Report lo scorso 23 maggio aveva parlato della presenza della destra eversiva dietro le stragi del 1992-93 e stasera si aggiungeranno altri dettagli.
Poi una inchiesta in Veneto sui tamponi veloci con delle intercettazioni imbarazzanti sul governatore Zaia.
LA GRANDE TRUFFA di Danilo Procaccianti
Il
dottore Rigoli era considerato l’Elon Musk da parte del presidente
Zaia: oggi è sotto inchiesta dalla procura di Padova che ne ha
chiesto il rinvio a giudizio perché avrebbe giurato il falso sulla
valutazione dei tamponi rapidi adottati dalla regione Veneto nel
2020.
Erano kit certificati CE, risponde oggi a Report, “quindi
non dovevo validare la specificità”.
Ma
chi ha valutato i tamponi rapidi, dunque? Report lo scorso anno si
era già occupata della sanità in Veneto e dei morti per Covid per
la seconda ondata: l’attenzione si era accesa sui tamponi rapidi
scelti dalla regione Veneto, dovevano essere usati sia negli ospedali
che nelle RSA. Il servizio era stato seguito con attenzione dalla
procura di Padova: nell’inchiesta sono emerse intercettazioni su
Zaia, che in ogni caso non è indagato.
Il Veneto assieme ad
altre sei regioni era capofila per l’acquisto dei tamponi rapidi,
per 128 ml: il manager Flor della sanità veneta dice che le altre
regioni comunque hanno fatto una validazione scientifica, ma non è
vero, le altre regioni sono andate a rimorchio del professor Rigoli
che aveva affermato di averli testati, come dice anche in una delle
tante conferenze stampa col presidente.
Nell’agosto
2020 la regione Veneto riporta un documento dove si dice che i test
rapidi erano certificati dallo Spallanzani, ma si riferiva ad altri
test, non per quelli usati in Veneto.
“I prodotti sono idonei
per una attività di screening” scrive Rigoli all’azienda 0 del
Veneto che si occupa degli acquisti: questi sarebbero arrivati
direttamente alla regione dalle mani del dottor Rigoli. Secondo la
procura i test non sono stati proprio testati, dal professore, che si
difende dicendo di averne testati alcuni: in un primo interrogatorio
con gli investigatori aveva detto che nessun test era stato fatto,
poi ha ritrattato, affermando che ad agosto aveva fatto dei test,
sebbene a giugno 2021 i test dalla Abbott non erano arrivati.
La
regione avrebbe provveduto ad un affidamento diretto per 2ml di euro
per i test della Abbott: la direttrice dell’Azienda 0 preferisce
non rispondere alle domande di Report, risponderà nelle sedi
opportune.
I test rapidi hanno una validità del 70%: il Veneto ha puntato su di loro al punto che nel piano di sanità pubblica dell’ottobre 2020 li ha indicati come test di riferimento anche per gli operatori sanitari e per chi doveva accedere nelle RSA, contravvenendo alle indicazioni dell’OMS.
Crisanti aveva avvisato la regione che tre su dieci, di questi test non funzionavano: avevano delle maglie così larghe e fanno entrare in contatto persone vulnerabili con persone positive.
Sapeva Rigoli della cattiva efficacia di questi test? Io non li avevo provati, erano certificati CE, continua a ripetere oggi. Ma dovrebbe spiegare anche ai veneti ciò che ha scelto.
La seconda ondata del covid nelle RSA in Veneto è stata un disastro, secondo Crisanti per l’uso di questi tamponi rapidi, con il 13% di deceduti di tutta l’Italia e la mortalità più altra tra tutte le grandi regioni, 1600 morti in più rispetto alla media nazionale.
Report ha sentito anche Nino Cartabellotta del Gimbe: “un tasso grezzo del genere, 159 morti per 100000 abitanti rispetto a quello nazionale che è di 105, fa accendere una spia rossa e bisogna porsi la domanda ‘perché in quel periodo in Veneto c’è stata una mortalità così elevata?’”.
oggi le procure
venete stanno cercando di capire se esista una correlazione tra
questi tamponi rapidi e l’eccesso di mortalità, in special modo in
alcuni contesti con grande granularità di dati come le RSA. Oggi la
regione è sommersa dagli esposti dei parenti delle migliaia di
anziani morti nelle RSA venete.
