale dei rifiuti tunisina. La Tunisia ha fatto pressioni perché i rifiuti tornassero in Italia, ci sono state anche proteste da parte degli ambientalisti sotto la nostra ambasciata a Tunisi. Bernardo Iovene ha ricostruito gli aggiornamenti della vicenda a partire dal viaggio del nostro ministro degli esteri il 28 dicembre del 2021 in Tunisia, fino al rientro dei rifiuti l’11 febbraio di quest’anno. Trasportati in centri di raccolta nella piana del Sele in provincia di Salerno nei comuni di Serre, Persano Altavilla e Battipaglia, la loro presenza ha suscitato le proteste dei cittadini dell’area. Restano decine di milioni di euro da pagare dopo che la nostra magistratura avrà stabilito le responsabilità. Ma la storia non è finita: in Tunisia ci sono ancora 69 container da riportare in Italia, sui quali la Tunisia ci fa sapere che non transige.
La situazione dei
pronto soccorso in Piemonte
La
chiamano rimodulazione della spesa, spending review, ma di fatto
quello che sta succedendo nella sanità è uno smantellamento del
servizio pubblico che avviene non solo nelle regioni del sud, ma
anche al nord. In Piemonte hanno tagliato dal 2000 circa 2000 posti
letto negli ospedali e così le persone devono rimanere bloccate per
giorni nel pronto soccorso, che vanno in crisi.
“E’ una
condizione di disumanità alla quale assistiamo in modo molto
frequente con persone che sono ammassate nei corridoi degli ospedali
senza un minimo di dignità” racconta alla giornalista un operatore
sanitario.
Alla centrale operativa del 118 arrivano sempre più
spesso questi fax:
“a causa dell’elevato afflusso di pazienti verso il DEA [..] e all’assenza di posti letto e di barelle si invita ad inviare eventuali urgenze in altri presidi.” Gli ospedali sono pieni e cercano di inviare i pazienti altrove.
“Gli ospedali segnalano le loro difficoltà” racconta a Report Stefano de Agostinis infermiere della centrale operativa di Torino “nel ricevere pazienti e lo fanno attraverso i cosiddetti fax, ma sono consultivi e non vincolanti. Quindi se abbiamo la necessità di mandare pazienti in ospedale e siamo costretti a farlo continuiamo a farlo. ”
La scheda del servizio: CAOS PRONTO SOCCORSO di Chiara De Luca
Collaborazione Giulia Sabella
A Torino i pronto soccorso sono nel caos. Mancano posti letto e i pazienti restano in attesa nei corridoi dei pronto soccorso per giorni, privati della necessaria assistenza. In Piemonte dal 2010 a oggi si stima siano stati tagliati circa 2000 posti letto.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
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