E' festa grande per i produttori di armi da quando è cominciata la guerra in Ucraina: l'industria delle armi fattura più di quella del settore auto, più di duemila miliardi di fatturato. Siccome sono spesso aziende controllate dallo Stato, o in forti rapporti coi governi, sono anche in grado di condizionarne le politiche.
È grazie alle armi e alla determinazione degli ucraini se l'esercito russo non ha sfondato: l'Ucraina ha ricevuto 35,64 miliardi di euro in sistemi d'arma. I lanciamissili Javelin costano 256mila dollari, i droni turchi costano tra 1 e 5 milioni di dollari.
Anche la Russia e la sua industria militare sta andando “bene”: i missili che colpiscono le città ucraine costano anche 2 milioni di dollari. Per mantenere la guerra i russi spendono 900 milioni di dollari al giorno. È festa per l'industria delle armi.
Industria che si ritrova alla fiera del Qatar: dove nello scorso maggio si è tenuta una delle più futuristiche fiere di armi: nella scorsa edizione della fiera si erano chiusi contratti per 100 ml di dollari, quest’anno, l’anno della guerra in Ucraina, il mercato è esploso, si sono fatti affari per 162 ml di dollari.
Questo grazie all’esplosione delle vendite di droni, usati nel conflitto ucraino e negli altri conflitti dimenticati in tutto il mondo, sono le armi chiave per vincere la guerra, raccontano i rappresentanti delle aziende di armi.
Grazie ai droni, missili a lunga gittata e lanciarazzi, elicotteri, mezzi corazzati, ricevuti dai paesi europei e dall'America, l'Ucraina sta respingendo le forze russe: a festeggiare sono le aziende che le vendono queste armi.
Come l’azienda turca Baycar, produttrice dei droni più utilizzati al mondo e nelle mani del genere del dittatore turco Erdogan, che da febbraio ha ricevuto ordini da tutto il mondo. L’americana Lockheed, produttrice dei lanciarazzi Jevelin (usati dalla resistenza ucraina) e degli F35, i nuovi bombardieri nucleari che ha guadagnato un +25% sul mercato. La tedesca Rheinmetall che ha raddoppiato il valore in borsa, la francese Thales e l’italiana Leonardo, cresciute del 60%.
Viviamo nell’età dell’oro per i produttori di armi – racconta Presadiretta nell’anteprima – che però non è iniziata con l’attacco russo dello scorso febbraio. A riferirlo è il SIPRI, un istituto a Stoccolma che monitora la spesa mondiale in armamenti: “già nel 2021, ben prima dell’attacco russo, la cifra mondiale per la spesa militare aveva raggiunto la cifra più alta di sempre, 2.1 triliardi di dollari, con una crescita costante dall’inizio del 2000. ”
C'è poi la crescita dell'arsenale
militare, sia in Cina che in America, ma sono molti i paesi europei
che aumenteranno le spese militari per arrivare al 2% del PIL in
armamenti, come suggerito dalla Nato.
La Germania, col suo
presidente Sholtz, ha deciso di creare un fondo speciale da 200
miliardi da usare nei progetti in armamento, con l'obiettivo di
aumentare la sicurezza del paese: è una svolta per la Germania, che
sin dalla seconda guerra mondiale non ha mai avuto un esercito ben
organizzato e armato.
LA Germania spende già 50 miliardi
l'anno per l'esercito, per creare questo fondo da 100 miliardi il
parlamento ha dovuto discuterne in Parlamento, mentre fuori le
persone manifestavano: i soldi in armamenti sono fondi sottratti ad
altri fini. Ma non tutti i tedeschi sono sfavorevoli all'esercito: la
guerra ha spaventato le persone, che hanno paura di una nuova guerra
fredda e temono l'incolumità delle frontiere.
Assisteremo ad
una nuova corsa agli armamenti: anche in Italia Draghi ha dichiarato
di voler aumentare la spesa militare da 26 a 38 miliardi, per
arrivare al 2%.
Si tratta di spendere in programmi per acquistare
i bombardieri nucleari F35, per la loro logistica, ma – come ha
raccontato Francesco Vignarca della Rete Disarmo – spenderemo anche
in nuove navi, nuovi aerei. Spenderemo anche fondi del PNRR per
estendere le basi militari esistenti.
