Attraverso i progetti del PNRR passano tanti snodi nevralgici del nostro paese: la digitalizzazione, i trasporti e anche la sanità pubblica. A che punto si trovano questi progetti?
Presadiretta racconterà anche dei 100 operatori OSS di La Spezia che oggi si trovano in cassa integrazione: come mai? In Liguria manca il personale negli ospedali, tanto da metterne a rischio le sue funzioni.
C'è una donna che dovrebbe operarsi al seno per un tumore ma è in lista d'attesa da un anno: al San Martino a Genova è a corto di personale tant'è che dal primo settembre 2022 sono stati sospesi gli interventi non necessari. Qui mancano 180 infermieri e 100 OSS, ma è una situazione comune in altri ospedali della Liguria dove, dal 2010 al 2021 sono stati tagliati seimila persone nella sanità.
Succede allora che alcuni presidi medici si chiudono, come al presidio di Pietra Ligure, dove una volta nascevano i bambini: oggi manca sia un reparto di pediatria che ginecologia e le mamme devono andare in strutture più lontane.
Cosa dice il presidente Toti? Che
stanno cercando medici da inserire nelle strutture. Come quella di
Albenga dove i cittadini chiedono il ritorno al lavoro dell'ospedale,
del pronto soccorso.
L'ospedale di Albenga è all'avanguardia, è
stato costruito nel 2008, ma oggi tutti i reparti sono chiusi, è
stato svuotato un pezzo alla volta. Un primario andava in pensione e
non veniva sostituito, altri medici sono stati spostati
..
Presadiretta ha scoperto, in diretta, che l'ospedale di Albenga
è oggi in vendita, dal consiglio regionale: questa è l'idea di
Toti, trasformare le strutture chiuse in strutture misto pubblico
privato o solo privato.
Il privato dovrebbe entrare in concessione
con l'obbligo di far ripartire i servizi, ma non sempre funziona
questa politica: a Bordighera stanno ancora aspettando i privati e
nel frattempo le persone se ne devono andare.
Perché non può
funzionare il sistema pubblico? I comitati di cittadini chiedono
questo, che si rinforzino le strutture pubbliche, prima che si arrivi
al collasso, racconta il dottor Di Maio.
Nelle fragilità del sistema pubblico
si inserisce il privato. Che ha come obiettivo il profitto e non
l'erogazione di un servizio di eccellenza universale.
Gli OSS
di La Spezia
Riccardo Iacona ha incontrato Cozeta e Pasquale, una delle operatrici lasciate a casa dopo aver lavorato nell'ospedale per tanti anni.
Vivevano in Puglia poi, 13 anni fa sono venuti in Liguria per uscire dal lavoro a nero e qui hanno trovato il contratto, lui come operaio lei come operatrice socio sanitaria, contratto a tempo determinato in una cooperativa ed impiegata nell’ospedale di Sarzana. Qui ha lavorato ininterrottamente per dieci anni, fino al licenziamento. Quando è stata intervistata da Iacona non aveva ancora ricevuto la cassa integrazione: “cerchiamo di andare avanti con molti sacrifici, per risparmiare e per capire che il mese dopo devo pagare il mutuo perché per questa casa ho fatto molti sacrifici per farla .. e alle banche non do la soddisfazione di prendermela. Ma il signor Toti deve trovarmi il mio lavoro, pagato dignitosamente come OSS. Io sono andata nella regione e neanche mi ha ricevuto, eravamo più di 40 fuori, al freddo, ad aspettare la nostra pagnotta. E io voglio, pretendo il mio posto: a 50 anni devo cambiare mestiere? Io ce l’ho una professione. Abbiamo fatto mille proteste e ci hanno chiuso le porte in faccia. E mi hanno chiamato eroe: io due anni ho lavorato come eroe, l’ho fatto con passione. Tutti quanti i miei vicini avevano parenti ricoverati [per il covid]. Non riusciva a venire nessuno in ospedale e io che andavo in casa e li prendevo .. ”
Cozeta si è anche ammalata di covid durante la prima ondata a dicembre 2020: la cooperativa non aveva dato loro i dispositivi di protezione, le mascherine, le tutine. Poi le mascherine sono arrivate, una al giorno per turni di 14 ore, e la tuta, pesante, come quella dei vigili del fuoco, che doveva essere lavata a metà giornata prima di riprendere il lavoro, perché Cozeta lavorava anche nelle terapie intensive, dove in una notte ha dovuto chiudere nei sacchi 4 morti che ancora oggi si ricorda.
Ha lavorato col covid fino al 31 maggio. Dopo di cui non è stata più una eroe, ma solo una disoccupata.