Marco Bonaldi è uno di questi,
oggi si chiede: “i tamponi funzionavano o non funzionavano,
perché si sono adeguati a questi anziché fare i tamponi molecolari
[come nella prima ondata]. Avremmo risparmiato un po’ di
vecchietti”.
Il dottor Crisanti aveva espresso parere negativo contro questi tamponi: “l’uso dei tamponi rapidi come strumento di screening, in una situazione dove avevano un basso valore predittivo, sicuramente ha contribuito alla diffusione del virus in ambienti protetti, tipo per esempio le RSA. Sicuramente la diffusione e la mortalità sono due parametri uno in relazione all’altro, più aumenta la diffusione più aumenta la mortalità”.
Sono stati comprati centinaia di migliaia di test rapidi su un test, almeno secondo l’accusa della Procura, fatto dal successore di Crisanti, il dottor Rigoli, fasullo.
“Se questo fosse vero sarebbe di una gravità senza precedenti, perché significherebbe che la regione ha ignorato uno studio su 1500 casi e allo stesso tempo ha preso per buono quello che effettivamente non era uno studio [..] siamo di fronte ad una situazione di una gravità etica senza precedenti.”
Se il parere è falso lo devono stabilire i magistrati: quello che è certo è che il Veneto ha usato il doppio dei tamponi rapidi, un dipendente dell’Abbott racconta di aver portato direttamente ad agosto i tamponi, dopo che Rigoli ne aveva certificato la bontà con la regione Veneto. Dopo il Veneto si erano aggregate altre regioni. Oggi hanno qualcosa da dire i protagonisti della vicenda?
Crisanti
aveva redatto uno studio dove mettera nero su bianco che la loro
efficacia era al 70%, non al 90%, ne sconsigliava l’uso nelle
RSA.
Nella seconda ondata il Veneto si è preoccupato di
attaccare il dissenso dei medici contro le scelte della regione: i
medici dovevano comportarsi come soldatini. Zaia aveva querelato un
esponente politico del gruppo “Il Veneto che vogliamo”, usando i
soldi pubblici. Alla fine la querela è finita in archiviazione,
anche contro Crisanti.
Crisanti era stato attaccato dopo
il suo studio sui tamponi rapidi che contrastava la politica
regionale sui tamponi: lo studio esiste ed era stato pubblicato su
una
rivista
scientifica.
Meglio
dire che lo studio non c’è altrimenti l’azienda ci fa causa –
dice il manager della sanità Flor a Report.
Esiste poi una
intercettazione in cui Zaia parla preoccupato dell’inchiesta
ma anche dall’esposto
presentato
da Zaia contro
lo scienziato Crisanti. Questo
esposto
aveva
suscitato anche la reazione del senato accademico dell’università
di Padova: “è un anno che prendiamo la mira a questo .. stiamo per
portarlo allo schianto … [Crisanti] sta passando per il salvatore
della patria e io sto passando per il mona ...” sono le parole al
telefono del presidente Zaia riferito a Crisanti e ai problemi che
gli stava causando, anche
dopo la lettera degli accademici.
Oggi Crisanti per non creare
problemi si è dimesso dall’università di Padova.
Se la certificazione del dottor Rigoli fosse falsa, dovremmo chiederci se è stata una scelta autonoma.
STATO D'ONORE – Facce da mostro di Paolo Mondani
Dietro le stragi del 1992-93 ci sarebbe una struttura politico, massonico, eversiva che avrebbe avuto lo scopo di portare al governo una formazione filo atlantica.
Perché insistiamo nel voler cercare la verità sulle stragi di mafia – racconta nel servizio Paolo Mondani? Perché come diceva un vecchio filosofo la storia si ripete sempre due volte, prima come tragedia, poi come farsa.
La farsa odierna – continua il giornalista – è la messa in scena dove onoriamo gli eroi con lacrime agli occhi e dichiariamo che i mafiosi cruenti sono stati sconfitti. Eppure c’è ancora chi nasconde le prove, depista e confonde, dietro i muri della procura di Palermo, dietro le carte qui custodite.
Roberto
Scarpinato racconta a Report di quanto il trentennale si sia svolta
in chiave di riduzione, di cancellazione della storia: da una parte i
buoni e dall’altra i cattivi, i cattivi non ci sono più, possiamo
ora smantellare la legislazione antimafia messa in piedi in quegli
anni. Questo stato non vuole trovare la verità sulle stragi del
1992-93 conclude Scarpinato.