La retorica del conflitto in
Ucraina servirà a questo: spenderemo più in armi perché ora la
Russia è vista come nemico dunque dobbiamo spendere sempre più per
la difesa.
Ora l'Ucraina e Zelensky sta chiedendo nuovi
missili a lunga gittata: sono usati per colpire a 300km per colpire
le retrovie russe, per arrivare fino in Crimea. Le cancellerie
occidentali hanno aspettato per dare queste armi, per evitare una
escalation del conflitto, perché sono armi offensive.
Il dibattito negli Stati Uniti
E' giusto o no dare armi offensive
all'esercito ucraino: Biden in un primo discorso aveva ribadito di
non voler arrivare ad una guerra mondiale, perché le minacce di
Putin vanno prese sul serio.
Ma le bombe russe continuano a cadere
su obiettivi civili, sono veri e propri crimini di guerra, dopo
l'abbattimento del ponte russo che collega la Crimea alla Russia.
Così oggi Zelensky chiede armi a lunga
gittata: le ha chieste ai paesi che hanno dato le armi all'esercito
ucraino e ora gli Usa sono ad un bivio.
Il gruppo Nato, a
Bruxelles, ha deciso di dare un supporto senza scadenza, con armi che
raggiungono quote sempre più elevate e colpire bersagli sempre più
lontani: la Casa Bianca sta cercando un equilibrio nel sostegno
militare, perché non vogliono portare la guerra in Russia.
Dietro
le quinte c'è anche un negoziato – ricorda l'analista Dario Fabbri
– ci sono molte cautele prima di prendere queste scelte: cautele
che emergono anche dai rapporti dell'intelligence o dalle
informazioni fatte trapelare. La morte di Dugina, la figlia di Dugin
o l'attacco al ponte di Kerch: si teme che il governo ucraino voglia
interrompere le azioni di negoziato o complicarlo.
Kory Shake,
ex consulente del presidente Bush è stata in Ucraina sul campo:
l'America fornirà armi a maggiore gittata per colpa di Putin e dei
suoi attacchi indiscriminati.
Secondo l'analista Biden non dovrebbe mostrarsi preoccupato dell'escalation nucleare perché questo incoraggerebbe Putin ad andare avanti: è il momento dei falchi, dunque, che non si preoccupano delle conseguenze di questa nuova fase della guerra.
Se la Russia si ritrovasse a perdere i territori appena conquistati, anche in Crimea, si farebbe scrupoli ad usare il nucleare? L'arma nucleare potrebbe diventare una opzione se i russi iniziassero a perdere territori – sostiene Dario Fabbri.
Il rischio di guerra nucleare non è una opzione impossibile: ma è così difficile trovare un accordo ai negoziati?
L'arma della diplomaziona è utile proprio adesso – sostiene l'ambasciatore Riccardo Sessa : ci sono contatti a vario livello tra i paesi, ma il negoziato ora deve avvenire all'interno di un disegno che vede gli europei coinvolgere paesi non europei per affrontare il negoziato con Putin. Più il conflitto si indurisce più la diplomazia deve intervenire: la preoccupazione dell'ambasciatore è che la diplomazia ha già fallito, perché non ha prevenuto il conflitto.
L'Europa dopo la fine della seconda guerra mondiale ha stabilito un contatto con la Russia, per evitare la terza guerra mondiale: con la caduta del muro di Berlino la classe politica che aveva favorito la fine del comunismo e dell'alleanza militare nei paesi attorno all'Unione Sovietica, avrebbe dovuto realizzare una struttura di sicurezza in Europa.
Ma queste condizioni adesso non ci
sono, per colpa di Putin e delle sue ambizioni da nuovo zar ma anche
per colpa dei paesi europei. Ora, conclude Sessa, dobbiamo evitare
che l'Ucraina crolli di fronte all'esercito russo.
Dobbiamo far si
che le azioni militari portino Putin a dover ammettere che le
operazioni militari non hanno funzionato, nell'annettersi i territori
ucraini.
Avanti con la diplomazia, dunque!
L'influenza politica dell'azienda delle armi
Quando un'industria ha un giro d'affari da duemila miliardi, considerando che sono spesso industrie di stato, è in grado di interferire con le politiche di sicurezza dei paesi.
