Questa sera Report si occuperà dei grandi chef stellati: sebbene il loro è un mercato di nicchia, gli stellato sono solo lo 0,2% dei ristoratori e hanno un fatturato che non raggiunge solo lo 0,4% del totale. Ristoranti insostenibili dal punto di vista economico, perché il vero business è altro, la notorietà e poi le apparizioni in TV.
Il servizio racconterà anche di come si difende il made in Italy: la sovranità alimentare esiste davvero?
Un altro servizio sarà dedicato ai fondi del PNRR per il superamento dei ghetti ai margini delle grandi città, mentre continuano i morti nelle baracche.
Gli chef stellati
L’uomo mascherato intervistato dal giornalista di Report non è un pentito della mafia o una fonte anonima che non vuole rivelare l’identità per non rischiare ripercussioni nel lavoro: si chiama Valerio Visintin ed è il critico gastronomico del Corriere della Sera, nasconde il suo volto per poter assaggiare in incognito le creazioni dei migliori ristoranti d’Italia, quelli stellati.
“Molte
di queste creazioni sono immaginifiche” racconta il critico “cose
che non c’entrano niente con la cucina ma che giustificano l’allure
di artista che si portano dietro gli chef più quotati.”
Ma
non tutti i grandi cuochi stellati fanno così: ce ne sono altri che
cucinano piatti molto meno elaborati, per quanto riguarda l’occhio.
“Io do da mangiare nel senso che comunque preparo delle cose che
non sono così complicate: come vedete cosa stiamo facendo [rivolto
alla telecamera di Report], stiamo mettendo aromi e ciccia dentro una
pentola.. Uno si deve divertire, se abbiamo l’ansia da prestazione
anche in cucina diventa una tragedia, ma che stiamo a fare? La
rivoluzione francese? Stiamo a cucinà..”.
Dietro le stelle
c’è in realtà un mercato di nicchia, gli stellati rappresentano
infatti lo 0,2% dei ristoranti italiani e hanno un fatturato che non
raggiunge lo 0,4% del totale.
“Sono
quasi tutti ristoranti che sono insostenibili dal punto di vista
economico ” racconta il critico “consumano come una Ferrari ma
vanno come una 500.”
Ma l’essere uno chef stellato genera
però notorietà, genera immagine che si riverbera in modo positivo
per lo chef stellato: come per Alessandro Borghese, che condurrà in
televisione un programma suo, un game show, dove inserirà qualche
elemento di cucina.
Il business vero è la TV – spiega il
consulente Bellavia a Report: “il business vero è quello, non
compra la carne, non paga la luce, non paga l’affitto.”
Perché
tenere in piedi un ristorante stellato ha un costo molto alto:
Vissani ad esempio tiene aperto il suo soltanto 16 giorni al mese,
perché non si può tenere aperto per altri giorni per sole due
persone, specie quando si arriva a pagare quasi 3000 euro di frutta e
verdura.
Il
servizio di Bertazzoni racconterà anche di come si lavora nei
ristoranti stellati, come quello di Briatore dove la pizza stellata
non ha superato il test di Bernardo Iovene in un passato servizio,
pizze che valgono come 10 ore di lavoro. O come quello di Alessandro
Borghese, autore di una dichiarazione che causò diverse polemiche: i
giovani oggi mancano di spirito di sacrificio, per questo motivo oggi
fa fatica a trovare personale (tutti questi ragazzi che si permettono
di chiedere salari e diritti..).
Nonostante
gli iscritti agli istituti professionali, per diventare cuochi, siano
in calo, la voglia di lavorare dietro i fornelli c’è ancora: molti
dei ragazzi (quelli che non hanno spirito di sacrificio) provano la
via dei corsi nelle scuole di cucina. Ci sono corsi base da 5000
euro, racconta a Report una ragazza, mentre il corso superiore circa
13000: sono scuole che danno poi l’opportunità di frequentare
degli stage, dove però i ragazzi trovano condizioni allucinanti,
fino a 17 ore di lavoro, si inizia alle 8 di mattina per finire a
mezzanotte. “La scuola sa di determinate strutture come funzionano,
mi è stato detto benvenuta nel mondo della ristorazione..”
