TE PIACE ‘O PRESEPE? di Giorgio Mottola
Report si occupa dei presepe, opere d’arte come quelli di Napoli, del maestro Salvatore Scuotto: tramite il presepe si racconta il bene e il male della vita.
Uno
dei suoi presepi è stato donato ad una chiesa di Napoli: nel presepe
favoloso era presente anche una statua di donna che si faceva il
bagno, che suscitò un forte scandalo tanto da dover essere
rimossa.
Un presepe è all’interno della faida tra due comuni
della provincia di Rieti, Greccio e Contigliano, una faida che sembra
quasi una commedia: il paese di Contigliano aveva presentato domanda
per il presepe del 2023 in piazza San Pietro, ricevendo una risposta
positiva dalla Segreteria di Stato.
Poi
il comune di Greccio si è opposto a questa scelta: è nato un
comitato per Greccio e allo scontro si è anche interessato il
vescovo di Rieti.
Presentare il presepe a San Pietro da
prestigio e visibilità, sia ai piccoli comuni che ai politici
rappresentanti dei comuni e delle regioni. Dietro la contesa tra i
due comuni di Rieti c’è sicuramente anche questo: nel 2019 il
governatorato aveva scelto per l’allestimento del presepe del 2023
quello del comune di Contigliano.
Il comune non avrebbe speso
niente per il presepe, ci sarebbero stati gli sponsor e in ogni caso
l’allestimento era in chiave “verde”, “povero”
con alberi veri.
Ma
a questa assegnazione si è opposto il comune vicino di Greccio dove,
ottocento anni fa, San Francesco allestì il primo presepe: nel 2021
il comune si solleva tirando in ballo proprio l’ottavo centenario
del presepe di San Francesco.
È
nata una guerra tra campanili senza esclusione di colpi, una faida:
“Oddio, non pensavo, sicuramente non è la parola che
assocerei di più al presepe” commenta di fronte a Mottola il
sindaco di Greccio Emiliano Fabi, che è anche presidente del
comitato Greccio 2023 “soprattutto al presepe di pace che è il
presepe di Francesco”.
Anche questi litigi per un presepe di
pace non sono così adatti.
“Io penso che a non farci una
bella figura è chi ritiene un presepe un bene, diciamo, di proprietà
di qualcuno.”
Dopo
mesi di scontri il sindaco di Contigliano ha cercato un accordo con
Greccio, proponendo di fare un presepe comune, ma quest’ultimo ha
rifiutato: “il comitato mesi prima aveva deciso che la proposta
della Diocesi di accettare il presepe del comitato.”
Il
comitato per Greccio ha preso un finanziamento da quasi 3 ml di euro,
dalla manovra del 2021.
Il
vescovo di Rieti si è inserito in questa storia: ha contattato il
Vaticano per chiedere la revoca di Contigliano, sposando la causa di
Greccio.
Alla
richiesta del vescovo di Rieti di revocare la nomina di Contigliano
il governatorato oppone inizialmente un diniego, ma monsignor Pompili
non si dà per vinto e per mesi continua a far pressioni sui
cardinali in Vaticano comportandosi come se spettasse a lui
organizzare il presepe per il 2023.
Il
presepe di Francesco è un presepe di pace: perché è scoppiata una
piccola guerra tra comuni: “Quale
sarebbe il problema … il comune di Contigliano ha preso questa
iniziativa in solitaria, per quello che io ne so.. Le polemiche
nascono da una situazione di chi ha voluto, non si capisce per quale
ragione, intestardirsi a fare una proposta che secondo me non era
nella logica delle cose.. ”
Ma
ha accettato la segreteria di stato.
“Io
penso che si sarebbe potuto gestire diversamente, se non ci fosse
stato qualcuno che si fosse messo in testa di fare cose che [non gli
spettavano - sembra dire il vescovo].”
Monsignor
Pompili inizialmente aveva espresso felicità per la scelta di
Contigliano, si era anche sentito col sindaco nel 2019.
Ma
Pompili oggi sembra aver cambiato idea e non ricordarsi più di quei
contatti: il sindaco di Contigliano aveva scelto Artese, maestro
presepista che nel 2018 per la diocesi di Rieti aveva fatto dei
lavori dedicati a San Francesco.
Questi presepi esposti dalla
diocesi erano stati realizzati grazie a contributi pubblici, anche
della regione: per il presepe di piazza San Pietro c’erano in ballo
altri soldi.
Il
vescovo di Rieti chiede di riconoscere al maestro Artese, tramite il
comitato Greccio, un compenso di 175mila euro per un presepe che
dovrebbe realizzare proprio in piazza San Pietro.
Ma il maestro
non ne sapeva nulla: Mottola riceve una telefonata da una funzionaria
della Diocesi che gli spiega che quel progetto del vescovo Pompili
sarebbe top secret. Un segreto che tutti sapevano, forse solo Artese
non lo sapeva.
La scelta di Artese è avvenuta senza una gara,
senza fare altre scelte: c’era un bozzetto che il comune di Greccio
e il comitato (forse) hanno valutato.