Alle fiere militari i grandi colossi del settore si sfidano a colpi di droni, di robot, di telecamere, di sistemi di biometria: per il controllo delle frontiere, per la sicurezza interna in un mercato che cresce del 9% l'anno.
In un mondo globalizzato, i paesi spendono per difendere le frontiere, ora con i droni: il settore dei droni vale 14 miliardi, un mercato che è in crescita specie in Europa, grazie ai muri fisici e virtuali costruiti per contenere i flussi migratori.
Sono le aziende delle armi che hanno trasformato un fenomeno sociale come la migrazione dai paesi del sud del mondo in un problema di sicurezza.
L’Europa è così sensibile agli interessi della lobby delle armi tanto da aver deciso di spendere sempre di più: secondo il report “A quale costo” pubblicato da State Watch e Transnational Institute che analizza le spese militari dell’UE, tra il 2021 e il 2027 investiremo 49,3 miliardi di euro per i settori sicurezza e difesa, un aumento del +123%. Il fondo per la gestione del controllo delle frontiere, crescerà del 131% passando a 6,2 miliardi di euro. Per non parlare del fondo per la sicurezza interna, quasi 2 miliardi con un aumento dei fondi del 90%. Tocco finale, i finanziamenti ad Europol e Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere: siamo a 10miliardi di euro con un aumento del fondi del +129%.
“Ci siamo accorti che il budget stava aumentando sempre di più” racconta a Presadiretta Margarida Silvia di Corporate European Observatory “e che l’agenzia otteneva sempre più potere nella gestione degli appalti per le frontiere, senza disporre di un adeguato sistema di trasparenza e controllo dell’attività delle lobby. Abbiamo fatto una richiesta di accesso agli atti e abbiamo scoperto che in tre anni Frontex è stata in contatto con oltre 180 società private: Airbus, Gmw, Indra, Leonardo, le principali compagnie di armi in Europa. Queste hanno cercato di convincere Frontex e gli stati membri a spendere più soldi in tecnologie di sorveglianza e controllo delle frontiere. Se chiedi alle aziende di armi quale deve essere il futuro del controllo delle frontiere, ti risponderanno con più armi, più sorveglianza e una Europa piena di muri.”
Non discutono solo di progetti, le
aziende delle armi discutono anche di politiche euroee, presentando
progetti: Margarida racconta di un progetto bloccato per la protesta
delle ONG che prevedeva di monitorare i messaggi dei migranti per
geolocalizzarli.
La commissione europea e Frontex hanno sede a
Bruxelles a fianco alle sedi delle principali aziende delle armi:
aziende che spendono 2,6 ml di euro in attività di lobby in una
associazione chiamata EOS.
La commissione europea non ha l'obbligo
di rendere noti gli incontri con l'industria delle armi o di altre
aziende: in questo modo le compagnie militari influenzano l'Unione
Europea e la commissione per comprare nuove armi, usate in guerre,
che causano nuovi flussi migratori che poi devono essere contenuti
con nuove armi e sistemi di biometria, droni …
Presadiretta
ha raccontato del programma Horizon 2020: servirebbe per identificare
terroristi da bloccare prima dell'ingresso nell'area Shengen. Un
progetto in cui si va a monitorare il volto delle persone, per capire
se sta dicendo la verità o meno: ne aveva parlato Report in una
passata puntata, in cui la giornalista era stata bloccata alla
frontiera della Croazia.
Alla fine, dopo una fase di
sperimentazione e dopo una spesa di diversi miliardi, il progetto di
High Border Control è stato bocciato.
Ma l'Europa continuerà a
finanziare altri progetti come questo, poco etici e dai preoccupanti
risvolti umani: tutti i progetti di Horizon dovrebbero essere
monitorati da un comitato etico, che dovrebbe fare la revisione di
questi progetti.
Ma alla fine questa revisione non
funziona: le valutazioni etiche non sono rese pubbliche, i paesi
europei ritengono che la tecnologia, le reti neurali, gli algoritmi,
la biometria, possa risolvere tutti i problemi, possa stabilire se
una persona sia un criminale o meno.
Il controllo delle
frontiere in Croazia.
Nel 2019 è stato presentato a Zagabria
un nuovo sistema di monitoraggio delle frontiere, con nuove
telecamere, acquistate dalla polizia croata per 6 ml di
euro.
