Avevo deciso di chiamarlo Banksy. Esattamente come l’esponente della street art più famoso e misterioso del mondo. Era un artista che mi aveva sempre incuriosito. Un tizio che faceva comparire da un giorno all’altro affreschi satirici negli angoli più impensabili delle città.
Michele Astengo è un investigatore privato a Genova: un passato da poliziotto, professione che ha abbandonato non in modo proprio cordiale ma che gli ha lasciato qualche buona fonte in Questura; una relazione con la segretaria Dalia, "eminenza grigia" delle sue attività lavorative ed extra (come i corsi di tango) e, da poco, padrone anche di un cane, un Terrier chiamato Banksy.
Un fidato, più o meno, collaboratore, Corrado, con una grande passione per la foccaccia. E una seconda collaboratrice a cui ricorre solo nei casi più rognosi, Irene, chiamata la Salamandra perché come l'animale, non fa nulla per passare inosservata e mostrare il suo facino, ma, come la Salamandra, è "imperturbabile e tossica allo stesso tempo".
Oltre ai casi che gli arrivano (e magari col debuto del sito internet ne arriveranno di nuovi), Astengo ha un suo caso personale: scoprire come faccia quel cinese che lavora nel palazzo di fronte possa lavorare 24 ore al giorno, davanti al monitor del suo pc, senza fermasi ma: la sua "sindrome Cinese", come il film degli anni settanta che raccontava di un incidente in una centrale nucleare col rischio che questa potesse sciogliere la crosta terrestre e arrivare dall'altra parte del mondo..
Non sappiamo che un incidente qui da noi possa arrivare fino in Cina, ma succede che nell'ufficio nel palazzo dei Rolli Doria Danovaro si presenta un cinese in carne e ossa, anzi un ragazzino dai tratti orientali:
Un ragazzino. Ce lo trovammo nel bel mezzo dell’ufficio. Era balzato come un felino entrando dalla finestra..
Non è l'unico evento ai limiti dell'incredibile che capita quella mattina: due signori dall'aria minacciosa, cinesi anche loro, bussano nel suo ufficio chiedendo se ha per caso visto passare un bambino: inconsciamente l'investigatore Astengo dice che no, non ha visto proprio nessuno, non si fida di quelle due persona a cui associa (è un suo vizio) i soprannomi di coda di cavallo e orecchio mozzato.
"Inconsciamente o meno, sapevo che stavo per ficcarmi nell’ennesimo ginepraio": accade tutto nell'arco di poco tempo, un bambino un fuga che nemmeno parla la loro lingua e con cui è difficile farsi comprendere, due brutte facce che bussano e che chiedono proprio di questo ragazzino. E infine il suono delle volanti della polizia che arrivano da fuori dalla finestra: gli agenti si dirigono proprio nell'edificio di fronto, quello di Cafè Chan, l'uomo della sindrome cinese.
Nonostante l'avvertimento dell'inconscio, col cane al guinzaglio, il nostro investigatore si reca nel palazzo dove è entrata la polizia, per ficcare il naso. Chi mai si mette a notare un signore di mezza età a passeggio col cane?
Nell'altro palazzo però è successo qualcosa: la sua sindrome cinese è in realtà tre persone distinte che si somigliano (in fondo per noi occidentali tutte per persone contratti orientali si somigliano), sono tre impiegati che lavorano per una compagnia di navigazione cinese di nome Wang che si occupa di logistica, ovvero dei traddici dei milioni di container dalla Cina verso l'Europa, lungo quella via della Seta che passa anche per i porti di Genova e Vado Ligure.
Agatha Christie, una che se ne intendeva, diceva: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”. Uno: un ragazzino cinese piombato dal nulla nel mio ufficio.
Poi due signori dai
tratti cinesi con evidenti brutte intenzioni che bussano alla porta
e, infine, un morto nel palazzo di fronte, lo stesso da cui è
scappato quel bambino.
Ce ne sarebbe abbastanza per lasciar
perdere, consegnare il bambino alle forze dell’ordine, lasciar
stare quel morto, far finta di niente. Ma Michele Astengono decide
di lanciarsi dentro questa indagine, dove non c’è niente da
guadagnare, nessun cliente che pagherà le spese anzi, c’è il
serio rischio di farsi male.
Perché se la “sindrome cinese”
è una ipotesi che si spera non dover sperimentare in realtà, la
storia dentro cui vanno ad invischiarsi, Astengo e la sua “squadra”,
punta dentro gli affari di questa azienda di navigazione che ha un
volto pulito, come quello del manager che nel suo ufficio snocciola
all’investigatore i numeri del business, di hub da aprire, di
porti e di infrastrutture da realizzare grazie ai prestiti del
governo cinese, per quella sua opera di penetrazione dentro le
economie occidentali usando il suo soft power con l’arma dei soldi.
Ma c’è anche un volto più nascosto, dove le slides, i modi cortesi (ma spicci) lasciano il posto a qualcosa dal sapore criminale. Di consorterie criminali che usano questa rete commerciale per traffici poco puliti, consorterie che si muovono su base familiare, come la ndrangheta nostrana,
Le consorterie criminali cinesi in Italia replicano il modello di riferimento proprio della ’Ndrangheta. Si costituiscono su base familiare. In base al guanxi, [..] Il guanxi è come una rete che assicura benefici e servizi.
Ma forse questa storia, che vede coinvolto un ragazzino, un uomo d’affari e un misterioso “uomo nero”, ha dietro qualcosa di diverso dal traffico di merce contraffatta o di rifiuti. Cosa ci faceva quel ragazzino in quell’ufficio? E cosa c’entra quel circo dentro cui lavorava?
Per fortuna Astengo ha dalla sua parte l’ex collega ispettore Bazzano, che lo aiuterà anche a rischio della vita e forse della sua carriera, perché dall’altro stanno arrivando tante pressioni per archiviare quell’omicidio tra cinesi e chiudere qualche occhio su quella potente compagnia di spedizioni.
Che genere di investigatore è questo Michele Astengo? È un uomo che abbandonato la polizia dopo aver compreso l’impossibilità di fare giustizia, per delle leggi che incarcerano le vittime e scarcerano i colpevoli. Amante dei travestimenti, non quel genere di investigatori tutta azione e cazzotti. Una persona che non ama le pistole e che usa il suo sarcasmo per studiare le persone che si trova davanti per lavoro:
Chi adopera il sarcasmo come me, invece, vuole sondare il terreno. Cercare di capire fino a che punto ci si può spingere per definire un perimetro di sicurezza entro cui colpire, senza che le vere intenzioni vengano scoperte.
Cosa
mi è piaciuto di questo giallo? L’aver affrontato un argomento
attuale come il soft power cinese dove è difficile distinguere
interessi economici ed interessi di partito.
Mi è piaciuto
come è stato costruito il personaggio, abbastanza autoironico e
lontano mille miglia dallo stereotipo dell’investigatore tutto
azione e cinismo.
Ho trovato un po’ leggero il racconto, i protagonisti avrebbero avuto bisogno di qualche sfaccettatura in più e il racconto a volte scivola sui sentieri della prevedibilità.
La scheda del libro sul sito di Frilli
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