20 ottobre 2022

Dolce vita, dolce morte di Giancarlo De Cataldo


Più che un giallo, un omaggio alla Roma degli anni della Dolce vita, quella raccontata da Fellini nell’omonimo film (che ha battezzato un’epoca): la Roma dei divi del cinema italiani e stranieri, dei locali notturni dove trovare la bella gente, dove l’accesso ai tavoli avveniva in base in base ad un ordine gerarchico, come gli animali della Savana di fronte ad una pozza d’acqua.

La Roma dove nei quartieri del centro trovavi ancora romani de Roma mentre i palazzinari preparavano per loro e per il popolino i casermoni di cemento nella periferia.

La Roma delle star del cinema e delle aspiranti attrici, ragazze giovani venute nella città eterna alla ricerca di un sogno. E la Roma dei giornalisti di cronaca mondana a caccia di notizie e informazioni la sera nei locali, dove coltivare le loro relazioni.

Persone come Marcello, venuto dalla provincia anche lui per cercare un suo sogno, staccarsi da quella terra che aveva dato da vivere per generazioni per provare a scrivere. Per un giornale, raccontando di quei personaggi che popolano la vita notturna ma senza scadere nello scandalismo. E provare, magari un giorno, a scrivere un libro.

Inutile nasconderlo, per questo romanzo breve (che parte nella primavera del 1963 per arrivare fino agli anni ‘80 ) Giancarlo De Cataldo si è ispirato al personaggio di Fellini, Marcello anche lui, come anche ispirato ad un fatto di cronaca reale l’episodio di cronaca al centro del racconto: la morte di una aspirante attrice tedesca, uno dei tanti casi di cronaca che avevano occupato le prime pagine dei giornali per settimane per poi finire nell’oblio.

A fine libro l’autore cita alcuni passaggi della sentenza del processo celebrato negli anni sessanta, senza dare altri riferimenti, fate voi lo sforzo se ne avete voglia di andare alla ricerca di quell’episodio di cronaca (oppure leggete qui).

«Marcello Marcello please wake up Marcellooo..»
La voce di Marianna gli trapanava le tempie. Non era da lei un tono così acuto. Nemmeno quando litigavano. E le braccia che lo scuotevano... alla fine fu costretto ad aprire gli occhi. Una lama di luce lo ferì obbligandola a richiuderli.
«Marcello the newspaper... they called you three times... it's urgent»

Torniamo al libro: mentre si trova ancora a letto dopo una serata “impegnativa”, Marcello viene svegliato da una telefonata del giornale, una di una aspirante attrice tedesca, Greta Muller, uccisa nel pianerottolo di casa di un’amica che stava andando a trovare da un assassino rimasto che, forse, è stato visto uscire dal palazzo - era vestito di blu, no di grigio – dicono i testimoni.
Smaltita la sbornia, Marcello Montecchi si reca in via Emilia.

«E tu che ci fai qua Marcè?»
« Io la conoscevo bene, Gianni.»
Senza aggiungere una parola, Biondini, lo prese sottobraccio e fendendo a passo deciso la piccola folla, lo trascinò nell'ufficio del capo della mobile.

La ragazza uccisa si chiamava Greta ed era stata, per un breve periodo, una delle (tante) amanti di Marcello. Conosciuta fuori da un locale, le aveva insegnato come si vive e come ci si comporta nella Roma notturna. Così come era apparsa, era sparita dal suo orizzonte in un lampo. Marcello l’aveva incontrata, mesi dopo, ad una cena, assieme a due altri uomini e all’amica Elizabeth.

Come tutti i delitti avvenuti in certi contesti o che riguardano personaggi di un certo ambiente, anche questo attira l’interesse della cronaca nera: a Marcello viene chiesto di scrivere alcuni pezzi a corredo degli articoli di nera affidati al collega e che raccontano di tutti i perché rimasti senza risposta.

Come mai l’amica non ha sentito le grida di Greta sul pianerottolo, mentre veniva colpita?

Chi è questo assassino che, dopo aver ucciso una persona, abbandona lo stabile senza farsi prendere dal panico?

... era una sbandata, un tenero agnellino, o una arrampicatrice che alternava momenti fortunati a precipitose rovine? Che cosa cercava veramente da lui? Amicizia, soldi? A un certo punto - le dita di Greta avevano preso accarezzargli il palmo - si era sentito soffocare.

Ci sono poi le domande più personali, perché per Marcella quella bella ragazza, che a volte appariva fragile a volte sembrava nascondere una certa risolutezza, non era una sconosciuta. Che sogni aveva nel cassetto? Cosa cercava a Roma? Marcello ripercorre con la sua memoria, come l’aveva conosciuta, le uscite per la Roma notturna, fino a quando lei l’aveva lasciato, di punto in bianco.

Che cosa cercava Greta a Roma? che cosa stavano cercando veramente lui, e Marianne, e tutti? Un pezzetto di cielo? Lasciare un'impronta? Un focolare con tanto di marmocchi e animali domestici? La fama imperitura? La deviazione repentina che dal grigio sentiero del rettilineo spalancherà per sempre le porte del giardino incantato?

Passano gli anni, vediamo Marcello diventare uomo, sposarsi, una figlia, poi un divorzio. Ma mentre l’interesse, anche morboso, della stampa per il “delitto di via Emilia” si sgonfia, l’interesse per quel delitto non cala. Nessuna delle piste della polizia approda a qualcosa: un signore siciliano che in quei momenti aveva un alibi, un pazzo che vuole confessare il suo delitto al giornale ma che poi si rivela solo un mitomane. E, dopo anni, spunta pure un ex investigatore che racconta la sua verità tramite un libro.
Ma qual è la verità sulla morte della povera Greta? Marcello non è più il giovane promettente giornalista che gira Roma con la sua MG, ha rinunciato alle sue ambizioni di scrittore, messo in archivio anche le sue ambizioni giornalistiche, si è fatto trasportare dalla vita, lasciando ad altro l’onere di scegliere per lui.
Ma quel delitto ancora gli chiede qualcosa, di non dimenticare il suo passato, “che non ne voleva sapere di allentare la morsa”. Perché forse, non è solo Greta ad essere morta: in quegli anni dalla Roma della Dolce vita, dove tutto sembrava alla portata di mano, è morto anche qualcosa di lui. Le scelte non fatte, gli errori, il non aver mai veramente voluto credere in sé stesso.

Piangeva per Greta per la sua bellezza incosciente e stroncata; piangeva perché sentiva di avere sbagliato vita; piangeva per le occasioni che non si sarebbero ripresentate; piangeva per la sua ignavia e la sua idiozia.

Più che per il racconto da romanzo “giallo”, mi è piaciuto più per l’affresco romano, il clima che si respirava in quegli anni: il protagonista ci porta a conoscere i grandi locali della Dolce Vita, il Doney, il Club 84. Ci farà incontrare due grandi scrittori del secolo passato come Moravia a Pasolini. Ci porterà ad uno spettacolo (non negli anni sessanta) di un giovane e scandaloso Carmelo Bene.

La scheda del libro sul sito dell'editore Rizzoli (che con questo romanzo inaugura una nuova serie ispirata a cold case del passato).

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