L'Unione Europea ha acquistato un arsenale per tenere fuori
dalle frontiere europee i migranti:sono termo telecamere vendute
anche alla Bosnia, per dare la caccia ai migranti.
Dal 2015 ad oggi ha ricevuto 163 milioni di euro per dare spazio alle sue fantasie tecnologiche. Il ministero dell’Interno ha acquistato dispositivi di imaging termico per rilevare gli esseri umani ad oltre un miglio di distanza e i veicoli a due. E poi telecamere ad infrarossi e apparecchiature che rilevano il battito cardiaco, droni a lungo e medio raggio che volano fino ad 80 miglia l’ora e che salgono fino ad una altitudine di 3500 metri trasmettendo dati in tempo reale.
La Croazia ha acquistato un elicottero in grado di rilevare qualsiasi movimento di notte, un modello tra i più sofisticati al mondo per il controllo delle frontiere, progettato dalla Augusta Westland in Italia, si chiama AV 139 e costa 16,5 ml di euro: grazie ai fondi europei la Croazia ne ha acquistati due assieme a due Eurocopter della francese Airbus da 4 ml di dollari. Tutti gli elicotteri dispongono di termocamera gestita giorno e notte da un operatore che controlla qualsiasi movimento avvenga sulla terra.
Obiettivo è localizzare i migranti e
individuare i luoghi nascosti dove possano trovarsi.
Se la
visibilità è buona la videocamera può arrivare fino a 10km di
distanza, mentre l’elicottero raggiunge i 310km/ora.
Una volta individuati sul monitor
questi gruppi di migranti, l’elicottero allerta le pattuglie di
terra che interverranno nella zona: Presadiretta è andata a Sturlic,
nella Bosnia occidentale, dove le forze croate lungo la frontiera
hanno commesso le peggiori violenze nei confronti dei migranti per
poi respingerli in Bosnia.
Nel sentiero dei migranti, la giornalista di Presadiretta ha incontrato dei militari bosniaci: le violenze sui migranti ci sono, non sono un'invenzione, ma sono violenze pagate dall'Europa. La polizia antisommossa croata paga le giacche, la diaria e le tecnologie che permettono di dare la caccia ai migranti.
Si parla di botte, di dita spezzate, di soldi e altri beni rubati a queste persone dalla polizia croata che li aveva individuati nei boschi grazie alla tecnologia, i droni, i visori a raggi infrarossi geolocalizzatori, sistemi di intelligenza artificiale: “la colpa è dei governi europei perché per loro siamo solo briciole e fanno di noi quello che vogliono.”
Sono le parole di un gruppo di profughi afgani che hanno cercato rifugio in un rudere.
Il rapporto di Monitoring Violence Monitoring Network afferma che le tecnologie avanzate per il controllo delle frontiere croate hanno portato ad una escalation delle violenze per i respingimenti illegali da parte della polizia: droni, elicotteri, scanner per il rilevamento di veicoli e visori termini notturni, vengono citati nel rapporto anche rilevatori di frequenza cardiaca e di respirazione, delle telecamere serpente che guardano nelle fessure dei camion che attraversano i confini. Strumenti con cui, secondo il rapporto, vengono eseguite procedure razziste e repressive.
Tutto pagato dalla commissione europea. Silvia Maraone fa parte della Caritas e lavora in Bosnia: c’è un costo economico e c’è anche un costo in termini di vite umane perché i confini vengono più controllati e i migranti devono trovare strane sempre più pericolose, campi minati, burroni, fiumi da attraversare, “il risultato non è l’interruzione di un flusso migratorio, ma è un disastro umanitario.”
I respingimenti sono fatti anche quando i migranti sono già all’interno dell’Unione Europea, rimandandoli indietro attraverso un meccanismo di push back a catena, per cui l’Italia li consegna alla Slovenia, la Slovenia li consegna alla Croazia e quest’ultima in maniera ancora più illegale fa questi respingimenti nei boschi che non vengono neanche registrati. Assistiamo ad una violazione a catena dei diritti umani.
C'è la violenza
fisica e c'è anche la violenza psicologica, perché la polizia
quando trova questi migranti requisisce e distrugge i loro cellulari
con cui questi si mettono in contatto con le loro famiglie.