Report aveva raccontato il maggio
scorso degli incontri tra Delle Chiaie e i boss mafiosi, dei viaggi a
Palermo, raccogliendo le dichiarazione di brigadiere, di un
confidente della mafia, Lo Cicero.
Si poteva arrestare il capo di cosa nostra prima degli eccidi, racconta oggi Lo Cicero che all’epoca aveva parlato già con Borsellino (che dunque sapeva del ruolo di Delle Chiaie).
Dopo
il servizio Paolo Mondani è stato pedinato e intercettato, come se i
criminali fossero i giornalisti di Report.
Dietro la strategia
stragista del 1992-93, pianificata nei primi anni 90 tra destra
eversiva, massoni c’è Delle Chiaie?
Report in questo servizio
ha sentito Armando Palmeri, braccio destro del boss di Alcamo ex
collaboratore di giustizia: prima della strage di Palermo due uomini
dei servizi avevano chiesto al clan e al boss Milazzo di organizzare
una strage, attentati per destabilizzare lo Stato.
I due uomini
dei servizi – racconta Palmeri - erano accompagnati dal dottor
Lauria, poi diventato senatore di FI negli anni novanta: Milazzo, il
capomafia aveva rifiutato e a Palmeri aveva detto che erano i servizi
deviati la vera mafia, loro erano i burattini.
Prima
della strage di Capaci Milazzo viene ucciso, pochi giorni dopo viene
uccisa la sua fidanzata che forse sapeva qualcosa dei suoi segreti:
Milazzo fu ucciso da Nino Gioè, un altro uomo d’onore particolare,
secondo una informativa dei carabinieri del 67 era una persona buona
per operazioni particolari, di natura riservata, lavori da servizi
deviati.
Gioè assieme a Brusca faceva parte del commando di
Capaci: oggi Palmeri dice che a premere il pulsante per la bomba non
è stato Brusca, che aveva in mano solo un giocattolo “è stata una
operazione militare.”
Il boss Di Carlo, cugino di Gioè, ha
affermato che era un uomo dei servizi, come anche Paolo Bellini, oggi
implicato anche nella strage di Bologna.
Gioè è morto suicida in carcere, prima di iniziare una collaborazione coi magistrati, uno strano suicidio di cui aveva parlato in una intercettazione anche l’ex magistrato Loris D’Ambrosio.
Gioè
aveva parlato anche di traffici di materiale radioattivo, per
alimentare il piano di destabilizzazione voluto dai servizi
segreti.
La Commissione Parlamentare antimafia ha approvato una
relazione dove si parla di un traffico di materiale fissile andato
avanti fino al 1993, con la Libia, che partiva da Alcamo.
Un
traffico per cui è stato condannato un agente della CIA, un traffico
di uranio in cui erano coinvolti mafiosi, agenti segreti: persone
dello stato parallelo, che usano la criminalità organizzata come
manovalanza.
Il commissario Peri. Della stazione di Alcamo,
aveva indagato su questi traffici come anche sull’incidente del DC8
a Montagna Longa nel 1972: 115 morti, per un incidente che dietro
potrebbe nascondere un episodio della strategia della tensione.
Il
commissario Peri stava indagando sui 115 morti dell’incidente di
Montagna Longa del 72, sui sequestri e sugli omicidi avvenuti a
Trapani (come
i due carabinieri uccisi ad Alcamo nel 77).
sui rapporti tra mafia, la destra eversiva e la massoneria: la sua
indagine finì male, il procuratore di Trapani ne screditò il
lavoro, la sua indagine fu archiviata dal giudice Cassata.
Peri
morì nel 1982 mentre il giudice Cassata era stato scoperto negli
archivi di Gelli.
Anni
dopo queste indagini furono riprese da Falcone che indagò sugli
omicidi politici sull’isola, mettendo assieme loggia P2 e
mafia.
Report
è poi passata alle stragi del 1992-93, soffermandosi sul ruolo di
Bellini, infiltrato del ROS dentro la mafia per scoprire un traffico
di opere d’arte. Ma poi alla fine quale fu il suo lavoro? Forse
quello di spostare la strategia mafiosa contro le opere d’arte,
come poi avvenuto con le bombe a Firenze e Roma?