Oggi Cozeta non è più un eroe, non è più un angelo: assieme ad altri 100 OSS sono stati traditi dalla regione che ha deciso dopo anni di rescindere la convenzione con la sua cooperativa per due ospedali. La giunta ha bandito un concorso per assumere operatori, ma i posti erano già occupati da venti anni, i sindacati si erano allarmati per tempo: al concorso della regione sono arrivati in cinquemila da tutta la regione e da tutta Italia e così molti ex oss sono rimasti a casa. Come Cozeta.
Sempre in Val di Magra Iacona ha
incontrato Simonetta: dopo 17 anni di lavoro all'ospedale di Sarzana
è rimasta a casa, come Cozeta, a pochi anni dalla pensione.
Oggi
ci sono solo le lacrime, di fronte a questa situazione: altri
operatori rimasti a casa hanno trovato come unico lavoro quello
dell'assistenza agli anziani, in casa, con contratti a tempo
determinato.
Il problema in questo lavoro è che ci
si deve spostare nelle case degli anziani, per una paga molto bassa:
molto diverso dal lavoro in un ospedale, dove si era parte di un
sistema.
La regione ha fatto il concorso per lasciare a casa
questi operatori: la cosa paradossale è che a La Spezia e in regione
mancano operatori, come mai allora non sono stati
ricollocati?
Daniela Cipolloni ha intervistato Toti: nella ppaa ci
si entra per concorso, non c'è modo di regolarizzare senza aprire
concorsi a tutta Italia – risponde il presidente.
Si può
trovare un'altra collocazione, anche nel privato convenzionato, ma
non c'è niente da fare.
Di diversa opinione il consigliere di opposizione Ferruccio Sansa: a questi operatori era stato promesso il posto e ora invece si trovano in cassa integrazione.
Oggi Cozeta ha trovato un lavoro, in una struttura privata ma con un contratto a tre mesi.
Secondi i sindacati la regione potrebbe fare la scelta politica di dare una corsia preferenziale per collocare queste persone, che già lavoravano per il pubblico.
Anche perché quando verranno create le strutture della medicina del territorio rischiano di partire senza personale.
La medicina del territorio
Entro
il 2026 ogni cittadino avrà una struttura pubblica dove trovare
specialisti, medici di base, tutto sotto un unico tetto: sono le case
della comunità costruite coi soldi del PNRR.
È una scommessa che
è già realtà in diverse regioni, come in Toscana e in Emilia: sono
strutture nate con l'obiettivo di evitare che le persone vadano
sempre in ospedale per esami.
In Lombardia si sono inaugurate case di
comunità che sono scatole vuote, mancano medici per erogare le
prestazioni.
Anche a Bergamo mancano medici sul territorio,
nonostante il covid abbia insegnato che le persone vanno curate prima
dell'ospedale: dopo anni di tagli e di vincoli di spesa negli
ospedali mancano medici e infermieri. Ma il pnrr non investe sul
personale, chi metterà i fondi per le assunzioni?
Gli stipendi
per il personale delle case di comunità sono spesa corrente: nel
2022 la spesa aggiuntiva è stata stimata in 655 ml, ma questi soldi
non sono ancora stati stanziati alle regioni. Così molte regioni
sono diffidenti, temono che il pnrr sulla sanità sarà solo una cosa
di propaganda.
In Liguria invece il piano di assunzione è in
corso: senza i soldi dello stato, si rischia di creare una macchina
che non andrà mai in strada.
C'è poi la questione dei medici che
mancano: nella periferia di Milano, a Ronchetto, mancano i medici di
base per seimila persone le quali, per un controllo, dovranno andare
in ospedale.
La Lombardia è maglia nera, 4 cittadini ogni 10 non
ha un medico di base, in questa regione si spede la metà per il
cittadino, per la sanità.
Così laddove il pubblico arretra,
avanza il privata, anche nei servizi di guardia medica.
In una bozza del governo si parla di 1
miliardo per aumentare il numero di medici sul territorio, a partire
dal 2026: ma è una cifra inferiore alle stime delle stesse regioni.
Servirebbe una cifra di almeno 4 miliardi per riempire le case di
comunità.
I maggiori investimenti in sanità pubblica non sono
stati una voce della passata campagna elettorale: nei prossimi anni,
come in questi, si parla di nuovi tagli. Fratelli d'Italia,
vincitrice alle passate elezioni, punta sulla sanità convenzionata
in mano ai privati, non sulle case di comunità, mettendo a rischio i
7 miliardi del pnrr.
Comuni – la sfida del pnrr
Le pubbliche amministrazioni, i comuni,
sono capaci di gestire i 67 miliardi di euro previsti dal pnrr? Ci
sono comuni come a Rocca di Neto, in Calabria, che ha deciso di
rinunciare ai fondi del pnrr non avendo personale per gestire i
progetti, come il bando per la realizzazione di nuove
scuole.