Per
gli stagisti valgono le 40 ore settimanali? Non proprio: “la scuola
ci ha detto che se anche facciamo 11-12 ore al giorno sempre otto ore
dobbiamo scriverci. Mi assentavo un attimo per andare in bagno e
sentivo lo chef che urlava il tuo nome, mi metteva angoscia. A scuola
ti fanno il brainwashing, ti dicono che questo è normale, quando tu
devi iniziare questo percorso per poter fare carriera nella tua
vita.”
Ci sono poi gli chef che, dopo aver lavorato in
giro per il mondo, provano a tornare a lavorare in Italia: che
offerte di lavoro trovano? “Se ti va bene facciamo 15 giorni senza
contratto e ti do mille euro” racconta a Report un altro testimone
di questo sistema “noi abbiamo uno staff del bangladesh che non
vanno mai a casa perché abitano lontano, quindi si riposano qui
dentro, sui divani e poi riattaccano loro alle 5.30 – 6.00. Sono
macchinette che camminano e lavorano molto bene.”
1000
euro in nero per 15 giorni di prova, questa la prima offerta
ricevuta, nel secondo colloquio almeno si parla di un contratto ma il
livello e lo stipendio non sono adeguati alla posizione di
chef.
Sempre da una conversazione carpita tra un datore di
lavoro e uno di questi chef venuti a lavorare da fuori: “Tu mi hai
accennato al telefono ad un quinto livello, ma il ruolo di
responsabile della cucina è un primo o un secondo livello..”
“Il
livello primo e secondo non possiamo permettercelo, è solo una
questione di costi, quindi che mi stai chiedendo?”
“2200
tutto dentro è meglio, so che a te costa molto di più, però lì
dentro ci sono anche i contributi che poi vanno alla mia pensione.”
La
scheda del servizio: IL
CONTO DELLO CHEF di
Luca Bertazzoni
Collaborazione Marzia Amico
Milioni di follower sui social e star della tv: un tempo si chiamavano cuochi, oggi per tutti sono i grandi chef. Un business, quello degli stellati, che muove milioni di euro fra ristoranti, indotto e soprattutto comunicazione. Ma cosa c’è dietro a questo mondo? Secondo il famoso chef Alessandro Borghese, ai giovani manca la passione, lo spirito di sacrificio, la voglia di lavorare. È davvero così? Con un lungo viaggio dentro i ristoranti stellati, Report fa i conti in tasca agli chef più famosi d’Italia, indagando sul business delle loro attività commerciali, sia nel campo della ristorazione, sia in quello dei media. E poi un racconto delle condizioni di lavoro nel mondo della ristorazione.
L’Italia dei ghetti
Domenica 4 dicembre c’è stato un incendio a Borgo Mezzanone che ha distrutto quattro baracche costruite nel ghetto vicino a Foggia, un insediamento spontaneo dove vivono oltre 1500 migranti.
L’onorevole
Soumahoro è andato in visita alla baraccopoli con Bernardo Iovene:
“è vita questa? Di questo stiamo parlando. Poi mi si chiede perché
sei indignato sempre? Io sono indignato perché vedo le persone
vivere in queste condizioni. Ci ho vissuto in passato e sono riuscito
a venirne fuori, ma non mi dimentico da dove sono partito.”
Nelle
baracche andate a fuoco vivevano braccianti: stavano dormendo dentro
queste case di lamiere e si stavano riscaldando con mezzi di fortuna,
questo avrebbe causato l’incendio.
Da queste baracche si deve
partire, racconta a Report il deputato: “quando si mangiano i
prodotti agricoli bisogna chiedersi da dove provengono, piovono dal
cielo? No da qui si parte e da qui si ragiona per migliorare, per chi
vuole migliorare.”
Bernardo Iovene ha intervistato il deputato anche sull’inchiesta che ha coinvolto la moglie e le cooperative di accoglienza ai migranti, dei selfie, del lusso: “Provo a risponderti sui selfie. Visto che si parlava dei braccianti solo quando c’è il morto mi sono detto, visto che ci sono i social media trasformo i miei canali social in uno strumento per rilanciare e condividere coi cittadini che a casa mangiano e non sanno da dove proviene il cibo”.