L'Unione
Europea finanzia la repressione e la violenza – racconta a
Presadiretta un deputato bosniaco: la polizia croata entra in
territorio bosniaco e si è pure permessa di disboscare un settore di
una collina per impedire loro di nascondersi nei boschi.
Perché i
poliziotti hanno piazzato telecamere sugli alberi nelle foreste dove
i migranti dal lontano afgano sono braccati come animali in fuga.
I boschi della Bosnia sono un cimitero di donne, uomini e bambini dimenticati dall'Europa. I migranti sono diventati le cavie degli algoritmi delle società informatiche.
In Lituania
Presadiretta è andata a visitare un'azienda informatica esperta in
biometria e riconoscimento facciale, che si chiama
NeuroTechnology.
Nel loro database conservano tutte le immagini e
le informazioni raccolte dai sistemi biometrici: sono dati sensibili,
sono dati unici.
Sono dati usati da banche ma anche da governi
per un fine di sorveglianza: le stime di mercato dicono che il
fatturato arriverà a 65,3 miliardi di dollari nel 2024, la biometria
è il pallino dell'Unione Europea del resto.
Tutte le persone devono essere monitorate, non solo migranti ma anche i viaggiatori devono essere tracciati: al centro di questo sistema di controllo c'è Eu-Lisa, 319ml di euro di fondi solo nel 2022. Dentro il suo database ci sono le informazioni dei cittadini che si muovono nell'Unione, la sua sede istituzionale è a Tallin, in Estonia, quella operativa a Strasburgo.
La missione è fornire le infrastrutture informatiche per la gestione dei confini, dei flussi migratori e della sicurezza interna dell’Unione europea. Un’alleanza d’acciaio con Frontex, ma anche con la polizia Europol e l’unità di cooperazione giudiziaria Eurojust.
Eu-Lisa possiede oltre 17 milioni di impronte digitali per le richieste di visto, più i dati biometrici di cinque milioni e mezzo di richiedenti asilo e 100 milioni di alert del SIS, il Sistema Informativo Schengen.
La sfida futuristica lanciata da questa agenzia sconosciuta ai più ma centrale nelle politiche europee, è creare il più grande archivio biometrico del mondo, mettendo in rete tutti i database europei e i dati sensibili dei viaggiatori entro il 2023.
Per realizzare la grande rivoluzione tecnologica delle frontiere europee, tra aprile e novembre del 2020 Eu-Lisa ha siglato una serie di contratti con alcune delle più importanti società biometriche d’Europa, come le multinazionali francesi Sopra Steria e Idemia, per un totale di quasi un miliardo di euro.
Società private
decideranno quali tecnologie fornire ai governi che le useranno per
consentire l'accesso delle persone nei loro paesi: alcune
organizzazioni di diritti civili hanno espresso diversi dubbi su
queste politiche, stiamo consegnando i nostri dati sensibili ad
aziende private.
Noi possiamo cambiare la password, il documento
di identità, ma non possiamo cambiare le nostre iridi e le nostre
impronte digitali.
L'immagine dei nostri volti può essere rubata
e manipolata: Presadiretta ha mostrato un esperimento fatto
dall'università di Bologna, all'Alma Mater, in cui si manipola la
foto di un volto, per arrivare ad un nuovo volto coi dati presi dalla
foto di un complice. La tecnologia si chiama morphing.
Il nostro volto, i nostri occhi, le nostre mani, la nostra identità e la nostra unicità, i dati più sensibili che abbiamo.
«Manca una supervisione su come queste aziende gestiscono i nostri dati», spiega Gemma Galdon Clavell, analista e consulente Horizon, intervistata da PresaDiretta per l’inchiesta Armi di sorveglianza di massa, in onda su Rai3 il 17 ottobre: «Il problema con la biometria – continua – è che se la società che possiede i miei dati personali non li tratta in maniera responsabile e la scansione della mia faccia viene rubata, il danno che mi provochi è irreparabile. I pericoli sono enormi quando si ha a che fare con tecnologie digitali e biometriche».
A confermare queste preoccupazioni è Wojciech Wiewiórowski, Garante europeo per la protezione dei dati: «Esiste un reale pericolo nell’uso crescente dei sistemi biometrici, perché i dati possono essere raccolti e gestiti in modo da violare la privacy delle persone.Dobbiamo essere in grado di controllare come vengono gestiti i dati provenienti dai database dell'Unione europea, ma se per esempio le autorità europee stanno utilizzando dati provenienti da altri paesi, non c’è nessuna possibilità di effettuare controlli».