Palmeri oggi ai
magistrati afferma di aver riconosciuto uno dei due uomini dei
servizi, ma non ha voluto aggiungere altro per l’inchiesta in
corso.
L’ex giudice Scarpinato si è poi soffermato
sull’incontro dei boss mafiosi nel 1991: si pianificavano le stragi
per destabilizzare il paese e preparare la discesa in campo di nuove
formazioni politiche che dovevano prendere il posto dei partiti della
prima repubblica.
In
quei mesi si registra l’attività di Delle Chiaie e di Domenico
Romeo: quest’ultimo accompagnò Delle Chiaie per la sua attività
politica in Sicilia, come conferma oggi a Report.
Alberto
Lo Cicero, autista del boss Troia, a pochi mesi della strage di
Capaci aveva raccontato ai carabinieri la presenza di personaggi di
spicco proprio a Capaci, perché doveva succedere qualcosa di
importante.
Lo Cicero vede a Capaci anche Delle Chiaie, sempre
nell’imminenza della strage: Maria Romeo è la ex compagna di Lo
Cicero e oggi a Report afferma che è stato Delle Chiaie
l’organizzatore delle stragi, assieme ad una parte dei boss
mafiosi.
Delle
Chiaie era l’aggancio tra la mafia e lo Stato – dice la Romeo:
era quello che portava in Sicilia la voce di Roma, come per esempio
l’ex deputato Lo Porto del movimento sociale.
Lo Porto oggi
ricorda il boss Troia, una persona generosa dice: sapeva che fosse
figlio di mafiosi, non sapeva che fosse lui stesso mafioso.
Degli
incontri tra Lo Porto e Troia parla Marta Granà: Troia incontrava
imprenditori, oltre all’onorevole Lo Porto.
Il 5 ottobre
1992 il comandante della sezione giudiziaria di Palermo Cavallo,
aveva redatto un documento in cui parlava di una fonte confidenziale
che rivelava come nell’aprile del 1992 Delle Chiaie era venuto a
Palermo, si era incontrato col boss Troia e aveva cercato l’esplosivo
per la strage: questo documento non era stato reso noto ai magistrati
– racconta oggi Scarpinato, che aggiunge che questo filone di
indagine non è stato seguito dai carabinieri.
L’informativa
dell’allora capitano Cavallo, si parlava di Delle Chiaie,
dell’eplosivo preso da una cava di un parente di Troia: questa era
stata inviata a diversi magistrati come Aliquò e Tinebra senza che
sia nata una indagine.
Da queste piste, di queste dichiarazioni
su Delle Chiaie non se ne è fatto nulla. Sparito, come le
registrazioni che la Romeo aveva consegnato ai carabinieri.
I
due Troia, il boss e il proprietario della cava, vennero poi
arrestati nel 1993 e nel 1998, ma non per la strage di Capaci.
Anche
l’onorevole Lo Porto è stato arrestato nel 1969, per aver sparato
in un poligono assieme all’esponente della destra estrema
Concutelli, l’assassino del giudice Occorsio.
Dopo
il fallimento del progetto politico delle Leghe, ispirato dal maestro
P2 che doveva balcanizzare la politica italiana, si cambiò
strategia.
IL pentito Sparacio racconta ai pm di Firenze del
lavoro di Delle Chiaie su questa strategia, indicando gli obiettivi
da colpire al boss Nino Mangano (che era stato incontrato a Roma). Ma
la procura di Firenze non aveva avvertito i pm di Palermo che non
erano a conoscenza di queste deposizioni.
Delle Chiaie aveva
dato indicazioni alla mafia su come muoversi, nel gennaio febbraio
del 1993: il leader di Avanguardia Nazionale era in contatto con la
mafia da anni, racconta oggi Sparacio che aveva la cultura per
indicare quali obiettivi culturali scegliere a casa dell’imprenditore
Michelangelo Alfano.
Anche l’attentato a Costanzo sarebbe nato
da Delle Chiaie, scelto perché in trasmissione aveva offeso i
mafiosi, poi un attentato contro De Gennario (nominato capo della DIA
nel 1992), che Bagarella e Mangano avevano già come obiettivo.
Il
quartier generale di Delle Chiaie, occupato dal 1991 è oggi tornato
un possesso del comune di Roma: anche dopo lo scioglimento negli anni
settanta la sua attività politica è andata avanti.