In Puglia arriveranno 114 ml di euro dai fondi del PNRR per i ghetti: di questi 53,4 a Manfredonia per far uscire proprio dal ghetto di Borgo Mezzanone i 4000 braccianti agricoli. Una buona notizia di cui però i braccianti non ne sanno nulla: “a noi non servono i soldi del governo per aiutare, noi non vogliamo questo” racconta a Bernardo Iovene uno di questi, Abdullah Ismail “vogliamo usare la nostra energia, lavorare e guadagnare. Non serve: dai loro [i braccianti] i documenti e loro vanno a lavorare e prendono la cassa integrazione da soli.”
Alla base servono documenti e lavoro in regola: i 53 ml che arriveranno al comune di Manfredonia serviranno a questo, il comune dovrà realizzare un piano di azione e rispettare i tempi, altrimenti questa valanga di soldi si perderà.
Qual è la posizione del sindaco?
“Sono tanti soldi, ma soprattutto non ci veniva detto cosa fare perché può essere una opportunità, ma può anche essere un problema. Io ho detto alla Regione ‘scusate io sono sindaco da sei mesi, in un comune dove abbiamo dissesto finanziario, una struttura di personale ridotto come faccio ad adempiere a quelle date che loro avevano predisposto ?’.”
Arrivano i soldi al comune ed è un problema?
“Il rischio è quello, dobbiamo essere onesti su questo.”
Come uscirne? Iovene ha sentito anche l’assessore al bilancio della regione Puglia Raffaele Piemontese:
“Facciamo in modo che le università, a partite dal Politecnico, possano dare un supporto ai comuni.”
I soldi del PNRR sono stati stanziati in base alla presenza dei lavoratori nel ghetto che sono in gran parte senza documenti.
In automatico dovrebbe scattare un permesso di lavoro, inserire questa nuova figura di permesso – spiega a Report Daniele Iacovelli segretario della CGIL di Foggia – che però sia istantaneo al momento che un lavoratore possa dimostrare che ha un rapporto di lavoro valido: “però la possibilità e l’occasione di questo pnrr, che potrebbe essere l’ultima possibilità reale.. ”
Ultima possibilità di non avere più un ghetto come questo, nel paese che si vanta essere una potenzia industriale e una democrazia.
A San Severo c’è un altro ghetto, quello di Torretta Antonacci: il comune ha dichiarato che qui vivono 2000 persone e quindi riceverà 28ml di euro per la dismissione del campo.
“Nel progetto che viene fatto sull’immigrazione e sugli aiuti non c’è nessuno che parla di documenti. Quello che interessa agli immigrati non ci sta.” Sambare Soumalia è un immigrato che si è occupato di tutte le questioni burocratiche dei migranti del ghetto. Ad aiutarlo, tra le complicate normative e le richieste ai vari enti c’è l’ex deputato Francesco Caruso.
All’interno del ghetto c’è un ufficio dove tutti i giovedì c’è uno sportello aperto per queste pratiche: ad esempio il comune di San Severo non riconosce il cedolino della Questura che invece è a tutti gli effetti un documento in attesa della consegna del permesso di soggiorno. Con questi cedolini, dice la norma, si potrebbe chiedere ed ottenere l’iscrizione all’anagrafica del comune: il problema più grosso di queste persone sono i documenti, perché il comune non va incontro a queste persone?
Francesco
Miglio, sindaco di SanSevero ha risposto alla domanda “Non è
possibile fare una cosa del genere, c’è un’interlocuzione in
atto tra di noi [all’interno del comune]..”
Grazie a queste
persone, con o senza documenti, il comune riceverà 28 ml di euro dal
pnrr: ma quando Iovene ha chiesto a Caruso se come USB partecipano al
tavolo con gli altri sindacati e i comuni sui fondi del pnrr,
quest’ultimo ha risposto che non stanno ascoltando gli abitanti di
Torretta e che con 29 ml tu costruisci un villaggio, “dopodiché
questi rimarranno qua perché non hanno i documenti”. Dunque senza
documenti = illegale, dunque clandestino, dunque sempre sfruttabile
dai caporali e dalle aziende agricole.