Nel novembre scorso
Pompili ha comunicato di aver ricevuto dal governatorato incarico di
dover allestire il presepe di San Pietro, che sarà il presepe di
Greccio.
Tutto
finito?
No perché dopo il comunicato sono sorte frizioni tra
diocesi e comitato per Greccio (che
ha le mani sulla cassaforte per la rappresentazione del presepe):
problemi nel comitato, dice Pompili, che ammette che per il presepe
potrebbero ora
arrivare
anche soldi pubblici, non solo finanziamenti degli sponsor.
Il
presepe della pace è così diventato il presepe delle frizioni,
delle invidie.
Chi realizzerà il presepe del 2023 in Vaticano?
POLLESINA – Che polli di Giulia Innocenzi
L’Italia è uno dei paesi più colpiti dall’aviaria, il virus H5N1, siamo il secondo paese per presenta di contagi negli allevamenti: la preoccupazione degli scienziati è che i polli entrino in contatto col virus trasformando gli allevamenti come enormi incubatoi.
Il
virus dell’aviaria è il più pericoloso tra quelli presenti al
mondo, se continueremo ad allevare 26 miliardi di polli nel mondo
rischiamo di scatenare una nuova pandemia – racconta a Report David
Quammen - “noi che viviamo nei Paesi più ricchi
mangiamo più carne del necessario e questa carne è prodotta in mega
allevamenti intensivi. E se continueremo ad allevare 26 miliardi di
polli su questo pianeta finiremo nei guai”.
Nei
nostri allevamenti cresciamo polli più di quanti ne servano, perché
dei polli noi mangiamo solo poche parti, petto e cosce, che devono
crescere in fretta e di molto.
È il mercato che lo impone, la
grande distribuzione, un processo che non è sostenibile, nonostante
molti marchi si fregino del titolo di biologico.
Come per
esempio fa Filemi che nella pubblicità racconta che i loro polli
razzolano all’aperto.
Giulia Innocenzi ha parlato con gli
operai della Filemi che, ad esempio devono occuparsi dei polli morti
negli allevamenti e che devono essere rimossi in fretta per evitare
problemi di cannibalismo. Ma dalle immagini di Report, che la
giornalista ha mostrato anche ad un consulente della polizia
giudiziaria, si vedono operatori che uccidono i polli, polli morti e
lasciati accanto agli altri.
Ma nell’allevamento di Monte
Roberto non si vedono veterinari, solo operai che maltrattano i polli
con la torsione del collo e poi lasciati agonizzanti.
Sono
comportamenti punibili dalle nostre leggi – raccontano dalla LAV:
in una sola giornata un operatore è stato ripreso mentre uccide 34
polli, poi ritirati la mattina successiva.
Vengono uccisi i polli che non sono cresciuti abbastanza – raccontano le telecamere: questo si rende necessario per rendere più semplici le operazioni al mattatoio (di Filemi), dove i polli devono arrivare all’altezza giusta della macchina che li decapita.
Filemi
multa le società che creano problemi al macello, ovvero fa sì da
incentivare l’abbattimento dei polli non a norma.
L’autorità
competente, il direttore della funzione veterinaria delle Marche, ha
risposto a Report che gli abbattimenti dei polli non sono di routine,
si possono uccidere i polli solo di fronte a soluzione di emergenza e
solo con l’assistenza di veterinari.
Ma
le immagini dicono altro: Filemi è a conoscenza delle pratiche di
torsione del collo? L’azienda ha risposto che non hanno il tempo
per fare una verifica, che non possono controllare gli operai degli
allevamenti che li riforniscono.
Ma
allora come si fa a fregiarsi del titolo Bio? I polli dovrebbero
stare per un terzo della loro vita all’aperto, ma nel corso degli
anni la maglia del Bio si è allargata, per consentire l’ingresso
dei grandi marchi. E allora via agli allevamenti delle marche ibride,
via ai mangimi ogm.
Una volta si allevava un pollo in sei mesi,
oggi in 34 giorni: a questo si è arrivato selezionando i polli che
devono avere un petto enorme, tanto da non poter stare in
piedi.
Report ha registrato le immagini di un allevamento Bio:
sono presenti polli di tipo Broiler, quelli che crescono in
fretta.
Lo scorso anno Filemi ha preso il riconoscimento B Corp:
la vicepresidente Roberta Filemi all’Expo di Dubai si diceva
orgogliosa di valorizzare il territorio.
Nel più grande
stabilimento Bio di Filemi i polli stanno fuori per un terzo della
loro vita?
Gli operai non consentono le riprese, non rispondono
alle domande. I polli non razzolano all’aperto, le immagini
riprese dalla LAV dimostrano che i polli non escono mai (forse solo
quando arriva qualche giornalista che fa troppe domande).
Un ex
operaio che aveva lavorato nello stabilimento di Monte Cappone ha
spiegato a Report che i polli non vengono fatti uscire perché si
incastrano nelle porte automatizzate: servirebbero porte manuali e
più operai, ma per tagliare i costi degli operai si preferisce
tenere al chiuso i polli.