Ne
parla Massimo Pizza ex agente Sismi: alla procura di Palermo Pizza
aveva parlato delle leghe meridionali, espressione della mafia, di
incontri di inizio anni novanta tra famiglie di ndrangheta che si
erano incontrate coi mafiosi e coi politici (corrente andreottiana),
con esponenti della massoneria (del finto ordine di Malta),
dell’estrema destra (Delle Chiaie e Menicacci).
Delle Chiaie,
racconta Pizza, doveva occuparsi della parte militare di questa
destabilizzazione.
Dell’incontro del 1991 ne parla anche D’Andrea segretario della Lega Meridionale: Delle Chiaie aveva avuto input da uomini dello Stato (dal ministero dell’interno) per portare d’avanti questo progetto di destabilizzazione.
Il piano di destabilizzazione aveva ricevuto fondi da imprenditori e banchieri, si parla di 100 miliardi di lire, anche da imprenditori mafiosi: questi soldi sono parcheggiati sotto il controllo del vescovo di Monreale, tramite Lima vengono drenati verso lo Ior, parte dei soldi saranno usati da politici vicino ad Andreotti.
Un altro capitolo del servizio è stato la trattativa Stato mafia: Ciancimino fu avvicinato dal ROS per la trattativa e ne parlò con D’Andrea, èerché entrambi facevano parte della Lega Meridionale. Lo Stato temeva che Ciancimino e la mafia parlasse del suo lavoro fatto per lo Stato – racconta oggi Antonio D’Andrea. Lavoro sporco si intende.
Il
piano di destabilizzazione avrebbe avuto la benedizione di Cossiga e
Andreotti, oltre che di Gelli.
Solo nel 2021 lo Stato si è riappropriato del locale in Torre Spaccata di Delle Chiaie, morto nel 2018. Sono spariti i verbali su delle Chiaie a Palermo, così come per anni lo Stato si è dimenticato della pista nera sulle stragi di mafia.
Paolo
Mondani è
tornato anche sull’omicidio del maresciallo Lombardo:
il 4 marzo 1995 nella caserma Bonsignore dei carabinieri di Palermo
viene trovato senza vita in una Fiat Tipo bianca, una
Beretta calibro 9 nella mano destra, una lettera vicino a lui.
Ufficialmente suicidio, ma i figli dopo 27 anni dicono che fu un
omicidio.
Oltre alla morte del maresciallo, c’è anche la
vicenda della sua borsa, che quella sera aveva con se in automobile e
che poi non venne ritrovata (come l’agenda rossa di Borsellino, i
documenti di Dalla Chiesa ..): “credo
che quel giorno lui sicuramente avesse qualcosa di delicato e di
importante in quella borsa [anche perché in quei giorni era in
contatto con Totò Cangemi]. Tornava da un viaggio molto importante
..”
Lombardo
tra febbraio e marzo 95 trascorre l’ultima settimana a Milano
parlando con Cangemi: nel 1994 quest’ultimo aveva parlato alla
Boccassini dei soldi dati da Berlusconi alla mafia, dei
rapporti tra Dell’Utri con la mafia.
Lombardo
aveva trovato la verità sulla morte di Borsellino, racconta
oggi la figlia, ricordando una sua telefonata alla vedova del
giudice. Era un carabiniere che
raccoglieva informazioni dai mafiosi, anche i latitanti come
Provenzano, tanto
che la figlia oggi si chiede, come mai non l’hanno
arrestato?
Quello del maresciallo Lombardo è uno strano
suicidio per le perizie fatte sulla lettera trovata accanto al suo
corpo: era inquieto da settimane perché veniva accusato di essere
contiguo con la mafia, accuse dall’allora sindaco di Palermo
Leoluca Orlando.
Stava convincendo il boss Badalamenti a
parlare, cosa che poi non avvenne anche per il mancato sostegno da
parte dei superiori.
L’arma trovata accanto al corpo ha una
rigatura diversa da quella del bossolo che ha ucciso il
maresciallo.
Un ex carabiniere della caserma Bonsignore ricorda
quella sera del marzo 1995: fu allontanato dalla macchine del
maresciallo, che era circondata da altri ufficiali.