Servirebbero esperti nella realizzazione dei progetti, che
vanno portati a termine: nonostante molte scuole abbiamo bisogno di
lavori, non siano a norme per le regole antisismiche, solo 3 comuni
nella provincia di Crotone hanno accettato di partecipare ai bandi.
Il governo aveva fatto un piano per assumere dei tecnici da inserire nei comuni, ma nel crotonese sono arrivate solo tre persone: sono pagati solo mille euro e dovranno assumersi responsabilità enormi.
Eppure avere professionisti per gestire
questi progetti fa la differenza, come sanno nel comune di Crotone,
dove hanno creato una struttura dedicata al pnrr: entro il 2026
dovranno chiudere i cantieri per il pnrr e per quei fondi degli anni
passati non spesi.
Tanti comuni hanno già i soldi, mancano le
strutture per cantierare i progetti e rendicontarne l'andamento:
mancano cioè quei dipendenti tecnici nei comuni, ingegneri ed
esperti contabili.
Non solo in Calabria ma anche in altre
regioni, come in Abruzzo a Tagliacozzo: qui c'è un solo ingegnere in
comune, così si è deciso di affidarsi ad una struttura esterna,
anticipando la spesa, prima dei bandi.
In pnrr avrebbe dovuto servire anche per uniformare l'Italia, come servizi, come strutture, da sud a nord: ma non tutti i comuni non hanno le forze per fare progettazione, per presentarsi ai bandi con progetti pronti. Spesso nemmeno hanno fondi per presentarsi proprio ai bandi.
Alla fine le differenze non si riescono a riequilibrare, perché ci sono comuni che partono avvantaggiato.
La maggior parte dei comuni italiani sono piccoli, con poco personale, hanno problemi nei conti: proprio questi avrebbero avuto bisogno dei fondi del pnrr. Il meccanismo dei bandi sulle scuole, sulla sanità, è fallimentare – racconta Luca Bianchi Svimez: non si possono mettere in competizione amministrazioni capaci con quelle senza personale.
A commentare questa situazione era presente il professor Piga, membro dell'osservatorio sul PNRR: tra il 2020 e il 2022 non abbiamo speso 20 miliardi su 40 che andavano spesi subito.
Il pnrr era molto ambizioso, molti paesi come il Portogallo hanno allungato di un anno la fine dei lavori, c'è stato prima l'aumento dei costi e poi la guerra.
Veniamo da un decennio di austerità che ha spezzato le gambe alla ppaa, abbiamo bloccato le assunzioni, personale vecchio. L'Europa ci chiedeva di investire nel capitale umano.
Ci sono poche stazioni appaltanti, che
spesso danno i lavori alle multinazionali e tante piccole stazioni
appaltanti sul territorio senza personale e competenze.
Come
facciamo adesso a spendere in corsa questi soldi?
Vanno investiti soldi nella pubblica
amministrazione, per assumere giovani professionisti che on devono
andarsene via dall'Italia.
I fondi per il PNRR potevano essere l’occasione giusta per risolvere l’eterna emergenza rifiuti: Presadiretta è andata a Bellolampo, la più grande discarica pubblica siciliana dove arrivano tutti i rifiuti indifferenziati di Palermo, più di mille tonnellate al giorno. Un volume altissimo tanto che si continuano a spendere soldi pubblici per ampliarla: una vera e propria emergenza che nasconde una scandalo, perché a Palermo non si ricicla nulla e la raccolta differenziata è ferma da anni.
Tommaso Castronuovo – presidente Legambiente Sicilia – racconta che da almeno dieci anni la differenziata nel capoluogo è ferma al 15%, come anche Catania e Messina, ben sotto l’obiettivo di legge che era stato fissato al 65%.
Per la gestione dei rifiuti e per potenziare la raccolta differenziata il PNRR poteva essere un’occasione? Sono previsti oltre 1,5 miliardi per il potenziamento del riciclo e oltre 600ml per il miglioramento del sistema di raccolta differenziata: di questi oltre il 60% sono destinati alle regioni del sud. Questa occasione purtroppo non è stata colta perché a Palermo il comune e la sua municipalizzata per i rifiuti si sono rimpallati la responsabilità per i progetti per ben sei mesi, fino al giorno di scadenza del bando quando, come scritto anche su un documento del comune, per un problema di caricamento dati si è dovuto dire addio a 30ml del pnrr con i quali il comune avrebbe potuto costruire 15 isole ecologiche, 9 centri di raccolta e un impianto di trattamento dei rifiuti.