Giulia
Innocenzi è andata a controllare la situazione nell’allevamento
biologico di Filemi a Borghi nell’entroterra romagnolo. Sono vecchi
allevamenti intensivi riconvertiti a Bio al piano terra: un’operaia
della struttura racconta che quando sono piccoli non escono ancora
all’aperto, devono passare almeno dieci giorni. Sembra – racconta
la giornalista – che gli operai siano stati allertati da qualcuno,
per dare le risposte giuste ai giornalisti. In un altro capannone,
sbirciando dalla finestra, si vedono però dei polli adulti che, in
ogni caso, sembra che non stiano razzolando liberi. Come mai? “Non
ti posso dare nessuna risposta..”
Non sembrano proprio allevamenti Bio – racconta Cecilia Mugnai: i famosi parchetti dove gli animali razzolano pare che esistano solo nella pubblicità.
I
polli vivrebbero in ambienti chiusi, senza una luce naturale, senza
il buio la notte (perché devono crescere in fretta). Anche sui
mangimi che prendono gli animali sembrerebbe che l’azienda non
racconti il vero: Filemi
si vanta pubblicamente di usare mangimi senza OGM, del fatto che la
loro carne sia senza OGM, ma la giornalista ha letto sui silos usati
nell’allevamento dei riproduttori in provincia di Bologna, ad
ottobre, l’etichette che dichiarano esattamente l’opposto: “viene
usato la soia e il granturco geneticamente modificato”.
C’è
una anomalia anche sulla certificazione, per una discrepanza tra
l’ente certificatore del Bio con quanto risulta ad Arpam:
ci sono allevamenti certificati Bio nel 2021 che ancora oggi sono
sotto costruzione. Come hanno fatto ad ottenere la certificazione?
Come fanno ad essere Bio i loro polli già adesso?
E come si fa
dichiarare che i polli Rusticanello siano allevati all’aperto,
quando la stessa Filemi dichiara che sono allevati all’interno? Gli
enti certificatori cosa controllano? Non l’etichetta dei prodotti e
nemmeno la composizione dei mangimi.
Filemi alleva 50 milioni di polli ma non ha mai dichiarato quanti siano Bio: alla domanda di Report ha risposto che sono Bio solo l’11% dei loro polli. E dunque gli altri, l’89%, arrivano da quelli intensivi.
Qual è l’impatto dell’allevamento intensivo sul territorio?
Non
è facile
far rispettare le regole del biologico alle grandi aziende: alla fine
si è scelto di derogare alle leggi del 1999. Ma è importante
che per il rispetto del territorio le regole vengano
rispettate.
L’impianto di San Lorenzo (nelle Marche) è stato
stoppato per le proteste dei cittadini, supportate dalla regione.
Ma
altri stabilimenti sono sorti nelle Marche, come a Cingoli: il nuovo
presidente Acquaroli racconta oggi che, se le leggi e le norme sono
rispettate, perché dire di no?
Perché si deve tutelare il
paesaggio ma non si può bloccare lo sviluppo. Ma a che prezzo?
Succede che ci siano zone di Biodiversità come quella di Ripa Bianca, messe a rischio dal fatto che attorno si costruiscono allevamenti e si coltivano i campi.
Succede
che i cittadini presentano denunce contro gli allevamenti per la
puzza che non fa dormire: mandano denunce a carabinieri, regione,
comune.
Le
rivelazioni fatte dalla centraline dell’Arpa dimostrano che la
presenza dell’ammoniaca nell’aria fosse molto elevata: Filemi ha
risposto che non esistono vincoli e limiti di legge per l’ammoniaca,
ma questo non significa che non sia pericoloso.
L’ammoniaca
può trasformarsi in particolato e questo può causare malattie,
oltre ai disturbi e al fastidio.
Accanto alla zona di Ripa
Bianca, c’è lo stabilimento di Filemi con le finestre aperte, dove
gli odori dall’interno non vengono filtrati verso l’esterno.
A
Monte
Roberto c’è uno stabilimento che dovrebbe essere chiuso (costruito
su una zona protetta), come stabilito da delibera del Consiglio di
Stato: ma le luci dello stabilimento sono accese la notte, le
macchine degli operai
sono presenti, i mangimi continuano ad arrivare.
Dunque Filemi
non ha chiuso l’impianto,
nonostante la sentenza, perché altrimenti poi la grande
distribuzione si sarebbe dovuta rivolgere alla concorrenza, nel
periodo più redditizio di Natale.
Come
mai, nonostante il fabbisogno nazionale sia ampiamente soddisfatto,
si continuano ad autorizzare nuovi allevamenti intensivi, un modello
di allevamento che non è sostenibile, che rovina il territorio, che
porta a rischi di pandemia?
Perché continuiamo a considerare il
mondo come una fonte inesauribile di ricchezze da depredare? Non
esistono altri pianeti oltre questo.
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