La
scheda del servizio: USCIRE
DAI GHETTI di
Bernardo Iovene
Collaborazione Lidia Galeazzo
Dietro un piatto di spaghetti al pomodoro c’è il lavoro di migliaia braccianti agricoli, che vivono in baracche senza acqua né luce e riscaldamento. La loro condizione di irregolari crea dipendenza dai caporali che speculano sulla paga già bassa e sui trasporti. Per superare questa situazione negli anni sono stati stanziati milioni di euro su progetti ancora in corso sia per lo smantellamento delle baraccopoli che per creazione di moduli, container provvisori affiancati da progetti di formazione e inclusione gestiti da associazioni e volontari. L’ultimo progetto viene dal PNRR: 200 milioni di euro. Questa volta il Ministero del Lavoro ha incaricato l’Anci, quindi i comuni, di fare un censimento dei ghetti, e stanziare dei fondi in base alle presenze. In Puglia arriverà la fetta più grossa, 114 milioni. Quali sono i progetti e i tempi di realizzazione che hanno un cronoprogramma da rispettare pena la perdita del finanziamento? Siamo stati nei ghetti del foggiano, abbiamo visto le condizioni e le esigenze dei migranti braccianti che li popolano, e analizzato i progetti dei comuni. Infine, un’attenzione maggiore al gran ghetto di Torretta Antonacci, dove l’onorevole Aboubakar Sumahoro aveva lanciato la raccolta fondi durante il lockdown. Francesco Caruso, che era all’epoca con Sumahoro, ci ha segnalato i suoi rendiconti.
Difendere il made in Italy
Il
governo Meloni ha voluto marcare sin da subito la sua difesa della
patria: col ministero dell’ambiente e dell’indipendenza
energetica, col ministero dell’agricoltura e della sovranità
alimentare (al cognato, così la sovranità si difende meglio).
Ma
l’indipendenza energetica è stata affidata al buon cuore del gas
algerino e del gas liquido americano. E forse, tra qualche anno, a
quello libico.
Come
siamo messi invece per la difesa della nostra alimentazione, a parte
la guerra contro gli insetti? In che modo il governo sta difendendo i
nostri marchi all’estero?
In
America i consumatori si sono sensibilizzati alla differenza tra un
pomodoro qualsiasi e un pomodoro italiano così i marchi della
distribuzione americana hanno creato un nuovo nome, “san Marzano
style”: è il far west totale delle denominazioni, dei nomi, tutti
in italiano perché è questo il brand che tira.
Ma vai a spiegare ai consumatori che esiste una differenza tra il san Marzano vero col dop e l’etichetta col marchio che suona come fosse italiano.
Report ha intervista Beatrice Ughi di Gustiamo Inc, una società che importa dall’Italia solo prodotti di alta qualità, certificati da dop e igp: hanno però difficoltà perché sono invasi dall’italian sounding o l’italian fake.
Come è possibile? Risponde il presidente dell’istituto italiano del commercio estero a NY: dipende dalle normative che devono essere inter-regolamentate da accordi bilaterali, questi accordi non ci sono stati, sono accordi sulla protezione dei marchi dop. In questo vuoto di normative operano quei produttori che fanno cattiva concorrenza ai nostri prodotti.
La
scheda del servizio: LA
GUERRA DEL DOP di
Emanuele Bellano
Collaborazione Chiara D’Ambros
120 miliardi di euro: tanto vale secondo un rapporto diffuso da Coldiretti il mercato dei finti prodotti tipici italiani nel mondo. I più danneggiati sono i prodotti che in Italia e in Europa appartengono alle filiere Dop e Igp perché produrre un alimento di qualità costa di più. Se però finisce nello scaffale di un negozio americano o asiatico a fianco a un altro con un nome simile ma realizzato non rispettando le regole o usando un metodo e un procedimento meno complessi, contadini, allevatori e distributori ci rimettono tanti soldi. Tra Stati Uniti ed Europa non è mai stato firmato un accordo per il rispetto e la protezione dei marchi Dop e Igp e così produttori italiani e americani hanno invaso il mercato mondiale prendendo in prestito nomi di specialità alimentari famose senza però alcuna certificazione. Nello stato americano del Wisconsin si producono Asiago, Gorgonzola, Fontina, Provolone o in California pomodori San Marzano Style. Siamo andati a vedere come vengono fatti, quali trucchi vengono usati per confondere il consumatore e quanto questi prodotti sono diversi dagli omonimi certificati Dop.
Le anticipazioni dei servizi che andranno in onda questa sera le trovate sulla pagina FB o sull'account Twitter della trasmissione.
Nessun commento:
Posta un commento