Il primo contatto fra il commissario Maigret e il morto, con il quale avrebbe poi vissuto per settimane in una sconcertante intimità, avvenne il 27 giugno 1930 in circostanze banali, penose e indimenticabili al tempo stesso. Indimenticabili soprattutto perché da una settimana la Polizia giudiziaria non faceva che ricevere dispacci con cui si annunciava che il 27 sarebbe arrivato a Parigi il re di Spagna e si ricordavano le misure da adottare in casi del genere. Per l’appunto, il capo della Polizia giudiziaria era a Praga, dove partecipava a un congresso di polizia scientifica, e il vicecapo era dovuto andare nella sua villa sulla costa della Normandia perché uno dei figli era ammalato. Maigret era il commissario più anziano e doveva perciò occuparsi di tutto, con un caldo soffocante e l’organico ridotto ai minimi termini a causa delle ferie.
Il defunto signor Gallet è il terzo giallo scritto da Georges Simenon nel 1931 con protagonista il commissario Maigret : in una torrida estate parigina, mentre i suoi colleghi sono occupati da una visita istituzionale come scritto nell’incipit, Maigret si trova da solo a doversi occupare di un delitto avvenuto in una stanza dell’Hotel de Loire, a Sancerre. Il morto, Emile Gallet, era un rappresentante di una ditta che vende monili in argento ed è stato ucciso da un colpo di pistola (e da una coltellata) nella sua stanza: Maigret si vede costretto, con una certa malavoglia, a doversi precipitare presso la villa del defunto a Saint-Fargeau, costruita su un terreno lottizzato, dove incontra la vedova, la signora Gallet:
Era una signora sulla cinquantina, decisamente sgradevole. Nonostante l’ora, il caldo, l’isolamento della villa, si era già agghindata di seta viola pallido, e non aveva un solo capello fuori posto.
Le
prima sensazioni di Maigret in questo caso sono di disagio, non solo
per il caldo e per il doversi spostare a piedi da un luogo all’altro.
Disagio per l’atteggiamento delle persone che incontra, disagio
perché non riesce a costruirsi in testa l’immagine del morto: un
uomo che vestiva con la finanziera, un vestito quasi fuori moda, un
uomo che era a dieta, come racconta la moglie. A completare
l’immagine una barbetta rada e una bocca sottile. Ma sono immagini,
sensazioni, che Maigret non riesce a fissarsi in mente, nonostante i
due incontri col morto, il primo con quella sua foto sopra il
pianoforte, il secondo sul tavolo dell’autopsia.
Anche
l’incontro col figlio del morto, che lavora in banca a Parigi e
torna a casa dai genitori solo una volta a settimana, lascia in
Maigret una sgradevole impressione, di fredda lucidità se non quasi
di astio
Sul suo viso ossuto, con i tratti molto marcati, dallo sguardo scialbo e vagamente equino, non un fremito traspariva.
Chi era Emile Maigret? Che cosa faceva quando era in famiglia? Il commissario ha bisogno di mettere a fuoco l’immagine del morto, che gli appare inafferrabile, di respirare la sua stessa aria, la sua stessa atmosfera: è il metodo Maigret, il suo modo di portare avanti le indagini, uno stile che quasi gli costa uno sgarbato rimprovero del morto.
«Lei sta indagando sull’assassinio o sulla vittima?» chiese il giovane, articolando lentamente le parole.
«Saprò chi è l’assassino quando conoscerò bene la vittima..»
Emile era poco amato dalla famiglia di lei, che non apprezzava la sua assenza di ambizioni, l’essersi accontentato di rimanere un anonimo rappresentante di commercio. Eppure, appena Maigret inizia a scalfire la superficie della sua vita, ecco che spuntano dei particolari strani: il signor Gallet quando era in viaggio, si faceva chiamare Clement, come ad esempio era conosciuto a Sancerre. Non solo, nonostante la moglie ricevesse da anni le cartoline del marito, non era più dipendente della ditta Niel da diciotto anni.
Ogni caso criminale ha una sua caratteristica, che si coglie più o meno rapidamente e che spesso fornisce la chiave del mistero. E la caratteristica di quel caso non era forse la mediocrità? Mediocrità a Saint-Fargeau: mediocre la villa, e meschino l’ambiente, con il ritratto del ragazzino vestito da prima comunione alla parete e quello del padre con la finanziera troppo stretta sul pianoforte! E ancora mediocrità a Sancerre: villeggiatura a buon mercato, albergo di second’ordine! Ogni particolare contribuiva ad accentuare quel grigiore.
Maigret
deve portare avanti questa indagine in prima persona, spostandosi
continuamente, senza sosta, anche inforcando la bici, dall’hotel dove è morto Gallet, alla
casa della vedova, a Parigi dove lavora il figlio e dove abita con la
sua amante. Deve immergersi nella vita di provincia del morto e
soprattutto nel suo passato. Un caso rognoso, perché non è stato
un semplice furto e nemmeno un “banale” omicidio in una stanza
chiusa. Perché nessuno dei possibili sospettati ha un alibi che lo
scagiona, lo mette a distanza da quella stanza dove tutto è
avvenuto.
Deve affidarsi alla scienza, dunque: in questo romanzo
compare un giovane Moers, del gabinetto della scientifica, che lo
aiuterà a mettere assieme i pezzi di questo puzzle in cui il
commissario si mette a ricostruire tutta la scena del crimine,
arrivando perfino a ricostruire un manichino con le sembianze del
morto, quel colpo di pistola sparato a distanza e quella coltellata
al cuore.
Come mai Gallet dopo il primo colpo non è scappato,
come mai non ha gridato, come mai nessuno ha sentito niente?
Da
una parte il metodo scientifico, la ragione, dall’altra le
impressioni che pure in Maigret hanno un peso nell’arrivare
all’assassino, come pure la sua capacità di analisi psicologica
dei personaggi che man mano incontra.
«Da troppo tempo sentivo che in questa storia c’era qualcosa che suonava di falso.. Non cerchi di capire! … Quando tutti gli indizi concreti concorrono ad imbrogliare le cose invece che a semplificarle, vuol dire che non funzionano..
«E in questo caso non c’era assolutamente niente che funzionasse… Tutto suonava falso … Lo sparo e la coltellata… La camera sul cortile e il muro… L’ecchimosi al polso sinistro e la chiave perduta.
«E anche i tre possibili colpevoli!
«Ma soprattutto Gallet, che suonava falso sia da vivo che da morto!
La rivelazione dell’enigma, della verità, del perché di quel delitto, sarà la più grande soddisfazione di Maigret, tanto che si prenderà la scena nelle pagine finali con la ricostruzione del delitto: come emergerà in tutti gli altri gialli della serie, al commissario quasi non importa assicurare l’assassino alla giustizia, arrivando anche a sostituirsi alla giustizia.
La scheda sul sito di Adelphi
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