Erano progetti che sono stati proposti e presentati da centinaia di comuni in tutta Italia, non erano progetti difficili – spiega il presidente di Legambiente: “fa rabbia perché è una occasione persa.”
Sono altre le occasioni mancate in Sicilia: la regione deve fare i conti sia con l'emergenza dei rifiuti ma anche con l'emergenza idrica, come sanno nella piana di Catania.
Qui manca l'acqua pubblica così gli imprenditori agricoli devono farsi i loro impianti, che richiedono costi aggiuntivi.
L'acqua non manca in Sicilia, sono le
condotte pubbliche a Catania che sono vecchie e si intasano, così ad
ogni pioggia si bloccano.
Stessa situazione a Caltanissetta: le
dighe pubbliche piene di acqua non ricevono manutenzione e sono piene
di fango, così non riescono ad irrigare i campi.
I consorzi di bonifica – che dovrebbero sovraintendere a questi impianti – hanno presentato 31 progetti che sono stati bocciati, perché scritti male.
La Sicilia non ha preso nemmeno un euro
per le infrastrutture irrigue: progetti vecchi, non ammissibili,
oppure assurdi, perché avrebbero causati danni alla biodiversità,
come le bonifiche delle aree umide.
La Sicilia non ha partecipato nemmeno
ai bandi per le reti idriche: a Siracusa la perdita sta al 67%, un
record negativo in Italia, migliaia di cittadini rimangono spesso
senz'acqua.
Gli enti che dovrebbero gestire le reti idriche si chiamano ATI, che sono strutture che non hanno tecnici a sufficienza: i 21 comuni della provincia di Siracusa non
si sono messi d'accordo sulla struttura che doveva presentare i
progetti, così l'ATI di Siracusa non ha partecipati ai
bandi.
Stessa storia per le ATI di Trapani e Messina: i tempi
per i nuovi bandi sono stretti e ora c'è il rischio che siano le
regioni più organizzate che si prenderanno i soldi per le reti
idriche, trasformando il pnrr in uno strumento che aumenterà le
differenze tra nord e sud.
Sul pnrr c'è anche un problema di
trasparenza sia dei soldi spesi che sui progetti finanziati (e sul
loro stato di avanzamento): ci sono ora delle scadenze importanti,
che il governo Draghi dovrà affrontare, altri che lascerà al
prossimo governo.
Come il DL concorrenza e la spending review, da cui passa il rapporto tra Italia ed Europa: le concessioni pubbliche, i balneari, il trasporto pubblico.
C'è possibilità di rifare il pnrr? Tecnicamente è possibile, serve preparare un piano da presentare in Europa: si potrebbe negoziare le scadenze, i soldi e il contenuto da rivedere.
Ma il pnrr non si può bloccare, per
non bloccare altri strumenti europei come il fondo anti spread.
La
messa in sicurezza del paese
Il cantiere più importante d'Italia è quello per la messa in sicurezza del paese: ancora abbiamo davanti agli occhi le immagini dell'alluvione nelle Marche.
Ma è una situazione comune ad altre regioni e comuni, come in Calabria: la spesa aggiuntiva per questi investimenti sono insufficienti per tutti i lavori che si dovrebbero fare.
Col piano di resilienza sono arrivati
soldi, i progetti sono pronti, come quelli per sistemare i terreni
colpiti dalla frana di Maierato, ad esempio.
Ci sono costruzioni
costruite sui fiumi, pulire le fiumare, sistemare le colline che
franano, pulire i corsi dei fiumi. La regione avrebbe bisogno di 1,7
miliardi per mettere in sicurezza questo territorio fragile, questa
era la stima nel 2019, che oggi è destinata a salire.
Il pnrr mette sul piatto di 2,5
miliardi di euro sulla prevenzione: dal punto di vista del dissesto
idrogeologico è molto deficitario, racconta il presidente
dell'ordine dei geologi.
Dobbiamo avere maggiori fondi e dobbiamo
imparare a spendere i fondi senza il bisogno dei commissari –
commenta il sindaco Ricci di Pesaro: col PNRR in questo comune
riqualificano il centro, faranno nuove piste ciclabili, ma mancano le
imprese e i lavoratori per far andare avanti i cantieri.
Se vogliamo portare a casa i progetti del pnrr dobbiamo fare spesa di qualità, per aggiungere tecnici, medici, infermieri: c'è una norma nel PNRR che torna a parlare di deficit, ovvero c'è il rischio che si torni a tagliare la spesa.
Dobbiamo tagliare gli sprechi, la spesa inutile, la corruzione: la madre di tutte le riforme, conclude il professore Piga, è la riforma della pubblica amministrazione.
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