14 gennaio 2007

Venere privata di Giorgio Scerbanenco

Perché un ragazzo, di buona famiglia, sano e robusto, vuole uccidersi con l'alcool a 22 anni? Lo deve scoprire Duca Lamberti, medico, appena uscito dal carcere per una storia di eutanasia. Radiato dall'ordine.
E Duca Lamberti inizia la cura di disintossicazione, a suo modo, instaurando un rapporto via via più confidenziale col ragazzo, Davide Auseri.
E, in un veloce flash back, Davide racconta al medico la sua colpa: non aver saputo aiutare, non aver trovato il coraggio di aiutare una ragazza, conosciuta per caso una mattina a Milano. Ragazza che sarà poi trovata morta suicida.


Così Davide, per placare il rimorso, per una morte che crede di aver causato, inizia a bere whisky:
“.. continuava a pensare così e a poco a poco scoprì che bevendo una certa quantità di whisky qualunque, quella sensazione di contenere dentro di sé un assassino, come una bomboniera da sposa può contenere un confetto al cianuro, si affievoliva. Oltre una certa quantità di whisky scompariva del tutto.”

Ma la storia non è così semplice: il fiuto di sbirro di Lamberti (figlio di un poliziotto), lo porta a scoprire una brutta storia di prostituzione femminile e di ricatti. Alberta Radelli, questo il nome della ragazza, è stata uccisa.
Lo scoprire chi c'è dietro questo mercimonio del corpo diventa allora l'occasione per salvare entrambi: Davide dal suo senso di colpa e Duca per schiacciare queste persone, sfruttatori che vanno, secondo la sua personale morale, schiacciati “più ne schiacci e più ce ne sono. E va bene, tenerezza mia, ma forse bisogna schiacciarli lo stesso”.
Questo dice ad un'amica di Alberta, Livia Ussaro (un nome che dice tutto), che lo aiuterà nella sua indagine.

Giallo doc, questo di Scerbanenco, primo con protagonista Duca Lamberti. Ambientato nella Milano del boom (siamo nel 1967), una città solo topograficamente distante da quella di oggi. Ma ad essere protagonista non è la città in quanto tale, ma crudeltà nella quale i personaggi si muovono. Nessuna legge, nessun lieto fine, nessun eroe. Non si può essere felici quando si arriva a leggere il finale di questo libro, dove l'ex medico si deve far giustizia da sé, secondo la sua morale. Non è il bene che trionfa, o l'ordine che viene ricostituito: la caccia ai criminali rimane solo il riscatto dell'uomo dalle proprie colpe. Nasconde sempre un motivo personale.

E il medico protagonista di questo romanzo è anni luce distante dalla figura dell'eroe positivo quale può essere un medico:
“L'unico trasgressore alle regole del gioco che io posso rispettare è il bandito col trombone che si nasconde per le montagne: lui non sta alle regole del gioco, lui, anzi, dice chiaramente che non vuole giocare alla bella società e che le regole se le fa lui, col fucile. Ma i bari no, li odio e li disprezzo. Oggi ci sono i banditi con l'ufficio legale a latere, imbrogliano, rubano, ammazzano, ma hanno già studiato la linea di difesa con il loro avvocato nel caso fossero scoperti e processati e non vengono mai puniti abbastanza. Vogliono che gli altri stiano al gioco, alle regole, ma loro non ci vogliono stare. Questo non mi va, questa gente non la sopporto, quando me la trovo intorno o ne sento solo l'odore, mi vengono i nervi.”

Qui il crimine è il mercimonio del sesso, inteso come “qualunque cosa”. Se si può commerciare in carne umana, si può commerciare in qualunque cosa. Si può ridurre la realtà a qualunque cosa che si compra e che si vende.E per vincere i criminali, il protagonista deve essere ancora più cinico di loro, deve conoscere la realtà (la carne che si compra e vende) meglio di loro.
"Il mondo di Scerbanenco è un mondo completamente nero e immobile. I romanzi di Scerbanenco non conoscono nessuno svolgimento. L'unico svolgimento riguarda il lettore, cui Scerbanenco somministra la realtà dei fatti a piccole dosi, poco per volta. Ma la realtà, l'orribile nera realtà c'è da sempre, è sempre quella e continuerà ad essere quella dopo che il teatrino del bene avrà chiuso il sipario. A chi, cittadino di questo disperatissimo mondo, non abbia propensione al suicidio, non restano che due vie: o la completa distrazione o l'assuefazione. La vita è una droga, o la combatti con altre droghe o l'assumi fino in fondo." (Dalla prefazione di Luca Doninelli)

Il libro su internetbookshop.
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4 commenti:

Francesco Rotondi ha detto...

Scerbanenco è stato l'inventore del noir italiano.
E oltre ad amare i suoi romanzi sono un appassionato anche dei film tratti dai suoi romanzi di solito diretti da Fernando Di Leo ( I ragazzi del massacro, Milano calibro 9 con la splendida colonna sonora degli Osanna...)uno dei grandi registi del cinema "di genere" nostrano.
Sono contento che da qualche anno ci sia partita una grande ripresa del noir in Italia. Per quanto mi riguarda l'erede del grande Scerbanenco è al momento Massimo Carlotto.

alduccio ha detto...

Peccato che quei film li passino solo a notte tarda.
Avevo sentito parlare di un progetto di sceneggiare in film alcuni suoi racocnti, ma non se ne sa più nulla.

Francesco Rotondi ha detto...

comunque se ti interessano isi trivano facilmente sia in VHS che in DVD

Coluichenonsaleggere ha detto...

Trovo Scerbanenco semplicemente sublime (e contare che non so leggere e, anzi, lo trovo alle volte noioso).

Se si conta poi che praticamente ogni ambientazione (tranne quelle periferiche) tocca vie che sono nella mia zona (addirittura - come nel caso di I milanesi ammazzano il sabato - praticamente a 50 metri da dove mi trovo ora)...

Insomma, proprio una bella scoperta: Scerbanenco per un milanese è uno strano Scerbanenco e si scopre che le sue storie sono ben lungi dall'essere forzature della fantasia.

Milano è (anche) così.
Non "era", non "fu", ma è.

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