Non
è stata fatta l’autopsia sul cadavere, non era stata trovata una
goccia di sangue sui finestrini, sul tetto dell’auto: la scena del
suicidio sembra dipinta – racconta l’ex carabiniere.
Un
suicidio strano, come quello di Gioè, oggi
i familiari chiedono nuove indagini sulla sua morte.
La Procura della Repubblica di Firenze ha da tempo ripreso le indagini sulle stragi di mafia nel 1993, principali indagati Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri che in passato sono già stati archiviati dall’accusa di essere i mandanti esterni delle stragi dai tribunali di Caltanissetta e Firenze. Ma ci sono importanti novità emerse da una recente relazione della commissione parlamentare antimafia sulla bomba di Firenze a via dei Georgofili nella notte tra il 26- 27 maggio del 1993 dove morirono 5 persone tra cui una bambina di 9 anni e una di 50 giorni, principale estensore della relazione dell’antimafia è stato il procuratore Gianfranco Donadio (ex magistrato presso la DNA): “la commissione parte da un dato indiscusso, in via dei Georgofili furono collocati 250 kg di esplosivo, i mafiosi a Firenze disponevano all’incirca di 130-140kg di esplosivo, vi è una differenza di 100 kg, questi kg sono rappresentanti da esplosivo di natura militare, ad alto potenziale”.
Si
tratta della teoria della doppia bomba, già emersa per la strage di
Capaci (e anche per quella di Piazza Fontana, sebbene poi non si
siano mai trovate prove a supporto)”.
Qualcuno che non è
mafioso quindi aggiunge dell’esplosivo militare?
“Nelle
automobili dei mafiosi vi sono solo tracce di tritolo – risponde
il magistrato
– dobbiamo escludere che i mafiosi avessero altro, quindi altri
hanno aggiunto alle cariche portate dai mafiosi esplosivo ad alto
potenziale di tipo militare”.
La
procura di Firenze ha sentito il capomafia Graviano che aveva
raccontato di incontri con Berlusconi, smentiti da quest’ultimo. I
suoi racconti si sono interrotti nel 2021, quando il parlamento ha
cambiato la norma dell’ergastolo ostativo. Oggi questi boss che non
hanno collaborato con lo Stato potranno uscire dal carcere, tenendosi
i loro segreti.
È
una norma
che disincentiva la collaborazione con lo stato: il collaboratore per
essere amesso al
programma di collaborazione deve indicare tutti i beni non ancora
confiscati, il boss che non collabora non ha questo obbligo.
Oggi
la procura di Palermo deve indagare sulla struttura parallelo del
Sisde, che dentro aveva personaggi come faccia di mostro e Contrada,
racconta Marianna Castro compagna del poliziotto Giovanni Peluso: a
Paolo Mondani racconta che ad uccidere Falcone sono stati i servizi,
non i mafiosi.
Racconta anche del viaggio fatto da Peluso
assieme a “faccia da mostro” a Milano all’indomani della strage
al PAC, stessa storia successa con la bomba di Firenze.
Nei
commando delle stragi di Milano e Firenze erano presenti delle donne,
racconta oggi Donadio, questo escluderebbe la sola presenza dei
mafiosi, come si è detto per anni.
Il lavoro dell’ex
magistrato Donadio aveva concluso i suoi lavori nel 2013: i suoi
lavori erano spariti dentro la sede della procura nazionale
antimafia.
14 faldoni spariti che contenevano le piste più
promettenti sulla strage di Falcone: la pista nera, il ruolo di Delle
Chiaie e tutto quanto raccontato da Report nella scorsa
puntata.
Questa sparizione fu scoperta dal pm Di Matteo, che fu
incaricato di costruire un pool per indagare su queste
stragi.
Avanguardia Nazionale era l’anello di congiunzione tra
chi aveva organizzato le stragi italiane e la parte militare
dell’eversione degli anni settanta: questo è quanto emerge oggi
dopo le indagini su Bologna e Brescia.
Delle Chiaie aveva anche
organizzato una campagna di depistaggio per inquinare l’informazione
pubblica sulle stragi della strategia della tensione, con l’aiuto
di avvocati e giornalisti. Che poi è quello che è successo in
questi anni quando si parla di trattativa stato mafia o di Capaci.
La politica si chiude a riccio attorno al racconto dei buoni
contro i cattivi, che salva la faccia allo stato e anche ai mafiosi.
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