I DUBBI DELL’ONU
A novembre del 2020, il rapporto di Tendayi Achium, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di razzismo e discriminazioni, denuncia che i governi e le agenzie del mondo stanno sviluppando tecnologie digitali per il controllo delle frontiere in maniera pericolosa e discriminatoria, sottoponendo in particolare rifugiati, migranti e apolidi a violazioni dei diritti umani e utilizzando i loro dati per promuovere ideologie xenofobe e razzialmente discriminatorie.
«Quello che sta accadendo è che la biometria viene sviluppata e applicata innanzitutto sulle popolazioni più vulnerabili e questo è molto preoccupante», dice Gemma Galdon Clavell.
«Com’è possibile che ci mettiamo a giocare con tecnologie di cui non conosciamo davvero l’impatto utilizzandole su coloro che sono più deboli e non hanno la possibilità di difendere i propri diritti?».
Per Petra Molnar, avvocata e ricercatrice specializzata in migrazione, tecnologie e diritti umani «alcuni algoritmi, che gli studiosi definiscono algoritmi di oppressione, per testare la tecnologia utilizzano i migranti come cavie da laboratorio».
E in queste sperimentazioni, la possibilità che le tecnologie commettano degli errori è altissima.LA RESPONSABILITÀ DELL’ALGORITMO
«Quando un algoritmo o un sistema decisionale automatizzato commettono un errore – continua – le conseguenze nel campo dell’immigrazione possono essere di enorme portata. È già accaduto che delle persone venissero ingiustamente deportate a causa di un errore. Più di settemila studenti sono stati allontanati dal Regno Unito per colpa di un algoritmo difettoso che li accusava di aver imbrogliato in un test di acquisizione linguistica. Cosa succede se un rifugiato viene rimandato per sbaglio nel paese d’origine in cui viene perseguitato? Chi è il responsabile? Il progettista dell’algoritmo, il programmatore, il funzionario dell'immigrazione che ha usato l'algoritmo? O l’algoritmo stesso?».
(Potete leggere del servizio su questo articolo uscito su Domani)
Presadiretta ha chiesto conto all'Unione Europea sui fatti riportati nel servizio: le violenze in Bosnia, l'abuso di tecnologie di sorveglianze. Non è arrivata risposta, un silenzio colpevole.
Lo scandalo di sorveglianza di massa più grave in Europa
Diversi giornalisti ungheresi sono stati spiati per mesi da uno spyware: tutto comincia nel 2021 quando un consorzio giornalistico – Forbidden Stories – viene a conoscenza di un elenco di numeri che sarebbero stati spiati.
Dopo un lavoro di indagine il consorzio scopre di avere di fronte il più grave caso di spionaggio di massa dopo quello denunciato da Snowden: è lo spionaggio fatto tramite Pegasus, software sviluppato in Israele che si installa sullo smartphone senza bisogno di alcun contributo da parte della vittima.
Whatsapp e Signal non proteggono, perché Pegasus era già dentro il cellulare: questo software era pensato per combattere i terroristi, ma secondo Forbidden stories in Ungheria è stato usato dal governo di Orban per spiare giornalisti che avevano scritto articoli critici nei confronti del governo come anche di oppositori di Orban.
Anche l'ex presidente del parlamento Catalano è stato spiato da Pegasus: ha presentato una denuncia contro il capo dell'intelligence spagnola, seguito da altri deputati catalani e avvocati.
I servizi spagnoli hanno amesso di aver spiato i deputati catalani, causando poi la dimissione dei suoi vertici.
Le aziende come NSO sono un problema per le democrazie, perché per vendere il loro prodotto dovrebbe avere l'autorizzazione del governo israeliano che lo ha usato per condizionare le politiche estere di altri paesi nei loro confronti. NSO è stato venduto ad autocrazie e governi autoritari, è stato usato contro capi di stati, giornalisti, per sorvegliare il giornalista Khasshogi.
C'è un rischio democratico anche in Europa, dunque: è stato usato in Ungheria, anche in Polonia. L'UE dovrebbe richiamare Israele per fermare la vendita di questo spyware così invasivo.
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